venerdì 27 aprile 2018

consigli di lettura_fantascienza e litomanzia

Mario Soldati, Lo smeraldo, Club degli Editori, 1975 (370 pp., 3600 lire)

Nella sua multiforme attività di poligrafo (narratore, sceneggiatore, regista, critico d'arte), Mario Soldati scrisse anche questo bizzarro romanzo di fantascienza.
“Bizzarro”, innanzi tutto, perché rispetta poco o nulla le regole canoniche del genere. All'inizio c'è uno scrittore, chiaro alter ego dell'autore (autofiction ante litteram?), il quale a New York, in un giorno del 1974, conosce un ambiguo personaggio che si fa chiamare Count Cagliani e che, attraverso strani riti esoterici, gli fa una predizione: se andrà in un certo posto della Francia e cercherà una certa pietra preziosa – lo smeraldo del titolo – avrà in premio una “rivelazione profetica”.
Lo scrittore obbedisce: va in un paesino della Provenza, nell'albergo indicatogli da Cagliani, e cade in una specie di trance, o sogno, o visione che sia. Si ritrova nei panni, anzi nella pelle di un altro uomo, un pittore di nome André Tellarini, che vive in una distopica Italia del futuro. C'è stata una guerra atomica e il mondo è diviso in due zone: una a nord, amministrata da russi e americani, e una a sud, dove comanda una confederazione di cinesi, africani e musulmani. La zona nord è un'opprimente civiltà tecnocratica, quella a sud è una sorta di teocrazia di matrice islamica, dove però convivono varie etnie e culture. Il controllo delle nascite è ferreo, i figli vengono sottratti alla nascita e cresciuti dallo stato, l'omossessualità è non solo tollerata, ma incoraggiata.
Fra le due zone c'è la Linea, una fascia inquinata dalle radiazioni, dove l'accesso è severamente proibito. L'Italia è tagliata in due: dalla Toscana in su, è nella zona nord, da Napoli in giù in quella sud. Il centro è una landa desolata.
Nel sogno, Tellarini si impossesserà dello smeraldo e lo userà per partire alla ricerca di una donna un tempo amata, Mariolina, in un intreccio sempre più intricato di realtà e allucinazione.
Bizzarro romanzo, dicevo: con una trama piena di elementi irrisolti, un finale stranamente tronco e tanti (troppi?) fili lasciati in sospeso. Comunque, una lettura interessante.

P.S.: Soldati, uno dei grandi dimenticati della nostra letteratura. Infatti questo romanzo, uscito per Mondadori nel 1974, è fuori catalogo da anni (che mi risulti, l'ultima edizione è del 2007, dopo anni di oblio). Io ho recuperato, su internet, un'edizione del 1975.

domenica 22 aprile 2018

virtuous misunderstandings / malendendus virtueux

Il disagio dell'artista nei confronti del critico è spesso il disagio di essere frainteso.
Ma l'arte nasce per essere fraintesa.

martedì 17 aprile 2018

consigli di lettura

Antonella Giacon, Qualcosa di speciale (Edizioni Corsare, Bastia Umbra, 2017; 207 pagine, € 12,00)

Di un libro di narrativa, la prima cosa che mi colpisce è la voce dell’autore. Che è altra cosa dallo stile: è la capacità di calare il lettore nel mondo narrato, di farglielo sentire e respirare.
“Qualcosa di speciale” quella voce ce l’ha: ed è la voce di Demis, il protagonista-narratore. Un undicenne goffo, sovrappeso, che vive in un paesino della provincia umbra, frequenta la quinta elementare, gioca per strada con i suoi amichetti – italiani, ma anche tanti stranieri –, gira in bicicletta e aiuta i genitori a gestire una pizzeria con i conti sempre in rosso.
Insomma, niente di speciale; tranne una cosa: che Demis ama scrivere, annotando sul proprio diario le storie che gli accadono intorno. Nel diario c’è il suo mondo: c’è Bruno, che è il suo migliore amico ma anche un ragazzo “difficile”, come li chiamano spesso; c’è il vecchio Gino che vive con la compagna ucraina, Ania, e sa riparare qualunque cosa; ci sono i teppistelli che di notte vengono a fare casino sulla piazza e non si riesce a cacciarli; i clienti della pizzeria; i gatti e i cani che sono anch’essi personaggi; i “carrismatici” che tengono i loro strani riti nella chiesa del paese; Aurora, di cui forse è innamorato ma si sa, queste cose son difficili sempre, figuriamoci a undici anni. Insomma, tutto un microcosmo che, attraverso lo sguardo limpido di Demis, vediamo nella sua evidenza, ora comica, ora tragica.
“Qualcosa di speciale” porta l'indicazione di lettura “da 11 anni”, ma non è un “libro per ragazzi” nell'accezione più banale. Contiene scene genuinamente divertenti accanto ad altre serie, malinconiche, drammatiche.
Perché Antonella Giacon – che essendo maestra elementare con i bambini ha a che fare tutti i giorni – sa benissimo che l’infanzia non è affatto l’età della felicità; o almeno non soltanto: è l’età in cui il mondo ci viene addosso con tutto il suo peso soverchiante.
Solo che poi, quando cresciamo, dimentichiamo. Servono i libri per ricordarcelo.

lunedì 16 aprile 2018

Mission Accomplished

Son l'armi chimiche
sì inopportune
che chi le adopera
saper non fa;

ma Assad non reputi
di uscirne impune,
ché lo sorvegliano
gli U-Esse-A,

che san benissimo
dove nasconde
le bombe improbe,
le bombe immonde:

han conservato
dopo la vendita
tutte le cedole
di proprietà!

domenica 15 aprile 2018

paternità

Fu a Roma, una volta, in seguito ai regali di Natale, che ebbi forse la più acuta rivelazione di che cosa significasse essere padre.
Un regalo, mi pare un completo armamento, un out-fit da cow-boy con pistole, cartucce, cinturone, fondine, ginocchiere, ecc. non era stato gradito da uno dei miei figli: non era, sembra, quella che lui si aspettava. Sotto perentoria intimazione di mia moglie, uscii col bambino, noi due soli, per comprare un altro, diverso, più costoso out-fit. Girammo vari negozi. Niente, non c'era mai l'optimum, che lui aveva in mente. Infine, lo trovammo: ma ad un prezzo talmente spropositato che dissi no, e prendendo per mano mio figlio scappai fuori nella strada.
Cominciammo a camminare in silenzio, tenevo la sua piccola mano nella mia. Era il pomeriggio, via Boncompagni, un bel sole d'inverno. Mio figlio, naturalmente, era imbronciato. Io tacevo: maturavo tra me un compromesso: tornare in uno dei negozi di prima, e acquistare qualcosa che, a mio giudizio, assomigliava abbastanza all'optimum e costava decisamente meno. Cominciai, piano piano, a ragionarlo: l'altro cinturone era identico, le fodere delle pistole addirittura più belle. Lui a ribattere che erano diversissime le pistole stesse: quelle che volevo comprare io, sbagliate, sbagliate. A poco a poco, nella discussione, ci accalorammo: gridava lui, gridavo io, insomma litigavamo. Finché, dimenticandomi improvvisamente di mia moglie, persi la pazienza, cosa che con i miei bambini non mi era mai capitata e non mi capitò più neanche dopo: dissi, arrabbiato ma serio, che quelle pistole col resto costavano troppo, che noi spendevamo sempre troppi soldi per tutto, e che basta, insomma, non le avrei comprate.
Accadde allora qualcosa che non avevo previsto. Mi aspettavo che lui continuasse in crescendo il suo capriccio. Invece, tacque di botto. Vidi che era impallidito: capii che, per la prima volta nella nostra vita, lo avevo spaventato. Stava per piangere: ingollò le lacrime e mormorò con un filo di voce:
«Va bene, papà. Hai ragione. Faccio quello che vuoi tu.»
Ah, quanto avrei dato, quanto darei ancor oggi perché lui avesse continuato a ribellarsi. Certo, senza accorgermene, lo avevo spaventato. Volevo che lui cedesse, non c'è dubbio: ma arei voluto che cedesse in un altro modo: convinto del mio ragionamento, non atterrito, forse, da un mio urlaccio o da una qualche parola più dura che mi era sfuggita. La debolezza di tutto se stesso, con cui si era schiantato, mi parve, non so perché, non solo di bambino, ma di uomo: la sua mitezza, la sua remissività improvvisa mi ferirono come un rimorso da cui non avreimai più potuto liberarmi. Mio figlio mi sembrò un essere inerme per sempre, una vittima predestinata. E io, io, involontario carnefice, provavo ormai per lui una pietà infinita e impotente. Ah, ma allora è la vita, la vita stessa, che in ogni caso finisce con la paura, la rinuncia, l'umiliazione!
Lì per lì, oltre la violenza di quest'impressione, e forse per attutirne l'urto, riflettei fulmineamente: se è così, con quale scopo negare, negarsi una gioia finché la possiamo dare e avere? Con lo scopo, forse, come sostengono i pedagoghi, di allenare i bambini alle future delusioni? Se le delusioni ci saranno ad ogni modo, a che vale anticiparle? Vale a renderle meno cocenti? Se davvero è così ristretto il campo in cui possiamo operare, se le varianti che riusciamo ad imporre al destino sono così minime, merita la pena che tanto ci industriamo a costruirle?
Risultato: mi regolai esattamente come si sarebbe regolata mia moglie senza nessuna delle mie riflessioni. Tornammo di corsa all'ultimo negozio, comprai l'out-fit che mio figlio voleva. Fu felice ma la sua felicità durò così poco, mentre dura ancora, in me, il ricordo del suo piccolo volto impaurito e remissivo, quella sua espressione di resa definitiva e inconsolabile: dunque non avrò le mie pistole, questa è la verità assurda e atroce, questa è la vita.

(Mario Soldati, “Lo smeraldo”, 1974)

venerdì 13 aprile 2018

letture

Una riflessione sul rapporto tra corpo e poesia ovvero tutta la questione intrinseca alla poesia contemporanea di trovare una risposta alla domanda “che cos’è la poesia?” E la poesia è corpo, quando diventa parola, anche il ricordo di qualcosa che è stato diventa atto quando viene scritto.

...Melania Panico legge Approssimazioni e convergenze su "Laboratori Poesia".

mappature

Avete presente quel racconto di Borges, in cui un imperatore decide di far disegnare una mappa del suo impero che sia il più fedele possibile, e finisce per realizzare una mappa grande quanto l'impero stesso?
Ecco, se io - che mi considero un lettore piuttosto forte di poesia - dovessi provare a mappare la poesia degli ultimi trenta o quarant'anni, finirei per fare la stessa cosa: una mappa grande quanto il proprio oggetto. Perché, come ben sa chi se ne occupa, la poesia contemporanea è esplosa in una miriade di esperienze che non sembrano più avere un centro.
A scuola, quando studiamo il decadentismo o l'ermetismo, i ragazzi mi chiedono spesso: "Prof, e oggi? Che movimento c'è? Qual è la scuola poetica contemporanea?" E io, lo confesso, non so mai che cosa rispondere.

Pure, c'è chi queste mappature prova a farle. Per esempio, è appena uscito un libro di Maria Borio, che si occupa proprio di tracciare le linee di quanto è successo nella poesia italiana tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, seguendo i percorsi individuali di alcuni autori attraverso la lettura dei loro testi.
Qui sotto c'è un piccolo estratto; uno più lungo lo trovate su "Le parole e le cose"; però il libro vi consiglio di comprarvelo tutto.

"Con la crisi delle ideologie e la complessità senza conflitto del postmoderno, l’io non ha più un orizzonte umanistico di valori cui fare riferimento. La conoscenza che può portare dipende dal limite della sua esperienza. Prendere coscienza di questo limite diventa essenziale: ridimensiona un paradigma ingenuo di valori assoluti, ma supera anche l’espressivismo che non si pone affatto il problema di valori assoluti e che si esaurisce in una voce confessionale, oppure deflagra in un narcisismo nichilista. La lirica che cerca la conoscenza, che combina l’epifania con il saggio, ha invece ben presente che lirica non vuol dire solo espressività, ma consapevolezza etica di un limite individuale. [...] Questa soggettività non si rappresenta più in modo individualista oppure esistenzialista. Si colloca, come se fosse un campo osmotico di relazioni, dentro il divenire e le contraddizioni dell’esperienza, dentro l’autentica fenomenologia dell’esperienza, come già suggeriva l’apertura della poesia di Sereni al flusso multiforme e multiprospettico dell’esperienza vissuta. La consapevolezza del limite della propria esperienza fa da barriera contro la riduzione egocentrica e vede l’io in una condizione fluida, un essere in situazione prima che essere situato. La singolarità è aperta alla pluralità. [...]

Se non è più plausibile la centralità di un individuo in rapporto a un sistema universale di valori, se appare vuota la fiducia nella centralità della sua espressione che non si pone il problema di un orizzonte di valori oppure si proietta in un nichilismo narcisista, diventa importante abbassare l’ideale umanistico o, meglio, farlo entrare nella complessità dell’esperienza. L’ideale umanistico non è più un esempio che ci sovrasta, che ispira dall’alto la vita civile e artistica, ma un esempio che viene dalla precarietà dell’esperienza, trasformata in testimonianza."

lunedì 9 aprile 2018

cronache scolastiche

Stamattina, un gruppo di ragazzotti ha cercato di introdursi nella mia scuola durante le lezioni, spacciandosi per ex-alunni. Ostacolati dai bidelli, hanno cominciato a insultarli e fare gestacci. Lo stesso nei confronti della vicepreside, nel frattempo intervenuta. Poi si sono spostati nel parcheggio e hanno tirato dei sassi contro le macchine dei docenti.
A questo punto, è stata chiamata la polizia e i teppisti sono coraggiosamente scappati.

Così si lavora a scuola, nell'anno di grazia 2018.

P.S.: Pare che i pitecantropi abbiano avuto la brillante idea di registrare il tutto e postarlo in diretta su Instagram. Ma si può essere più coglioni di così?

domenica 8 aprile 2018

Treccani_L'Italia in piccolo



Che cosa ho fatto negli ultimi due anni?
Vabbè, un po' di cose.
Ma una è stata questa: curare la scrittura dei testi per una serie di venti e-book, abbinati ad altrettanti filmati, che raccontano i venti comuni più piccoli d'Italia, uno per ciascuna regione.
Non l'ho fatto da solo, ovviamente: con me c'era tutta una squadra che ha lavorato sodo, sotto l'egida dell'Istituto Treccani.
Il risultato, lo trovate a questo link.

Qui sotto, copia-incollo il post con il quale Luciano Vanni, editore e direttore di Jazzit nonché coordinatore dell'intero progetto per conto di Treccani, annuncia ufficialmente l'uscita.

> Roma, 8 aprile 2018 | Dopo due anni e mezzo di lavoro, posso finalmente annunciare che il progetto editoriale "L’Italia in Piccolo", realizzato per conto di Treccani.it, è online all'indirizzo www.treccani.it/italia-in-piccolo: di certo è stata una delle più significative esperienze umane e professionali della mia vita, perché si è trattato di un lavoro prodotto dall'Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani e perché è giunto dopo numerose riflessioni e incontri con Massimo Bray, da sempre, un mio riferimento culturale e intellettuale.
> "L'Italia in Piccolo" mi ha messo in contatto con gli abitanti dei comuni con meno residenti di ciascuna regione d'Italia, e in virtù di questo ho avuto il privilegio di conoscere centinaia di persone meravigliose che con determinazione, passione, coraggio e impegno continuano a vivere, difendere e tutelare l’ecosistema sociale e culturale delle comunità locali italiane, custodi del nostro paesaggio, del nostro patrimonio artistico e della nostra memoria, nonché del nostro saper fare e del nostro saper vivere.
> Ci sono voluti 115 giorni di reportage e 11.672 km in macchina per attraversare 20 regioni a fianco di 18 collaboratori e realizzare 4.000 fotografie, oltre 150 ore di girato, 80 video e 20 e-Book. Ovunque siamo andati abbiamo trovato accoglienza e generosità, e un sentimento autentico di quella bellezza e di quell'energia vitale che continua fortunatamente a manifestarsi sempre e comunque.
> Teniamoci cara questa 'Italia in Piccolo', perché non possiamo permetterci di perderla. Un paese muore quando non ha più abitanti, quando non ha più giovani, e nel momento in cui scompare condanna all’oblio non soltanto la memoria dei suoi cittadini, ma anche un insieme di mestieri, storie, abitudini, saperi, stili di vita e tradizioni che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati. E, cosa ancora più drammatica, viene a mancare in tal modo un pezzo della nostra civiltà, patrimonio capillare di esperienze che hanno contribuito a rendere l’Italia ciò che è. Ogni abbandono cancella secoli di lavoro e di sacrifici, sgretolando frammenti della nostra identità sociale e culturale. Insomma, ogni paese che si frantuma a livello sociale è un dramma che rischia di indebolire il futuro dell’Italia, perché senza una vita autentica – ovvero quella non condizionata e piegata alle esigenze dei turisti –, vissuta nei piccoli borghi e nei paesaggi più remoti, la nostra memoria corre il pericolo di essere lasciata alle pagine dei sussidiari scolastici o peggio ancora di essere conservata e chiusa nei musei. E allora sì che l’Italia non avrebbe più futuro.
È bene comprendere quanto prima che la nostra nazione non coincide con le città d’arte o con le sue metropoli, e neppure con le più affascinanti città di provincia: l’Italia che ha rappresentato da sempre un faro per le civiltà di tutto il mondo, è anche quella che non fa notizia e che si può raggiungere solo ed esclusivamente tramite vie secondarie, o addirittura attraverso sentieri e strade sterrate.
L’Italia che ha fatto la storia è anche quella delle tante piccole comunità locali che hanno saputo adattarsi a climi e territori impervi, che hanno avuto capacità e talenti straordinari nell’artigianato, nella coltivazione e nell’allevamento, che hanno costruito con gusto ed eleganza le tipiche case rurali, favorendo lo sviluppo di un vasto tessuto lavorativo di artigiani, muratori, falegnami e scalpellini. Questi siamo noi, figli di civiltà e popoli che ci hanno lasciato in eredità un patrimonio capillare di storie, tradizioni, biodiversità, endemismi, competenze e testimonianze artistiche disseminate ovunque, da nord a sud, senza distinzione alcuna. Ed è bene ricordarsi quanto prima che l’Italia non coincide con il suo patrimonio storico-artistico, ma vive negli occhi, nelle mani, nelle idee, nelle esperienze e nei cuori di tutti coloro che, anche nei luoghi più remoti, l’hanno vissuta.
> Mi auguro che il lavoro sia di vostro gradimento e che generi interesse e curiosità nel pubblico: aiutateci a condividere e a comuncare questo progetto.
> Ringrazio di cuore, senza ordine, Massimo Bray, Luigi Romani, Chiara Giordano, Arianna Guerin, Giovanni De Stefano, Angelica Lugli, Sergio Pasquandrea, Mario Struglia, Francesco Truono, Andrea Ranalli, Alessandra Colonna Lorenzo Monacelli, Silvia FE, Lorenzo Biadi, Fabrizio Orsola, Alessandro Schiazza, Gianluca Grandinetti, Davide Baroni, RedFox Labelle e Anna Martella.

rimario

“Poeti” rima con anacoreti
segreti asceti preti nomoteti
e infine con esteti e con profeti.

Però “poeti” rima anche con yeti
indiscreti miceti prosseneti
e pure con analfabeti e peti.

Insomma: mai fidarsi dei poeti.

sabato 7 aprile 2018

e se non mi volesse bene?

Un ricordo
Non dormo. Vedo una strada, un boschetto,
che sul mio cuore come un’ansia preme;
dove si andava, per star soli e insieme,
io e un altro ragazzetto.
Era la Pasqua; i riti lunghi e strani
dei vecchi. E se non mi volesse bene
pensavo e non venisse più domani?
E domani non venne. Fu un dolore,
uno spasimo verso la sera;
che un’amicizia (seppi poi) non era,
era quello un amore;
il primo; e quale e che felicità
n’ebbi, tra i colli e il mare di Trieste.
Ma perché non dormire, oggi, con queste
storie di, credo, quindici anni fa?

Umberto Saba

venerdì 6 aprile 2018

graveyard selfie

Il disagio che provo nei confronti dei miei libri deriva dal fatto che sono tutti postumi.
Un libro rappresenta la conclusione di un percorso che ritengo esaurito, e che fisso su carta in modo da potermene liberare. In altri termini, ciò che leggo su quelle pagine è un me stesso che già non esiste più.
È come contemplare la propria fotografia su una lapide.

mercoledì 4 aprile 2018

zoologia fantastica (2)

Ulula il lupo per il bosco cupo.
Giù pel dirupo il cacciatore Lapo
esclama: “Oggi quel lupo me lo crepo:
da tempo egli è per me un grattacapo”.
Ciò detto, indossa un caldo copricapo
ed esce a caccia. Ma che rompicapo!
Di pelo trova appena qualche scapo
e d'orme nulla. “Ecco che il giorno sciupo
invano!”, dice; e torna dal suo pupo.
Domani, certo, tenterà daccapo.

* * *

La rana nana, al buio della tana,
pensa: “Sorte balzana! Qui, in malsana
palude dimorar, di settimana
in settimana, inferma di scalmana,
senza un'urbana compagnia, villana
e derelitta, esposta alla buriana!”
Ma mentre geme, con la tirlindana
il pescator l'acchiappa e se la sbrana
come antipasto per l'amatriciana.
Mi possano accecar s'è una panzana!

martedì 3 aprile 2018

avviso al lettore

Codesto solo oggi possiamo dirti:
che ore sono, che tempo fa, che giorno
si annuncia, cosa ho messo dentro il forno.
Chiedo scusa, ma questo posso offrirti.

Non è niente, lo so, di che stupirti:
del resto che anche i poeti, oggigiorno,
non sono il piatto forte, ma il contorno.
Non chiedermi di illuderti o rapirti.

Il poeta è un vizioso, un perdigiorno:
non può fare di meglio che mentirti,
sgobba poco e si sveglia a mezzogiorno.

Dammi retta, tu pensa a divertirti,
oppure va' a guardarti un bel film porno.
Non c'è chiave che mondi possa aprirti.

domenica 1 aprile 2018

zoologia fantastica (versi del primo aprile)

La starna

La starna storna vive sulla Marna.
Strana la starna, affusolata e scarna,
senz'unghie o corna, timida e notturna,
vaga, ma torna sempre quando aggiorna.
Cova nell'urna, che di fiori adorna,
d'uova una terna, con cura diuturna.
O taciturna, solitaria starna,
che tua basterna scavi nella marna,
dolce e materna, istinto ti governa.
Ed è per ciò ch'io ti sento fraterna.

* * *

Il piranha

Nuota il piranha, senza mai una lagna,
nei fiumi di montagna, in Nueva España.
Quando il turista incauto s'accompagna,
e il piede bagna in acqua immota e stagna,
per il piranha allora è una cuccagna,
ché gli si mette adunco alle calcagna
e come una lasagna se lo magna.
Tristo piranha, acquatica magagna!
Solo restituisci alla campagna
quattr'ossa e un po' di dura cuticagna.