Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci
Confesso: non avevo mai letto un libro di poesie di Pasolini per intero. Ho ripescato “Le ceneri di Gramsci” (non l'edizione nella foto, ma una vecchia Garzanti datata 1976, 1200 lire) per ragioni del tutto casuali, che qui non importa specificare.
E ho capito due o tre cose.
La prima: ho capito che Pasolini è lo scrittore più pascoliano di tutto il Novecento. Qui Pascoli è ovunque: nel ritmo, nelle immagini, persino in quel tono da nobile oratoria civile. Mi verrebbe di dire che “Le ceneri di Gramsci” sono una rilettura pascoliana degli anni Cinquanta.
La seconda: ho capito che Pasolini può piacere o non piacere, ma non può lasciare indifferenti. A me davano fastidio, ad esempio, certe insistite inversioni di nome e aggettivo (“viaggi di vecchia, popolare pesca”, “[la] cattolica, superstite / sua perfezione”, “tra sgretolate muraglie e scoscese / case”, “difeso / da barocca altezza nella medioevale / nicchia”, eccetera). Mi sembrava vecchio, nato già vecchio, tutto il tema del “popolo” pre-cristiano, puro nell'impurezza, sesso e innocenza e paganesimo (ma forse lo sapeva anche lui). Trovavo certe cose bellissime, certe altre (Picasso, ad esempio) illeggibili. Ma non potevo fare a meno di continuare a leggere.
La terza (ma questa già la sapevo): ho capito che per leggere Pasolini bisogna far crollare ogni residua illusione di separatezza tra forma e contenuto, tra sentimento e ragione, tra persona e opera. Pasolini è sempre lì, ingombrante, in primissimo piano, e brucia il suo pensiero direttamente sulla pagina, lasciandovi scorie di versi irrisolti, a volte persino goffi tanto sono pieni, traboccanti di idee.
E poi, a corollario: Pasolini è stato un grande poeta? No, forse. È stato un grande intellettuale (si può ancora dire “intellettuale”?) che si esprimeva in varie forme: in versi, in prosa, in immagini. Forse ha anche sbagliato, anzi senza forse, ma sono sempre stati grandissimi fallimenti.
Delle "Ceneri di Gramsci" mi sono rimasti lampi, immagini: alcune, dotate di una forza misteriosa, inestricabile. E soprattutto mi rimane quell'uso geniale, disarmonico della terzina, disarticolata dagli enjambement, slogata dalle rime imperfette, fatta stridere nel cozzo tra aulico e prosastico. E i versi martelliani di Recit, cadenza da filastrocca chiamata ad esprimere il sentimento più indicibile: il dolore. Un esatto corrispettivo metrico di quella passione lacerata, e insieme purissima, che costituisce la vera, profonda cifra di Pasolini.
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1 commento:
io in genere preferisco l'ultimo pasolini (quello di poesie in forma di rosa, per intenderci), ma le ceneri sono il primo libro suo che ho letto e mi rimangono nel cuore, i primi versi del pianto della scavatrice o la chiusa di picasso, anche recit... è vero, a volte è pesante, eccessivo... ma
hai ragione: a pasolini non si può restare indifferenti, non c'è modo...
ps. belle le dediche delle musichette tv per noi trentenni... tanti ricordi :)
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