[...]
Presso la mia casa, su un'erba
ridotta a un'oscura bava,
una traccia sulle voragini scavate
di fresco, nel tufo - caduta ogni rabbia
di distruzione - rampa contro radi palazzi
e pezzi di cielo, inanimata
una scavatrice...
Che pena m'invade, davanti a questi attrezzi
supini, sparsi qua e là nel fango,
davanti a questo canovaccio rosso
che pende a un cavalletto, nell'angolo
dove la notte sembra più triste?
Perché, a questa spenta tinta di sangue,
la mia coscienza così ciecamente resiste,
si nasconde, quasi per un ossesso
rimorso che tutta, nel fondo, la contrista?
Perché dentro in me è lo stesso senso
di giornate per sempre inadempite
che è nel morto firmamento
in cui sbianca questa scavatrice?
Mi spoglio in una delle mille stanze
dove a via Fonteiana si dorme.
Su tutto puoi scavare, tempo: speranze
passioni. Ma non su queste forme
pure della vita... Si riduce
ad esse l'uomo, quando colme
siano esperienza e fiducia
nel mondo... [...]
Pier Paolo Pasolini, "Il pianto della scavatrice"
(da Le ceneri di Gramsci)
(da Le ceneri di Gramsci)
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