mercoledì 30 settembre 2009

CyberDada


Dal blog di Tito Faraci:

Si puo ordinare nel regime di Online – la qualita del produttore – il 100% dell’azione utile

Le opinioni dei nostri clienti:

- Il sesso porta piu soddisfacimento. Lo stress e la tensione sono spariti. Lei non si rattrista piu, ora io non temo, che saro costretto a negare. E` una sensazione fisica sbalorditiva, dopo la quale segue lo stesso sentimento profondo.

- La cosa migliore del Vi e` la sicurezza della possibilita di «volare con autopilota»,
rilassandosi e senza la necessita` dell’entrare nel merito di quel fatto, che il pene continua a trovarsi in posizione verticale, anche quando tu sei interrotto (i figli battano alla porta della camera da letto, il cane abbaia, il preservativo scivola). Quando prendi coscienza del Vi, questo puo anche stare un grande regalo per la compagna. C’e solo un consiglio: non le dica, che lei prende il Vi: l’apprezzamento di se’ stesso femminile e` anche molto suscettibile.

- confezione confidenziale
- pagamento confidenziale
- non richiede la visita medica
- consultazione medica telefonica gratis
- non c’e bisogno di aspettare a lungo – la consegna nel corso di 2-3 giorni
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- Online -negozio di licenza
- nessuna spesa nascosta

Ordini oggi e dimentichi delle sue delusioni, delle lunghe paure del rifiuto e le situazioni dolorose ripetibili.

recensioni in pillole 36 - "Il canone occidentale"

Harold Bloom, Il canone occidentale. I libri e le scuole delle età, Rizzoli 2008 (588 pp., € 14,50)

Si può recensire un libro che non si è finito di leggere? Sì, date certe condizioni.
Innanzi tutto, tanto per informazione: su 588 pagine, ne ho lette 202.
Poi, per orientarsi: The Western Canon uscì in America nel 1994. La data è significativa, perché all'epoca nei campus americani erano al massimo vigore le tendenze critiche che Bloom più detesta, quelle che deride con nomignoli come “scuole galliche” (riferendosi a maestri come Derrida o Foucault) o “scuola del risentimento” (femminismo, cultural studies, letture su base etnica o politica). Bloom aveva sessantaquattro anni ed era da almeno tre decenni uno dei maîtres à penser della critica americana: brillante, carismatico, coltissimo (conosce una decina di lingue). I suoi maestri sono Shakespeare, Dante, i mistici ebraici, Nietzsche, Sigmund Freud, Northrop Frye, T.S. Eliot, R.W. Emerson.
Il canone occidentale è una difesa a oltranza della letteratura come valore estetico in sé. L'argomento centrale è che, se certi autori fanno parte del “canone” della cultura occidentale, ciò non è avvenuto per caso, né per lotta di classe, né per prevaricazione sessista, e via dicendo, ma per la loro totale originalità. Shakespeare (“il centro del canone”), Dante (“il secondo centro”), Chaucher, Cervantes, Milton, Goethe, Whitman, Tolstoj, fino a Proust o Kafka, hanno lottato per liberarsi dell'influenza di chi è venuto prima di loro (“l'angoscia dell'influenza”, una delle idee centrali del pensiero di Bloom) e hanno saputo creare un'assoluta discontinuità, un universo espressivo del tutto personale. “Un 'testo' poetico”, scrive altrove Bloom, “è un campo di battaglia psichico, su cui si combattono autentiche forze per l'unica vittoria degna di vittoria, il divinante trionfo sull'oblio”.
Il canone occidentale è scritto con il suo tipico stile caustico e provocatorio (Bloom è colui che, nel Libro di J, sostenne seriamente che la Bibbia è stata scritta da una donna sotto il regno di Salomone). La sua lettura mi ha spinto ad aprire, per la prima volta in vita mia, almeno due libri fondamentali: il Don Chisciotte e i Saggi di Montaigne. Sono - in parte - d'accordo con lui.
E allora, perché non l'ho finito? Perché non sopporto il suo tono da snob saccente, lo stile tutto frasette aforismatiche, forse efficace in inglese ma insopportabile in italiano, e soprattutto l'assoluta, incrollabile sicurezza nelle proprie idee.
Mi dispiace: io alzo bandiera bianca.

martedì 29 settembre 2009

penelope



Ti dava urto la piega storta
del letto - la sedia sbilenca.
Figurati quell'orgia sbrindellata.

Dopo il massacro
hai rigovernato le chicchere
passato lo straccio

ti sei sdraiata parallela al muro.

lampi - 25


Ha ritrovato su FaceBook il suo primo amore dei tempi delle medie. Oggi come allora, non riesce a rivolgerle la parola.

lunedì 28 settembre 2009

Alicia de Larrocha



Barcellona, 23 maggio 1923 - 25 settembre 2009.

recensioni in pillole 35 - "Il piccolo grande uomo"

Thomas Berger, Il piccolo grande uomo, BUR 1977 (550 pp.)

Sì, è proprio il libro (del 1964) da cui fu tratto il celebre film (del 1970) di Arthur Penn, con Dustin Hoffman e Faye Dunaway. Trovato (c'è ancora bisogno di ripeterlo?) su uno scaffale di libri usati.
Per quel che me ne ricordo, il film (che non vedo da almeno dieci-quindici anni) rispetta la trama generale del libro, anche se si prende un po' di libertà e ovviamente è costretto ad abbreviare di parecchio le oltre 500 pagine originali. Ma la differenza principale è che, mentre la versione cinematografica adotta un tono esplicitamente grottesco, e non nasconde il sottotesto politico post-sessantottino, il libro invece è sì ironico, picaresco, spesso anche comico, ma l'ironia è più sfumata, i personaggi più a tutto tondo, e non mancano le scene serie, persino drammatiche.
Lo spunto, comunque, è sempre quello: Jack Crabb, un vecchietto ultracentenario, forse un po' svitato o forse solo un po' fanfarone, racconta a uno storico la sua lunghissima vita. Rapito ancora bambino dai Cheyenne, resta con loro fino ai tredici anni, e poi passa il resto della sua esistenza a metà tra il mondo dei "selvaggi" e la "civiltà": una posizione di margine che gli consente uno sguardo disincantato su entrambi i mondi.
Berger ha un'esplicita simpatia per gli indiani, dei quali ricostruisce i costumi con scrupolo quasi antropologico, ma non nasconde i lati duri, anche crudeli, del loro stile di vita; allo stesso tempo, offre un ritratto del West come doveva realmente essere: un posto violento, sporco, ben poco eroico. Sfilano tutti i luoghi e i personaggi del mito: le battaglie fra pellerossa e soldati (il Washita, Sand Creek, fino alle bellissime pagine su Little Big Horn, che chiudono il libro), Wild Bill Hickock, Calamity Jane, Wyatt Earp, e ovviamente il generale Custer.
Il tutto raccontato con il tono scanzonato e irriverente di un Mark Twain.
Per un vecchio lettore di Tex come me, cinquecento pagine di vero godimento.

PS: per chi è interessato, la copertina riprodotta è quella dell'edizione più recente (Fanucci 2001).

domenica 27 settembre 2009

a proposito di dimenticati...


...ma nessuno si ricorda mai di Vincenzo Cardarelli?


Adolescente

Su te, vergine adolescente,
sta come un'ombra sacra.
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
Ma ti recludi nell'attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io. Se ti veggo passare
a tanta regale distanza,
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata,
la vertigine mi si porta via.
Sei l'imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l'oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell'occhio nero della rondine.
La tua pupilla è bruciata
dal sole che dentro vi sta.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
E penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l'amore
nel cuor dell'uomo!

Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Oh sì, l'animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
E tutto è così.
Tu anche non sai chi sei.
E prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto,
per ridere un poco insieme.
Come fiamma si perde nella luce,
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
Inconsumata passerà
tanta gioia!
Tu ti darai, tu ti perderai,
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.

lampi - 24


Guarda quei ragazzotti abbrancare le rispettive fidanzatine, ciancicare con grosse manone quei corpi adolescenti, così puri e pieni, e liricamente pensa che non sanno apprezzare, che manca loro l'esperienza per assaporarne la bellezza struggente. Poi si accorge che un pensiero del genere, espresso ad alta voce, lo manderebbe dritto in galera.

sabato 26 settembre 2009

chi ha visto la madonna





E visto che ci siamo: beccatevi anche questo (non posso incorporarlo perché YouTube non lo consente).

venerdì 25 settembre 2009

amarcord musicale - 2

Ma quant'era bella, questa donna?

parlar chiaro


Finalmente: qualcuno dice le cose come stanno. Era da tempo che non leggevo un esempio di fascismo così limpido ed esplicito.
Tratto da qui.

"Non riesco a capacitarmi del fatto che si tolleri con tanta leggerezza il proliferare di giornali nuovi, vedi quello di Marco Travaglio, l’uomo più viscido della sinistra disfattista e sempre alla ricerca di nuovi modi per indebolire il premier, vista la continua ascesa dello stesso nel consenso degli italiani. Possibile che l’avvocato Ghedini non riesca a trovare un reato plausibile per la chiusura di queste «vipere» che strisciano con il continuo intento di mordere il premier e causarne la morte politica? Un giornale che palesemente offende e denigra il capo del governo va subito chiuso. Lasciamo poi le critiche a chi è nato per criticare tutti gli avversari politici. Una volta creato l’esempio gli altri giornali di sinistra si guarderanno dal continuare ad offendere il premier e la sua coalizione. Possibile che non si riesca a trovare una norma che preveda l’attentato morale al capo del governo? Io credo che l’unica soluzione a questo continuo stillicidio di calunnie sia quello di rispondere con i sistemi usati (che io non approvo) da Putin nei confronti della Georgia, e della Cina nei confronti dei monaci tibetani: «La forza». Dopo una serie di bastonate inflitte a Franceschini, D’Alema, Travaglio, Santoro e Maurizio Mannoni, si vedrebbero subito i risultati, si vedrebbe il ritorno del rispetto nei confronti di Berlusconi".

lampi - 23


Richiesto, su FaceBook, del proprio orientamento politico, non trova di meglio che scrivere "schifato".

giovedì 24 settembre 2009

le idee si sveleranno



Patrizia Vicinelli è nata a Bologna nel 1943 e vi è morta nel 1991. Ha lavorato nel teatro e nel cinema, ha fatto parte del Gruppo '63. E' stata molto attiva anche in performance poetiche. Oggi è praticamente dimenticata.
Le sue opere: a. à. A (Lerici, 1967), Apology of schizoid woman (Tauma, 1979), Non sempre ricordano (Aelia Laelia Ed., 1985), Opere (postumo, a cura di Renato Pedio, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano, 1994).


Il tempo di Saturno

Ancora poco e dal tempio dove
sussurrano le idee esse si sveleranno
quando la brezza darà inizio al loro
manifestarsi. Proserpina la si incontra
allora, e rende grazia alla sua regina e
si inginocchia, al sogno del suo nome
ha posto la fine.
Così dalla fonte, se li poteva vedere
i convitati nella loro allegria e scintillano
le coppe, un’alba come di gravida lunga,
ma tutti hanno fiducia.
E’ molto alta la vista da quel punto
anelli di grattacieli sotto nella caduta
dell’aria
essi festeggiano il ritrovarsi, hanno
raggiunto l’uscita della stanza di piombo.
Nella fontana dentro si bagnano gli esseri
non un attimo di strada la dimenticano
è il momento di rallegrarsi, ciascuno
ha attraversato quelle acque.
Sempre ha scelto l’altra via ora si trova
a una distanza irreparabile e segue convinto
il proprio disagio. E’ alla collina di fronte
che vorrebbe arrivare, ma la montagna
davanti a lui gli serra la gola.
Cigni neri e nuvole promettono nera acqua
dell’antico senso e resti sulla terra
le cui forme ancora si riconoscono,
errando con la mente nel fosforo
schiuma a picco sotto di sé
gli viene da illuminare la sua lampada
ma rimbalza sulla roccia il veliero senza scampo,
i morti quelli sbattono uno contro l’altro
nelle onde.
Aver sbagliato di poco la direzione, egli pensa
con la vertigine, dall’alto della vetta
non vedrò ancora le tue praterie e forse
la mia fiamma verrà mangiata dalle ali dei corvi
se tu non intervieni angelo, sarò piombato
nell’abisso.
Sebbene, guarda la notte esplosa, essa ha
frange chiare e si possono distinguere i contorni
delle vie le figure geometriche delle stelle fisse
emanano bagliori, dona certezza.
E la pioggia non finirà come la radice
la trovi mangiata ma tagliando fino al cuore,
lo ottieni il suo centro
che resta ardente sotto la discesa dell’acqua.
Ossa secche neanche il mantello servono
a quel corpo, la gloria giunge dopo la sconfitta
aver paura di vivere molto più di morire.
Entra il possibile passato nella proiezione
del presente, egli può scegliere
come entrare da un’altra porta, si avvolge
nel suo scudo atavico, ancora una volta osa
col rischio della fine camminare sull’orlo.
La pietra, quella in cui è ricordato
il passaggio, tiene nella sua forma le onde
che riverberò la luce durante mille giorni
potrebbe forse sostenerlo nella sua impresa,
o l’eroe da sempre funambolo cercatore con le lacrime
sulla fronte e dentro gli occhi
e cedere cedere come montagna crollata
sotto i piedi briciole briciole
la tentazione dell’aria.
E’ un uccello vivente che lo viene a cercare
se fosse di metallo darebbe un segno
neanche nel deserto si perderebbe
egli è sostenuto
porta con sé il suo drago e la colomba.
Ma la sua forza assomiglia a quella di un titano
attorno a lui si sveglia l’odore dolce
come quello di ciò che sta cercando
l’asta lo spinge avanti, serve da pertica
da ponte dona la direzione e vince nella lotta.
Egli si volta e trova luce egli si volta e trova
luce. Si abitua come a una condizione
può volare e navigare dall’acqua avvolto.
Dal profondo di sé egli si è raggiunto
mai avrebbe immaginato fosse così semplice
e così terribile come essi da bambini
nella disperante solitudine conscia della natura
e dover rinunciare egli deve poter crescere qui
alla fragilità alla forza interna di ognuno,
la menzogna.
La tenerezza gli renderà incandescente
il cuore e la sua spada è d’acciaio
vedeva svolgersi il sole al tramonto
sebbene meditasse grandi rivincite
avendo vinto la notte.
Dunque il sole era di fuoco in ogni luogo
e risplendeva per sempre nella sua continuità.
Nemmeno un attimo ci fu margine d’errore
ma lodi nella meccanica di nuove geometrie
esse formulavano la quiete di altri sistemi.
Un profondo silenzio, il totale silenzio
della coscienza uscita dal gorgo
quella di chi è entrato in una spiaggia sicura.
Meditava quella notte il tempo
e la sfuggevole inesattezza delle coordinate
che i naviganti donano, misere tracce
su intuizioni incerte, seppe poi
del camminare unico, per ognuno il suo creativo.

recensioni in pillole 34 - "L'ubicazione del bene"

Giorgio Falco, L'ubicazione del bene, Einaudi (Stile Libero Big) 2009 (141 pp., € 16)

L'hinterland milanese l'ho visto un paio di volte, sempre dal treno (mi ricordo una volta in particolare, all'alba, dopo una notte insonne in vagone-letto: aldilà del finestrino c'era un grigio compatto, e in quel grigio case fino all'orizzonte, tutto immobile, né vivo né morto, come un paziente in coma). Questo per dire che non so se Cortesforza, l'immaginario sobborgo in cui Giorgio Falco ha ambientato i nove racconti contenuti in “L'ubicazione del bene”, somigli o meno alle varie Abbiategrasso, Trezzano sul Naviglio o Gallarate. Ma in fondo non è che importi più di tanto.
L'importante è che Cortesforza è una distesa di villette a due piani, tre camere da letto, veranda, tavernetta, giardino annesso, abitate da ex-operai, pensionati, famiglie con bambini, uomini d'affari di quelli che una volta si chiamavano “rampanti”. Chi si è trasferito qui, a dieci chilometri dalla tangenziale e venti dal centro, l'ha fatto per sfuggire alla città, inseguendo l'illusione del relax e della natura (“qui è come al mare”). Ma l'aria che si respira è quella di un'infelicità opaca. Nascite morti matrimoni divorzi gite con gli amici liti tra vicini acquisti vendite traslochi, tutto avviene come a mezz'aria, senza lasciare traccia, senza che mai si arrivi davvero a una tragedia, senza che la tensione trovi uno sfogo. Al massimo qualcuno uccide il cane senza un perché, infilandolo vivo nel forno; oppure, alla fine di una riunione con i colleghi, organizza sfide all'ultimo sangue tra pesci siamesi combattenti; o "mette in cantiere" un figlio; o compra un serpente; o un cucciolo di carlino che faccia da surrogato a un bambino che non arriva; o continua ad abitare in una casa vuota solo perché ha ancora un vecchio pappagallo, ultimo ricordo della moglie morta.
È stato fatto il nome di Carver, come sempre avviene quando qualcuno usa uno stile oggettivo, chirurgico. Non conosco abbastanza Carver per sapere se il paragone è giusto, ma questi racconti sembrano finire senza una precisa ragione, come un programma televisivo interrotto dalla pubblicità. Anche i personaggi, in fondo, sono intercambiabili, e se ogni tanto fa capolino una voce narrante, è anodina quanto ogni altra.
Nessuno ha un obiettivo, nessuno lo cerca. Tutti, scrive Giulio Mozzi nel risvolto di copertina, “considera[no] una disperazione quieta e senza scosse – come un'anestesia – un obiettivo già accettabile per la vita”.

mercoledì 23 settembre 2009

lampi - 22


Sorprende il proprio sguardo accodato al gregge di sguardi umidicci che lambiscono la modella mentre, nuda, prende posizione sulla pedana.

martedì 22 settembre 2009

lunedì 21 settembre 2009

carriere stroncate

Si dice spesso che se Hitler fosse stato un pittore migliore, forse sei milioni di ebrei non sarebbero finiti nelle camere a gas.
Nel nostro piccolo, anche noi abbiamo un esempio del genere. Ovviamente, tutti starete pensando a un giovanotto di nome Silvio che a fine anni '50 suonava e cantava sulle navi da crociera.
E invece no. Guardate un po' che cosa ho scovato su Wikipedia:

Dopo aver ottenuto la qualifica di perito tecnico elettronico presso la scuola per corrispondenza Radio Elettra, Umberto Bossi iniziò una breve carriera come cantante, con il nome d'arte di Donato.
Accompagnato dall'orchestra di D.U. Mazzucchelli incide un disco 45giri (edizioni Caruso) con le canzoni "Ebbro (boogie woogie)" e "Sconforto (rock-slow)", dei cui testi è autore.
Nel 1961 Bossi partecipa, insieme al suo complesso, al Festival di Castrocaro: viene però bocciato, ed anche a causa di ciò decide di abbandonare il mondo della musica.

C'è anche la foto di un giovane Umberto Bossi, ai tempi in cui si esibiva come cantante. Bel ragazzo, devo dire.

lampi - 21


Aveva aspettato per settimane quel poke su FaceBook. Quando alla fine arriva, si rende conto che se ne sta rallegrando non perché rappresenti una preziosa occasione di carriera, ma solo perché gli offre l'alibi perfetto per consumare un adulterio con la certezza assoluta di uscirne impunito.

domenica 20 settembre 2009

la classe

...notoriamente, non è acqua.

sabato 19 settembre 2009

recensioni in pillole 30, 31, 32 e 33 - fumetti assortiti

Joann Sfar, Il gatto del rabbino 2, BUR 2009 (144 pp., € 17,50)

Moujroum è il gatto di Abraham Sfar, un candido rabbino, e di sua figlia, la bellissima e irascibile Zlabya. Ma è un gatto particolare: pensa e parla come un essere umano ed è il miglior amico del suo padrone. Nel primo volume delle sue avventure lo avevamo visto aggirarsi per l'Algeria degli anni '20 e fare anche una capatina a Parigi. Qui ritroviamo tutti i personaggi, compresi il filosofo-ciarlatano Malka con il suo vecchio leone e il simpatico saggio islamico Mohammed Sfar (sì, si chiamano tutti Sfar, guarda un po'), e ne conosciamo altri, tra i quali un ebreo russo, diretto in Etiopia per cercare la Gerusalemme terrestre. Sfar, nato a Nizza nel 1971, rielabora i racconti e le leggende ascoltati da sua nonna, ebrea sefardita. Narra con la semplicità e l'abilità di un cantastorie e disegna con uno stile finto-naïf, che nasconde un attento studio delle atmosfere e delle espressioni. E soprattutto sa trasmettere, senza darlo a vedere, un messaggio di umiltà, rispetto per il prossimo e accettazione della vita in tutta la sua gioiosa diversità. Incantevole.

Bastien Vivès, Il gusto del cloro, Blackvelvet/That's Life 2009 (135 pp., € 18)

Sempre dalla Francia arriva Bastien Vivès, parigino, classe 1984. “Il gusto del cloro” è un libro minimale. I disegni sono ridotti a linee sottili e a campiture di colori puri, spenti: il bruno della pelle, il verde dell'acqua, poco altro (qui qualche esempio). E anche la storia è quasi nulla: un ragazzo va in piscina per curarsi la scoliosi, conosce una ragazza, ogni tanto si parlano, perlopiù nuotano e basta, per pagine intere; alla fine non succede niente; o forse sì. Però, questo quasi-nulla, Vivès lo impregna del senso della vita che scorre, di quelle piccole, impalpabili epifanie che le danno senso. Può affascinare o annoiare, a seconda dei gusti. A me è piaciuto.

Paolo Parisi, Coltrane, Blackvelvet/Biopop 2009 (125 pp., € 13)

Non è una biografia di Coltrane, e questo è un bene. Non solo perché la vita di Coltrane fu priva di elementi spettacolari o coloriti, e lui stesso fu una persona tranquilla, completamente dedita alla propria ricerca musicale e spirituale; ma anche perché la biografia è sempre a rischio di cadere nel banale didascalismo, quando non nella morbosità fine a se stessa. Parisi, invece, costruisce il libro su una serie di flash: episodi della vita di Coltrane, sequenze di lui che suona o che discute con colleghi e amici, titoli di dischi, ritratti di musicisti, dichiarazioni di critici, il tutto disposto senza alcuna consequenzialità cronologica, anzi con accostamenti inaspettati fra piani temporali diversi. Il tutto è organizzato in quattro parti, che corrispondono ai quattro movimenti di “A Love Supreme”. L'impostazione grafica è essenziale, rigorosa, priva di qualsiasi virtuosismo. Ne esce un bel ritratto di Trane, sobrio e appassionato.

Gipi, Esterno notte, Coconino Press, 2009 (110 pp. non num., € 17)

Lo ammetto, ho un problema. Il mio problema si chiama Gipi: ogni volta che vedo un suo libro, non sono in grado di lasciarlo sullo scaffale. Devo comprarlo. “Esterno notte” è la ristampa di un volume del 2003 e contiene cinque storie brevi, accomunate dalla tecnica: pittura ad olio su fondi preparati, con sovrapposti disegni a china, spesso su carta trasparente. L'effetto è straordinario, materico, di enorme suggestione. Consigliato a chiunque ancora dubiti che Gipi sia un GRANDE disegnatore. (Ah, a proposito: le storie sono, come sempre, geniali, lampi di vita crudi, violenti e pieni di poesia).

lampi - 20

Le parole "illusione ipnagogica", lette su Wikipedia, neutralizzano vent'anni di terrori notturni.

venerdì 18 settembre 2009

CONAD


Il cellophane preserva il galletto
livornese (non faraona
come avevo pensato in un primo momento:
questo qui è più magro
poca carne asciutta buona per un sughetto o per un brodo)
lo preserva dicevo in quello stato intermedio
tra la morte e la putrefazione
che si conviene all'alimentazione del sapiens civilizzato.
Del resto a parte le penne è ancora integro
composto simmetricamente sul dorso
le due zampe di un bel giallo cadmio
il collo ripiegato su se stesso e la cresta rosso fuoco.
Dietro il banco frigorifero l'addetto al reparto carni
allegro come al solito
canta a squarciagola qualcosa di Renato Zero
accompagnandosi con precisi colpi di mannaia.

(l'immagine è ripresa da tash-blog)

giovedì 17 settembre 2009

su uno stagno della Misia


Ila cedette all'acqua
alla carne fredda e scivolosa
rinnegò la verga dell'eroe
che dopo la strage lo squarciava
duro bronzo rovente
preferì soffocare nell'orgasmo
viscido nella morte vegetale

sulla sponda
appese le armi
a braccia nodose impotenti
fradici i muscoli di pianto.

(nell'immagine: J. W. Waterhouse, Ila rapito dalle Ninfe)


Ila, figlio di Teodamante re dei Driopi, fu un giovinetto di straordinaria bellezza. Ercole uccise suo padre perché si era rifiutato di donargli un bue, ma, invaghitosi del ragazzo, lo prese con sé e ne fece il suo amante e scudiero. Ila lo seguì nelle sue imprese e si imbarcò anche per la spedizione degli Argonauti; arrivati nella Misia (l'attuale sponda turca del Mar di Marmara), Ila scese dalla nave per cercare acqua e arrivò sulla riva di un laghetto. Lì le Ninfe, innamorate, lo rapirono e lo trascinarono in fondo al lago. Ercole, disperato, continuò a cercarlo, tanto che si dimenticò di tornare sulla nave e gli Argonauti ripartirono senza di lui. Ma di Ila non si trovò più traccia.

anti-chi, anti-cosa

Opinioni a confronto.

OPINIONE 1:

IL TERRORISTA ISLAMICO - La nostra battaglia contro gli Ebrei è santa... noi non abbiamo niente da nascondere.
IL KKK - Diglielo!



OPINIONE 2:

In Europa, e segnatamente in Italia, sta passando l’equazione antisionismo uguale antisemitismo; infatti, il nostro presidente Napolitano durante la Giornata della Memoria del 2007 ha detto che va combattuta ogni forma di antisemitismo, anche quando si traveste da antisionismo, e qualche mese fa, il presidente della Camera Fini ha detto in tivù, di fronte all’accondiscendente presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che oggi l’antisionismo è la nuova forma che ha assunto l’antisemitismo. Come spieghi questo fenomeno? Che significato ha a livello politico internazionale?


[...] Tutto ciò non è solo falso e disonesto da un punto di vista politico, ma pericoloso per tutti gli ebrei del mondo. L’antisemitismo è effettivamente un problema che andrebbe combattuto assieme ad altre forme di razzismo. Definirlo solo in termini israeliani lascia altri ebrei della diaspora senza protezione. E’ quindi considerato accettabile essere antisemiti, vedi Fini e gli evangelisti americani come Pat Robertson, ad esempio, purché si è “pro-Israele”. Loro lo sono per vari motivi (principalmente perché Israele si è allineata con elementi destrorsi e fascisti ovunque nel mondo). Ma se sei critico di Israele come Paese, ed abbiamo tutti il diritto di esserlo, non sei antisemita però vieni condannato e zittito secondo la dottrina del “nuovo antisemitismo”. E’ conveniente per Israele ma pericoloso sia per gli ebrei della diaspora che per chiunque si batta a favore dei diritti umani e contro il razzismo.

(da un'intervista a Jeff Halper, pacifista israeliano: leggi qui)

lampi - 19


Aveva pensato di ottimizzare le energie: parlare con le donne intelligenti, provarci con quelle stupide. Ha scoperto che le donne stupide non lo eccitano. Si chiede perché la vita debba essere sempre così complicata.

mercoledì 16 settembre 2009

rumore


This poet of the Tsong dynasty is so miserable
The wind sighs
A single swan passes over head
And he is alone on the water in his skiff
If only he appreciated life
In eleventh century China
As much as I do
No loud cartoons on television
No music from the ice cream truck
Just the calls of many birds
And the steady flow of the water clock


* * *

Questo poeta della dinastia Tsong è così infelice
Il vento sospira
Un cigno solitario passa sopra la sua testa
E lui è solo sull'acqua nella sua barchetta
Se solo apprezzasse la vita
Nella Cina dell'undicesimo secolo
Come la apprezzo io
Niente cartoni assordanti alla televisione
Niente musica dal furgone del gelataio
Solo i richiami di tanti uccelli
E lo scorrere costante dell'orologio ad acqua

Billy Collins

martedì 15 settembre 2009

confusione



Ormai mi sono arreso ai miei bioritmi: per esempio, lo so che la mattina non riesco a star seduto, magari lavoro un po' prima di pranzo, poi il pomeriggio sono distratto, mi concentro un po' prima di cena, e infine la notte c'è il picco dell'attenzione. Mi adeguo.
Allo stesso modo, so che quando lavoro a qualcosa lascio che tutto venga fuori come viene, accumulo disordine per poi sfrondare, tagliare, riordinare, comporre in un quadro globale. Non riuscirei a fare altrimenti.
Tutto ciò per dire che questo blog rappresenta un po' lo stadio del disordine: letteratura poesia musica di tutti i generi e ancora politica attualità e persino cazzeggio. Mi sono chiesto più volte se aprire blog separati: non so, uno per le poesie mie, uno per la musica, uno per le recensioni di letteratura e così via.
Ma mi sono sempre detto di no, che è meglio lasciar tutto così.

simone cattaneo

Qualche giorno fa parlavo della poesia in Italia, delle tante voci poetiche, anche di gran forza, che si perdono nel rumore di fondo della rete e dell'editoria.
Oggi apprendo, da Nazione Indiana, della morte (suicidio) di un poeta di nome Simone Cattaneo. Non lo conoscevo. Era, tra l'altro, del 1974, quindi un mio coetaneo. Su NI si possono leggere alcune sue poesie: mi pare una voce scabra, persino violenta, comunque originale.
Ne ho cercata in giro qualche altra, che pubblico.



La madre di un mio compagno delle scuole medie
mi ha bloccato in una strada del vecchio quartiere
dicendomi che suo figlio era morto.
Non si è sbilanciata più di tanto e mi ha invitato al funerale.
Mi è parso buona educazione accettare.
Una settimana dopo mi ha fermato sotto casa e con aria decisa
mi ha confidato che calzo lo stesso numero di piede del suo povero figlio,
così mi ha regalato due paia di scarpe e un giubbotto giallo.
Qualche sera fa sono finito in un bar di Milano e
ho abbordato una ragazza sudamericana molto sensibile
al mio nuovo giubbotto canarino. Ho stretto gli occhi
e le ho sussurrato che per i particolari non bado mai a spese.

(da: "Made in Italy", Atelier, Borgomanero, 2008)

* * *

Stanotte di fronte al televisore spento
mi sono messo a ballare con una canna da pesca
un lento tragico e romantico, ho spostato i mobili
del soggiorno e al centro del pavimento ho ammucchiato
quotidiani vecchi, cartoni di latte e qualche
fazzoletto sporco. Poi ho dato fuoco a tutto
e mi sembrava di partecipare a uno di quei veri balli
studenteschi pieni di gioia e di speranza nella vodka
con un chiasso infernale che mi riempiva le orecchie
con il rumore del mare.
Spento il fuoco, qualche ombra fiera e dura
incisa sulle mura, la canna da pesca incrinata
sono rimasto a suonare su una tastiera sgraziata
chissà poi cosa
aspettando di riprendere fiato
e ho pensato di uscire all’aria aperta ma chiudendo
gli occhi il rosso del fuoco divideva ancora
il mio pavimento e non colava a picco,
rimaneva fisso lì a marchiare il territorio
in attesa di tutta la mia miseria.

(da: "Nome e soprannome", Edizioni Atelier, 2001)

lampi - 18


Parla, e si rende conto che lei lo sta ascoltando. E ride. Non fa finta, lo trova davvero interessante. Prova un senso di assoluta onnipotenza.

lunedì 14 settembre 2009

umanità


[...]
Presso la mia casa, su un'erba

ridotta a un'oscura bava,
una traccia sulle voragini scavate
di fresco, nel tufo - caduta ogni rabbia

di distruzione - rampa contro radi palazzi
e pezzi di cielo, inanimata
una scavatrice...

Che pena m'invade, davanti a questi attrezzi
supini, sparsi qua e là nel fango,
davanti a questo canovaccio rosso

che pende a un cavalletto, nell'angolo
dove la notte sembra più triste?
Perché, a questa spenta tinta di sangue,

la mia coscienza così ciecamente resiste,
si nasconde, quasi per un ossesso
rimorso che tutta, nel fondo, la contrista?

Perché dentro in me è lo stesso senso
di giornate per sempre inadempite
che è nel morto firmamento

in cui sbianca questa scavatrice?

Mi spoglio in una delle mille stanze
dove a via Fonteiana si dorme.
Su tutto puoi scavare, tempo: speranze

passioni. Ma non su queste forme
pure della vita... Si riduce
ad esse l'uomo, quando colme

siano esperienza e fiducia
nel mondo... [...]

Pier Paolo Pasolini, "Il pianto della scavatrice"
(da Le ceneri di Gramsci)

una brava persona


da Yahoo Notizie

Padova, 14 set. (Adnkronos) - Un uomo di 56 anni e' andato in escandescenza quando ha notato che a prendersi cura di lui sarebbe stata una infermiera di colore. Al 56enne, un operaio ricoverato al 'Centro grandi ustioni' dell'ospedale di Padova, sono state diagnosticate ferite su tutto il corpo. Le lesioni sono piuttosto gravi ma nonostante il dolore l'uomo, travolto da una fiammata al lavoro, fuori di senno e' riuscito ad alzarsi dal letto e ad insultare l'infermiera notturna: una congolese di 40 anni.
"Non voglio che i negri mi tocchino. Tutti a casa. Bossi ha ragione": sono queste le dichiarazioni dell'uomo riportate dal sito del quotidiano 'Il Mattino di Padova'. Il 56enne, definito dai suoi colleghi di lavoro come una brava persona, e' stato riportato alla calma con una iniezione dal personale ospedaliero e poi dalla Polizia che e' intervenuta e ha fatto rapporto sulla vicenda.
L'infermiera, regolarmente assunta all'ospedale padovano dopo aver superato un regolare concorso, si è detta sconvolta.

domenica 13 settembre 2009

recensioni in pillole 29 - "Le ceneri di Gramsci"

Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci

Confesso: non avevo mai letto un libro di poesie di Pasolini per intero. Ho ripescato “Le ceneri di Gramsci” (non l'edizione nella foto, ma una vecchia Garzanti datata 1976, 1200 lire) per ragioni del tutto casuali, che qui non importa specificare.
E ho capito due o tre cose.
La prima: ho capito che Pasolini è lo scrittore più pascoliano di tutto il Novecento. Qui Pascoli è ovunque: nel ritmo, nelle immagini, persino in quel tono da nobile oratoria civile. Mi verrebbe di dire che “Le ceneri di Gramsci” sono una rilettura pascoliana degli anni Cinquanta.
La seconda: ho capito che Pasolini può piacere o non piacere, ma non può lasciare indifferenti. A me davano fastidio, ad esempio, certe insistite inversioni di nome e aggettivo (“viaggi di vecchia, popolare pesca”, “[la] cattolica, superstite / sua perfezione”, “tra sgretolate muraglie e scoscese / case”, “difeso / da barocca altezza nella medioevale / nicchia”, eccetera). Mi sembrava vecchio, nato già vecchio, tutto il tema del “popolo” pre-cristiano, puro nell'impurezza, sesso e innocenza e paganesimo (ma forse lo sapeva anche lui). Trovavo certe cose bellissime, certe altre (Picasso, ad esempio) illeggibili. Ma non potevo fare a meno di continuare a leggere.
La terza (ma questa già la sapevo): ho capito che per leggere Pasolini bisogna far crollare ogni residua illusione di separatezza tra forma e contenuto, tra sentimento e ragione, tra persona e opera. Pasolini è sempre lì, ingombrante, in primissimo piano, e brucia il suo pensiero direttamente sulla pagina, lasciandovi scorie di versi irrisolti, a volte persino goffi tanto sono pieni, traboccanti di idee.
E poi, a corollario: Pasolini è stato un grande poeta? No, forse. È stato un grande intellettuale (si può ancora dire “intellettuale”?) che si esprimeva in varie forme: in versi, in prosa, in immagini. Forse ha anche sbagliato, anzi senza forse, ma sono sempre stati grandissimi fallimenti.
Delle "Ceneri di Gramsci" mi sono rimasti lampi, immagini: alcune, dotate di una forza misteriosa, inestricabile. E soprattutto mi rimane quell'uso geniale, disarmonico della terzina, disarticolata dagli enjambement, slogata dalle rime imperfette, fatta stridere nel cozzo tra aulico e prosastico. E i versi martelliani di Recit, cadenza da filastrocca chiamata ad esprimere il sentimento più indicibile: il dolore. Un esatto corrispettivo metrico di quella passione lacerata, e insieme purissima, che costituisce la vera, profonda cifra di Pasolini.

lampi - 17


Cataloga le donne di cui si è innamorato.
Quelle che gli hanno fatto la corte, quelle con cui non ci ha mai neanche provato, quelle che glielo hanno fatto capire, quelle che glielo hanno detto, quelle che a letto sono state una delusione, quelle che riconosceva anche in un lampo sulla coda dell'occhio, quelle che se tornasse indietro, quelle che si somigliavano, quelle che somigliavano a un'altra, quelle che si sono rotte le palle, quelle che non si sono mai accorte, quelle di cui non gli piacevano le mani, quelle che bastava lo guardassero, quelle ricce (quasi tutte), quelle che fumavano (poche: odia il fumo), quelle che quasi quasi, quelle quasi brutte, quelle troppo belle per lui, quelle con cui poteva parlare, quelle che non più del bacio, quelle conosciute al mare, quelle col seno grande (poche: ama il seno classico), quelle che lo lasciavano fare, quelle che manco a pensarci, quelle che porca miseria mancava tanto così.
In realtà, poi sono sempre le stesse otto.

sabato 12 settembre 2009

voi fate come volete, ma io piango


Ave verum corpus, natum
de Maria Virgine,
vere passum, immolatum
in cruce pro homine,
cuius latus perforatum
unda fluxit et sanguine:
esto nobis praegustatum
in mortis examine.

(XVI secolo, attribuito a Papa Innocenzo VI)







,

venerdì 11 settembre 2009

grammatica e vita


Non è possibile comprendere veramente il linguaggio umano con una semplice applicazione di regole grammaticali, logiche o di altro tipo, ma solo con un atto di «immedesimazione» - quella che Herder chiamava Einfuhlung - nel suo simbolismo, e perciò solo conservando l’uso linguistico effettivo, nella sua storica concretezza.

(Isaiah Berlin, Il mago del nord. J. G. Hamann e le origini dell'irrazionalismo moderno, Adelphi, 1997, pag. 168)

lampi - 16


Certe donne, anche senza essere per forza belle, proiettano attorno a sé un'aura magnetica che, in mancanza di termini migliori, potremmo definire "sensualità". Lui sa di esserne vulnerabile, ma ci ricasca sempre.

giovedì 10 settembre 2009

amarcord musicale - 1


Dedicato a chi ha fra i trenta e i quarant'anni, e ha vissuto la sua infanzia fra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Ci sono memorie comuni a tutta una generazione, e sicuramente la musica è una delle madeleine più potenti. Queste credo siano tra le primissime musiche di ho conservato memoria.

La prima è la colonna sonora scritta da Fiorenzo Carpi per il Pinocchio televisivo, capolavoro di Comencini (altro che i calzoncini tirolesi di Walt Disney o la favoletta pacchiana di Benigni). Tutti i brani sono memorabili, dalla legnosa marcetta di Pinocchio alla struggente canzone di Geppetto ("com'è triste l'uomo solo / che si guarda nello specchio") alla canzone della Fata Turchina ("tre per tre fa soltanto nove"), e così via.
Questo è semplicemente il mio preferito.



La seconda è la sigla d'apertura dell'Almanacco del giorno dopo, bellissimo e rimpiantissimo programma della TV italiana dei bei tempi. Mi suscitava, non so perché, una strana inquietudine, amplificata da quelle figure da lunario rinascimentale accompagnata da quei motti enigmatici. Ho scoperto solo da poco che si trattava di un brano di Guillaume de Machaut, ma l'ho trovato citato come Chanson Balladée, che in effetti non è un titolo, ma il nome generico di un tipo di composizione. Ad ogni modo il brano è stato profondamente riarrangiato. Gli esecutori sono una non altrimenti nota "Orchestra del Chianti".



Ah, e poi c'è un altro pezzo di storia della TV: Quark, con l'aria bachiana cantata dagli Swingle Singers. C'era quando ero piccolissimo, c'è ancora e - presumo - sempre ci sarà. Questa è la prima sigla che ricordo (YouTube la data al 1981).



E infine l'Intervallo, ovvero l'Aria di François Couperin.

mercoledì 9 settembre 2009

flânerie


Tutto torna, tutto cambia. Il Sole esce dalla Vergine ed entra nella Bilancia, oppure abbandona i Pesci per avvicinarsi all'Ariete. Le stagioni declinano e risorgono, le foglie virano verso le varie gradazioni di giallo o di verde, a seconda.
Amo i cambi di stagione: quando le giornate si allungano dopo il buio invernale e gli umori ricominciano a fermentare e ribollire, o quando i primi freschi dell'autunno purificano lo spirito dal languore estivo.
Ma si tratta di un amore masochistico. Ogni anno, appena la bella stagione comincia o finisce, mi trovo ad affrontare un'ammutinamento dei neuroni. Il mio organismo ci mette qualche giorno (se va bene) ad abituarsi al nuovo clima, il cervello molto di più. Per dirla brutalmente, in questi giorni sono del tutto rincoglionito e incapace di concentrarmi. Però che bello. La mente è leggera, e il malessere fisico è compensato da un rinnovato rigoglio dei sensi, acuti come non mai, tesi verso l'esterno come vibrisse.
Poi, in questa stagione, amo particolarmente i pomeriggi. Anzi, i pomeriggi li amo sempre, perché le ore tra il pranzo e la cena sono le meno produttive della giornata, dal punto di vista lavorativo, ma le più attive sul piano fantastico. Il pomeriggio ha sempre stimolato la mia più intima natura di flâneur. Da ragazzo adoravo i pomeriggi d'estate, quella che al Sud si chiama la controra, le ore infuocate in cui il solleone arroventa i selciati; passavo pomeriggi interi a girare per i vicoli deserti, silenziosi, echeggianti, pieni solo del profumo dei panni stesi.
Ora il fisico non è più quello di una volta, la pressione ogni tanto sbalza, e quindi preferisco i pomeriggi di aprile, all'inizio della primavera, o – come adesso – quelli di settembre, quando l'autunno comincia a dare i primi segnali. Amo le città, le strade trafficate, quanto più anonime tanto meglio. È lì che passa la vita, ma solo chi sa guardare se ne accorge.
Nelle ore finali del pomeriggio, quelle in cui le ombre hanno appena iniziato ad allungarsi, la luce assume spesso una consistenza tiepida e netta, avvolge gli oggetti e li fa splendere nitidi come in un paesaggio fiammingo. È l'ora ideale per uscire. Il rincoglionimento del pomeriggio, combinato con il rincoglionimento del cambio di stagione, produce un senso di piacevole ebetudine, una frizzante sensazione di leggera follia. Le prime brezze fredde sgusciano sotto la maglietta strofinandosi contro la pelle nuda. Si potrebbe camminare all'infinito, solo che poi arriva l'ora funebre del tramonto, quel confine di penombra che separa la luce apollinea del giorno dal buio utero della notte. Allora si inverte la rotta, si guadagna la soglia di casa, si chiude fuori l'oscurità che sta inghiottendo il mondo e ci annusa i calcagni come un cane rognoso.
Tutto cambia, però. Prima passeggiavo seguendo i miei piedi, ora sono i miei piedi a seguire un passeggino nel quale è alloggiato un minuscolo essere, che comincia ad affermare imperiosamente la propria presenza: canta, strilla, scalcia, pretende di fermarsi quando vede altri bimbi.
La osservo mentre collauda le membra ancora nuovissime, prende le misure del mondo.
Anche lei, in fondo, sta solo seguendo i suoi piedi; solo che per lei la strada è ancora una mappa tutta da svelare. Io ripeto un copione, lei lo recita per la prima volta ed è ancora convinta che l'universo sia un immenso pacco regalo e che basti solo scostare un po' di carta crespata per impadronirsene.

lampi - 15


Per levarsi 'sto peso dallo stomaco, dice, tutti nella stessa frase, attimino, piuttosto che, epocale, e quant'altro, e persino un decurtisiano a prescindere.

martedì 8 settembre 2009

lampi - 14


Ecco, infine l'ha detto anche lui: non sono razzista, ma.

canzoniere brasiliano 3 – Banane a Hollywood

Carmen Miranda è per un brasiliano quel che spaghetti-pizza-mandolino è per un napoletano: uno stereotipo irritante, e allo stesso una marca identitaria da esibire con orgoglio. Il personaggio, con la sua commistione di autenticità popolare e di lustrini ad uso dei turisti, può in effetti rischiare di ricadere interamente nel kitsch: ma le cose non sono così semplici.
Innanzi tutto: la cantante che è diventata uno dei simboli internazionali del Brasile non era nata in Brasile.
Maria do Carmo Miranda da Cunha, questo il suo vero nome, vide la luce il 2 febbraio 1909 a Várzea da Ovelha, un villaggio nel nord del Portogallo. La famiglia emigrò dall’altra parte dell’oceano poco dopo la sua nascita e “Carmen”, come era soprannominata fin da bambina, crebbe a Rio de Janeiro, nel quartiere popolare di Lapa, dove il padre aveva aperto una bottega di barbiere.
Fu costretta a lasciare presto la scuola per lavorare prima come sarta e poi come commessa in un negozio di cappelli. Dava anche una mano nella pensione gestita dalla famiglia, e proprio lì cominciò ad esibirsi cantando sambas, choros e maxixes che aveva imparato dalla viva voce degli interpreti di strada. Venne notata dal compositore Josué de Barros, che le fece firmare un contratto radiofonico. Nel 1930 arrivò il primo successo, intitolato “Ta Hi!”, e nel decennio successivo Carmen divenne rapidamente una star di fama nazionale, interpretando anche una serie di fortunatissimi film musicali.

(...continua su Nazione Indiana)

lunedì 7 settembre 2009

i racconti dell'età del jazz 7 - quando Billie Holiday era felice


Oddio, proprio felice forse non lo è stata mai, e non sto nemmeno a spiegare il perché. Però mi sono un po' scocciato di sentir parlare della vita di Billie, dei tormenti di Billie, degli amori infelici di Billie, della voce di Billie ridotta a cartavetrata. Insomma, mi sono scocciato di vederla ridotta a una Madonnina dei Sette Dolori.

(...continua su La poesia e lo spirito)

domenica 6 settembre 2009

moi est un autre


Guardando la mia foto su FaceBook*

C'è stato (forse) un tempo
in cui mi percepivo intero
compatto senza scaglie
abbandonate lungo il percorso.
Allora avrei postato qualcosa di meno
“inquietante” (così me l'hanno definito – in due).
Eccolo invece sul profilo il mio ritratto
“cubista” (così l'ho definito io)
la mia faccia sfaldata in quadrati
scissione di punti focali
“la mia autopercezione interiore” (così
ho risposto) faccia tra le facce sul Libro
delle Facce
disseminazione gioiosa.

* per coloro che non sono su féisbuc, la foto è la stessa
che campeggia in alto a destra su questa pagina.

duello

sabato 5 settembre 2009

lampi - 13


Il suo migliore amico, ora ne è certo, gli ha raccontato sempre solo balle.

venerdì 4 settembre 2009

anKora lui, sempre lui

Chiamatela ossessione, fissazione, chiamatela come vi pare, ma Cossiga resta, per me, un mistero.
E' un vecchio rincoglionito? Un criminale? Un provocatore a vanvera? Uno che sa cose che noi non sappiamo? Tutte queste cose insieme?
Comunque, qui c'è una sua intervista del 1° settembre sul Corriere della Sera dove parla di Berlusconi e dei rapporti con il Vaticano.
Io la trovo francamente inquietante...

recensioni in pillole 28 - "Altrove"

Henri Michaux, Altrove, Quodlibet 2005 (255 pp., 16 €)

Ricordo solo che lessi una recensione, forse di Gianni Celati, forse su TuttoLibri della "Stampa", chissà. Comprai il libro e lo lasciai su uno scaffale. Poi traslocai e finì nel garage dove tengo la roba (libri, soprattutto) che in casa non entra o non mi serve. Lì rimase qualche anno, buono buono. Qualche settimana fa sono andato in garage a prendere qualcosa e Altrove ha cominciato a chiamarmi. L'ho portato a casa, l'ho lasciato un po' in giro e infine l'ho letto.
Uscito nel 1948, raccoglie tre resoconti di viaggi in paesi immaginari: Viaggio in Gran Garabagna (1936), Nel paese della Magia (1944) e Qui Poddema (1945-46). Come sempre in Michaux, non si tratta di opere unitarie, bensì di collezioni di frammenti, frequentemente ripresi e rielaborati, in costante metamorfosi di edizione in edizione.
Ne ho postato qualche esempio nei giorni scorsi (qui, qui e qui).
Se dovessi cercare un paragone, direi: Le città invisibili. Ma con molta meno sovrastruttura intellettuale e, allo stesso tempo, con meno tensione lirica. Lo stile scorre fluido, quasi impassibile, impennandosi ogni tanto in bizzarrie verbali o lasciando emergere una vena di innocente sadismo. L'io è abolito, popoli e paesi scorrono con i colori vividi e favolosi di un arazzo medievale o di una miniatura persiana.
Michaux (1899-1984) fu vicino ai surrealisti ma, privo del loro rigore dogmatico, non aderì mai al gruppo. Viaggiò parecchio, ma ai viaggi reali affiancò sempre quelli fantastici.
Così scriveva:

I miei paesi immaginari: delle specie di stati-tampone, per non soffrire della realtà... [...] Il paese straniero era un'occasione per provocare dei personaggi, ai quali demandavo tutta la faccenda, di gioire e di soffrire, delle persone e delle cose straniere e ostili. Loro stessi erano fatti in modo da fregarsene un pochino di tutto, e mettere tutto sottosopra.

giovedì 3 settembre 2009

metamorfosi

Senza parole. Solo musica.







lampi - 12


Lavandosi i denti, nel bagno dell'ostello, alza gli occhi e vede il ragazzo tedesco uscire dalla doccia completamente nudo e strofinarsi con energia la pelle glabra, chiazzata di rosso dall'acqua calda; e per la prima volta, nella sua vita di maschio latino, avverte un sostanzioso, ingombrante dubbio circa le proprie inclinazioni sessuali.

mercoledì 2 settembre 2009

voci


Stavo per scrivere: una delle cose più assurde dell'Italia... Poi ho pensato: sì, bella sfida, va' a decidere qual è la più assurda.
Comunque, una delle cose assurde dell'Italia è la quantità di poesia che si scrive (immensa, debordante, e in alcuni casi anche di ottima qualità) rispetto alla quantità che se ne legge (poca anche tra i lettori "forti", assolutamente nulla tra il pubblico per così dire "medio").
Insomma, siamo un paese pieno zeppo di poeti, in alcuni casi anche ottimi poeti, ma che non legge poesia. Non so quali siano le cause, e nemmeno so se in altri paesi sia così. Però è un dato di fatto che una mia collega, che insegnava Letteratura Italiana in un liceo, confessava candidamente di non aver mai sentito nominare Mario Luzi o Andrea Zanzotto o Franco Fortini o Valerio Magrelli.
Anche per me, che posso dire di far parte dei lettori "forti" e che nutro un certo interesse per la poesia, non è affatto facile tener traccia della poesia italiana contemporanea: troppe le voci, troppo eterogenee, troppo piccoli e dispersi e invisibili gli editori, per non parlare degli innumerevoli siti che si occupano di poesia, anche qui in alcuni casi di ottima qualità, ma assolutamente impossibili da seguire con costanza, a meno che non si sia addetti ai lavori.
Però ogni tanto mi capita di cogliere qualche voce che mi colpisce. Ad esempio, trovo segnalato sul blog di Giuseppe Genna una scelta di poesie del vicentino Andrea Ponso (classe 1975, come me). I suoi versi si possono leggere anche sul blog La dimora del tempo sospeso (con un saggio di Stefano Guglielmin) o su LiberInVersi (siti che approfitto per segnalare). E visto che ci sono ne segnalo anche un altro che ho scoperto da poco e che si chiama Blanc de ta nuque.
Andrea Ponso ha una voce classica, ferma, ma allo stesso tempo riesce a trasmettere una visione sempre un po' strabica, leggermente scollata.
Insomma, ammemmipiace, e tanto mi basta.
Un esempio del suo lavoro:


Componi il chiaro cordone al mattino la linea
vera che scopre le vene contorte alla mano
mentre pesa in un palmo ciò che dopo l’assedio
saremo: solo sudore, segnatura di sale.
E’ che non voglio morire tra queste pagine inferme,
arso come oscuro incisore, per amore
del proprio strumento finale: qui soffoco
al chiaro di un pomeriggio agostano
vissuto tra righe d’inverno profondo, lingua
che scotta tra l’inguine e il niente infuocato
del giorno.

e poi dice che uno si butta a destra


- Comando dei vigili urbani di ***, desidera?
- Salve, io abito in via *** e volevo segnalare una cosa, posso dire a lei?
- Dica pure, signora.
- Guardi, da un po' c'è un gruppo di ragazzini che ha preso l'abitudine di fare su e giù con i motorini a tutta velocità lungo la strada, a tutte le ore, di giorno, di notte... Sa, qui c'è un parco giochi, ci sono bambini, anziani che attraversano...
- Sì, signora lo sappiamo.
- E allora?
- Allora cosa?
- Non so... se potete fare qualcosa...
- E che possiamo fare, signora?
- Beh, veda un po' lei: multarli... sequestrare i motorini...
- L'abbiamo fatto, signora, ma loro ci hanno messo i petardi nella cassetta della posta e ce l'hanno fatta saltare.
- E allora?
- E allora che altro possiamo fare?
- (...)
- Noi non ci possiamo far niente, signora. Stia attenta quando attraversa la strada.
- (...)
- Arrivederci.
- Arrivederci.

martedì 1 settembre 2009

dell'acquistare musica

Fino a una decina d'anni fa, Collestrada era un anonimo borgo in cima a un poggio, sulla strada tra Perugia e Assisi, e doveva il suo maggior motivo di gloria al fatto che proprio lì, nel 1202, fu combattuta la battaglia durante la quale Giovanni di Pietro Bernardone, allora chiamato Francesco, e più tardi San Francesco d'Assisi, cadde prigioniero dei Perugini. Oggi, se si cerca di andare a Collestrada nei fine settimana, bisogna rassegnarsi a fare almeno una mezz'oretta di fila prima di trovare parcheggio. La ragione è che ai piedi del poggio sorge il centro commerciale più grande della provincia.
Io ci sono andato qualche giorno fa per cercare un frullatore, un caricabatterie per la fotocamera digitale e un decoder satellitare. Passando alla cassa, ho notato dei dischi in offerta e, dopo aver rovistato un po', ho preso un box con le registrazioni complete di Bill Evans al Village Vanguard (3 cd a 12 euro e 90), uno con due dischi di James Brown ("Live at the Apollo" e "Soul on Top", totale 7 e 90) e uno della serie "Touchstones" della ECM ("Conception Vessel" di Paul Motian, con Keith Jarrett, Charlie Haden, Leroy Jenkins e Sam Brown, 9 euro e 90). Tre cd a 29 euro e 70, niente male.
Oggi sono andato alla Feltrinelli in Corso Vannucci perché era arrivata della roba che avevo ordinato e anche lì, facendo la fila alla cassa, ho notato, proprio dietro la scollatura ombelicale della biondina nella fila accanto, un'altra serie di cd ECM in offerta (a dimostrazione del fatto che la forza magnetica, per la quale la pupilla maschile va fatalmente a convergere con le ghiandole mammarie femminili, ogni tanto produce anche risultati utili). Ho aggirato la biondina in questione, rischiando di urtarla e guadagnandomi un sorriso divertito che, in tempi nei quali il mio anulare sinistro era privo di anello nuziale, avrei sfruttato come inizio di un approccio, e ho scelto altri tre cd: "Balladyna" di Tomasz Stanko, "Kultrum" di Dino Saluzzi e "Rambler" di Bill Frisell, a 9 e 90 ciascuno. Totale, di nuovo 29 euro e 70.
Ma la cosa che mi ha colpito non è tanto la coincidenza delle due cifre, né il fatto di non aver ancora mai comprato titoli praticamente imperdibili, né tantomeno il delicato avvallamento tra i seni della biondina (quello ho smesso di guardarlo dopo pochi decimi di secondi perché, che ci crediate o no, sono una persona seria), quanto il fatto che quel gesto, allungare la mano su uno scaffale per guardare dischi da comprare, un tempo così usuale, quasi quotidiano, non lo facevo da anni. Non so più nemmeno quanti anni, almeno cinque o sei credo.
In tutto questo tempo ho ascoltato solo dischi comprati su internet, o scaricati in modo più o meno legale, o copiati e masterizzati, o ricevuti dal giornale per recensirli.
Insomma, mi ha fatto una strana impressione.
Soprattutto se penso che, tempo qualche anno, potrebbero scomparire anche i cd. E allora valla a guardare, una scollatura, dietro un file mp3.

lampi - 11


Elisa, Antonella, Giada, Valentina, Maria Rosaria, Adele, Simona. Messe in fila, le ragazze di cui si è innamorato gli appaiono tutte leggere variazioni di un unico prototipo. Aguzza lo sguardo per cercare di scorgerlo, all'inizio della fila, ma non ci riesce.