sabato 25 febbraio 2012

avviso ai naviganti


Il gestore di questo blog è vivo, vegeto e gode di ottima salute; ha inoltre idee a bizzeffe per futuri aggiornamenti. E' però sommerso da un numero assolutamente spropositato di impegni, che gli impediscono di aggiornare con la solita frequenza (ossia, più o meno ogni giorno).
Di conseguenza, nelle prossime settimane gli update saranno fatti se e quando ne avrà tempo (e voglia) il sottoscritto. Che, comunque, si prende solennemente l'impegno di recensire, prima o poi, i seguenti titoli letti o in corso di lettura:

Vito Bongiorno, Il Duka in Sicilia;
Neil Gaiman & Terry Pratchett, Good Omens;
F. Dostoevskij, L'idiota;
Daniele Barbieri, Il linguaggio della poesia;
Gianni Borgna, Storia della canzone italiana (Laterza 1985);
Felice Liperi, Storia della canzone italiana (Rai/Eri 2011);
Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo. Saggi sulla popular music;
Franco Fabbri, Around the clock. Una breve storia della popular music;
Edmondo Berselli, Canzoni. Storie dell'Italia leggera;

Saint-John Perse,
Esilio;
Milo De Angelis, Quell'andarsene nel buio dei cortili;
William Shakespeare, Le allegre comari di Windsor;
William Shakespeare, Enrico IV, parte I e parte II;

Paolo Bacilieri,
Zeno Porno;
Jeff Smith, Bone (edizione integrale);
Dave Sims, Cerebus. Chiesa e Stato, vol. 1;
Igort & Marzocchi, La ballata di Hambone.

Mi raccomando: stay tuned. Will be back to you soon.

mercoledì 22 febbraio 2012

lampi - 175


Attende con trepidazione il momento in cui, finalmente, non sopporterà più nessuno.

martedì 21 febbraio 2012

i peggiori anni


Ci sono cose che uniscono una generazione. E non sono, che so, i grandi avvenimenti della storia: lo sbarco sulla Luna, la caduta del Muro, il crollo delle Torri. No: sono le cazzate. La minutaglia di trivialità che maciniamo quotidianamente nelle nostre giornate e che costituisce la malta con cui è tenuto insieme il nostro equilibrio psichico.
Faccio qualche esempio, parlando per me e per my generation:
- la colazione con l'Orzoro;
- la sigla di Orzowei;
- i fumetti parlanti di Supergulp!;
- i primi immaginari erotici costruiti con lacerti assemblati fra Edvige Fenech, Gloria Guida, Lamù e le pagine dell'intimo di Postalmarket;
- le calzamaglie di lana che d'inverno prudevano sulle gambe;
- i robottoni giapponesi;
- l'orrenda Italian disco dei primi anni Ottanta;
- gli zaini Invicta;
- i gettoni della SIP;
- i telefilm americani con i neri e le sigle funky (i misconosciuti Standford & Sons, i grandiosi Jefferson, il mieloso Arnold, gli odiosissimi Robinson);
- le cotonature delle Charlie's Angels, i giubbottini di Starsky & Hutch, i pantaloni strizzapalle di C.H.I.P.S., i sigari di George Peppard in A-Team, il vocione suadente di K.I.T.T. in Supercar, i baffoni macho-gay di Magnum P.I.;
- la comicità dozzinale di Hazzard (però Barbara Bach, santi numi...);
- le leggi della fisica sistematicamente stuprate da Holly & Benji;
- We Are The World
, che da sola basterebbe per augurare a Lionel Ritchie la più dolorosa delle dipartite;
- i capolavori misconosciuti come Conan ragazzo del futuro, del grande Miyazaki;
- i pomeriggi di terrore con Bem il nemico del male;
- gli albi di Geppo e di Tirammolla recuperati dalla soffitta dei nonni;
- i pupazzetti steroidizzati di He-Man;
- le nauseabonde Big Babol;
- gli slogan psichedelici della Zigulì ("Zigulì al lampone... e vai in gita col gommone!");
- il gatto di Superclassifica show e il tizio con il capoccione stroboscopico;
- Pac Man
;
- il Sapientino;
- le pallette clic-clac, autentico parto del demonio;
- l'Almanacco del giorno dopo;
- le penne cancellabili Replay;
- i Commodore 64;
- il cubo di Rubik;
- le donne nude nelle pubblicità Saratoga;
- Cuore con Johnny Dorelli e Pinocchio con Nino Manfredi;
- i retro di copertina di Topolino, con quelle pubblicità assurde: scimmie marine, occhiali a raggi X, macchinine Bburago (mai capito il perché delle due b).
Insomma, tutte quelle buone cose di pessimo gusto. Che qualcuno rimpiange, carlocontianamente, senza pudore, e qualcun altro invece disseppellisce con necrofila perfidia.
Uno dei più divertenti, in quest'ultima categoria, si chiama Doctor Manhattan (il nick non ve lo spiego: se siete nerd fumettistici, lo capite, sennò cavoli vostri).
Un post del suo blog lo trovate, per esempio, qui. Io ci ho riso per una serata intera.

lunedì 20 febbraio 2012

vecchio vecchio


- Qualcuno per caso ha visto "Shakespeare in Love"?
- Sì, forse io, prof, ma... è un film vecchio vecchio, vero?
- Beh, vecchio... Sarà di dieci, quindici anni fa.
- Eh, appunto!

domenica 19 febbraio 2012

sono solo canzonette?



«E i messaggi, cosa si può dire dei messaggi delle canzoni? Che sono tanti, differenziati, complessi e si nascondono là dove meno te li aspetti, se è vero che un poeta come Roberto Roversi ha potuto compiere su "Rinascita" del 25 novembre '83 un'analisi assai approfondita e ricca di spunti di due brani all'apparenza banalissimi, quel Vamos a la playa dei Righeira e quel Tropicana del Gruppo Italiano che hanno furoreggiato nel corso dell'estate 1983. La catastrofe atomica - dice Roversi - è già sopravvenuta, noi siamo i superstiti di questa catastrofe. Quindi non è più in atto il terrore dell'attesa e il conseguente impegno per prevenirlo. Ogni azione è conclusa, ogni progetto è annientato, ogni parola bruciata. Non c'è più nulla da raccontare in quanto tutto è già stato visto. Per questo le due canzoni sono "terribili" per l'assenza e non "catastrofiche" per la violenza, perché non promettono ma constatano; e si appoggiano a relitti o a reperti geologici che galleggiano su un mare ancora ribollente, ma che si sta progressivamente quietando, dopo non una sola, ma dopo le esplosioni atomiche di una guerra. Le parole cantate si capiscono male; arrivano a spizzichi, a intermittenze, sono tanti piccoli bagliori/segnali accesi, spenti.

Distesi, affiancati, non rassegnati ma esangui, i due protagonisti non guardano il mare, ma un grande grigiore che riflette e trascrive mare disastro e calme e ogni immagine o panorama è filtrato attraverso il video, che li consuma. Dunque, le bombe sono già cadute; i residui bagliori nucleari lontani aiutano ad abbronzare; legioni di nuotatori scatenati da una vitalità ossessionata combattono sul surf; l'onda ci alimenta con pizze radioattive. E quell' "Oh!" ripetuto per quattro capoversi risuona come l'incitamento con cui Ulisse spronava le pecore perché uscissero dalla caverna di Polifemo. Andiamo al mare, il peggio è già concluso.

"Dimmi, dimmi non ti senti come al cinema?" La domanda è in Tropicana. Anche lì l'acqua che ribolle (quindi un mare è vicino), una esplosione che si sta spegnendo dolce (quindi la violenza c'è già stata); infatti si accenna ad una abbronzatura atomica, alla lava incandescente, all'uragano (conseguenza dell'esplosione) che travolge i bungalows. "Dimmi, dimmi non ti senti come al cinema?". Non le hai già viste queste cose? Questa violenza, dopotutto, non ti annoia?
I giovani non temono più il diluvio ma si dispongono a ricevere ciò che resterà del mondo dopo l'esplosione finale. Non molto, se ci sarà qualcosa. La violenza di chi urla correndo sulle onde. I bungalows che bruciano. E su quella parte di sabbia che resta disponibile, personaggi piallati e calcificati, con una passata di spray rosso azzurro sulla faccia, sono sdraiati in una lucida fissità, bersagliati dal riverbero dinamico dei colori che si riversano dai monitor come l'impeto di un'acqua che si sparpaglia intorno e brucia sabbia o erbe. Così cominciano a vivere un poco. Senza contare i morti. Che sono cenere... "perché il sole ha una forza tremenda / e Mara sa che può distruggere il sole e l'universo / e sta vedendo davanti a sé la forza come il film di Guerre Stellari ecc. ecc.".
Non è stato del resto proprio Roversi a scrivere una volta che la canzone è filosofia e festa e tenerezza, e che la verità passa più spesso attraverso la cruna di un ago piuttosto che imboccare con stivali di cuoio i saloni dell'accademia?»

Gianni Borgna, "Storia della canzone italiana", Laterza 1985, pp. 219-221


sabato 18 febbraio 2012

la morte non esiste


Penso e ripenso: - Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.

Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.

- O papera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'é pensato.

Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'essere cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.

Guido Gozzano

venerdì 17 febbraio 2012

customized Jesus


Se c'è una cosa che mi piace della religione cattolica moderna è la sua possibilità di customizzazione. Nessuno, io per primo, vorrebbe una religione antiquata come quella professata in molti paesi del medio oriente, o qualche altra roba che implichi dedizione e sacrifici e rigidità. Insomma, siamo nel 2012, l'anno del contatto, non è che possiamo continuare a interpretare le parole di Dio come nel medioevo.
La religione cattolica è fatta per essere customizzata. Nasce così, in quella forma adatta, modulare. Uno dei comandamenti più interessanti, per esempio, è quello che dice "Non nominare il nome di Dio invano".
Questo è uno dei primi esempi di customizzazione religiosa di alto livello, in altre parole una trasformazione del senso di un dettato religioso ai fini di una sua migliore e più efficace utilizzazione in ambito moderno messa in atto non dalla base ma dall'elite religiosa stessa. (Potete respirare).


Dal blog di quel genio di Gipi. Irriverente, politicamente scorrettissimo: insomma, esilarante.
Clicca qui per continuare a leggere.

giovedì 16 febbraio 2012

bilocazione


Da più di tre anni, questo blog è una sorta di raccolta indifferenziata: il contenitore di tutto ciò che mi passa per la testa. Ho scritto di musica, di poesia, di politica, delle mie letture, delle mie paturnie, dei miei cavoli privati e di mille altre cose. E così continuerà ad essere.
Però sentivo anche il bisogno di fare un po' d'ordine. Perciò ho aperto un altro blog, dove ho deciso di pubblicare solo ed esclusivamente poesie: mie, o di altri.
Si chiama "gusci di noce", e il perché è spiegato nella sezione "che cos'è questo blog". Lo trovate qui.
Per ora, sto solo ripubblicando un po' di roba già uscita qui, in futuro vedremo.
Come sempre, siete i benvenuti, sia qui sia lì.

mercoledì 15 febbraio 2012

comunicare, fare


Se cercate soluzioni, la poesia non è cosa per voi. La poesia si limita ad avanzare proposte, o addirittura accenni di proposte, che ciascuno farà sue a modo proprio. Nel frattempo, proprio nel seguire il suo percorso e nello sforzarci di sentirlo e di dargli un senso, ci ritroveremo in sintonia rituale con tutti coloro che stanno compiendo (o hanno compiuto, o compiranno) la medesima operazione. Molto più che comunicare, la poesia è infatti fare, poiein, anche quando la si sta solo fruendo. E tanto meno la poesia comunica emozioni; al massimo, qualche volta, le produce.


Su Guardare e leggere, una riflessione di Daniele Barbieri sulla lingua della poesia, sul rito, sulla voce e su Edoardo Sanguineti

martedì 14 febbraio 2012

a scary valentine


Questa ragazza si sottrae ad ogni gesto
ed è cieca ai miei inganni, né può
scorgere il filo del mio parlare,
né inciamparvi. Attraversa ogni trama
senza nemmeno sapere a cosa si sottrae,
o forse proprio questo incurante sostare
le dona prodigiosa incolumità. Così,
mi sento quasi una terra abbandonata,
su cui di sera quietamente passeggiano
uomini ed animali; e questa donna
cresce dentro di me, dolorosa
come un uccello vivo nel torace.
Paziente dovrò aspettare
la lenta espunzione di questo corpo estraneo,
che varcando l’orizzonte dei sensi
lascerà di sé solo
la sottile firma d'una cicatrice.

Valerio Magrelli (da "Ora serrata retinae")

lunedì 13 febbraio 2012

su "Passaggi d'anime"


Nei suoi versi [...] c’è un lirismo che quasi ha pudore di farsi troppo scoperto; e si intride magicamente nel paesaggio, dipinto con tocchi a volte tempestosi a volte scarni. [...] Nulla di dichiarato a voce spiegata, tutto sotteso nei gesti della vita, e per questo eternamente vero negli occhi di ognuno.


Due poesie mie su "Passaggi d'anime", ospitate e commentate da Fiorella D'Errico, che ringrazio per le belle parole.

quattro poesie di Giuliano Mesa


quasi più spazio. passa tempo e fa danno,
di schiudere dopo e prima,
senza rima possibile, senza fine,
la goccia diventa un lago, il bosco si disbosca.

(se ci saremo ancora, dopo questo tempo,
saremo prima o dopo, o mentre, appena poco,
il tempo, appena, che ricrescano le unghie,
e i capelli, che la pelle abbia il suo sapore.)

* * *

(di una vita non rimane quasi niente
e quello che rimane, spesso, non è vero)
(prendi a misura, adesso, com’è il rumore,
fuori, della notte)

(di più falso non c’è nulla
che il voler dire il vero)
(è vero questo approssimarsi.
è vero che a qualcosa, sempre,
noi ci approssimiamo
- anzi, ci avviciniamo,
che suona meglio,
ed è meglio di niente)

* * *

fa paura la lingua quando fa
tutti quegli schiocchi o si attorce
(si sloga come per sé, sola, e invece
cosparge di richiami, di vecchie ossa gialle,
giovani vagine, gengive gonfie d’alcool)
la mente – come la chiamano –
teme di assordarsi, che la sfondi
un timpano percosso così forte –
“morte, oh tu che poni mente a noi
dacché noi siamo” –
(e via! anche un fiato di vaniglia,
lo scroto rattrappito e quello enfiato,
le mammelle delle maestrine,
delle cugine, delle nonnine stanche) –
tutto si fa così, poi, non è vero?
a scappa e fuggi, a perdisenso,
in lembi di tempo rugginosi,
soprattutto, infine,
dopo che molto pulsa sempre meno.
mentre la lingua
fa tutti i suoi rumori strani –
shrapnel crachat – i suoi
stordimenti, i suoi fuochi
e ghiacci
e tutto senza mai guarire,
pensa, non si guarisce mai

12 febbraio 1996
per Amelia Rosselli


* * *

giorno è questo. non se pulsasse vena,
fuoco nella faringe, altro.
la femmina del merlo fa schiatta,
senza posa fa che si debba crescere
(anche dalla vetrina addobbata coi laser
si vede che è così, che tutto torna),
il cucciolo del topo si sgranchisce
e sfregia, orinando,
un viluppo di haute couture
(per la sua gioia, però, soltanto:
noi, si ha ben altro a cui pensare)


da: Quattro quaderni (improvvisi 1995-1998), Lavagna, Editrice Zona, 2000
ora in Poesie 1973-2008, Roma, La Camera Verde, 2010

per leggere altro, clicca qui

domenica 12 febbraio 2012

basta poco



La condensa insperata sui vetri
mi permette ghirigori da bambina
segreti come i geroglifici esotici
che ricordo nei libri.

Per tornare indietro basta poco
sembra dire il merlo dal balcone
con compassione.

sabato 11 febbraio 2012

belle sorprese - roba mia su Carte Sensibili


Ieri a Perugia ha nevicato.
Non tantissimo, in verità, ma quei 5-10 centimetri sono stati sufficienti per desertificare le aule. Ovviamente l'amministrazione perugina, che sapeva, non ha provveduto a chiudere le scuole, quindi lo spettacolo surreale che si offriva ieri era quello di un intero istituto scolastico popolato solo da decine di docenti che si aggiravano, annoiati e stralunati (e anche un po' incazzati), per i corridoi echeggianti, senza possibilità di insegnare alcunché a chicchessia.
Io non mi sono perso d'animo: mi sono accaparrato un computer e mi sono dedicato al cazzeggio webbico.
E così, scorrendo distrattamente la lista dei blog qui a destra, ho visto questa cosa qui. Giuro che non ne sapevo niente di niente.
Ma, in una mattinata inutile, è stata almeno una bella sorpresa.

venerdì 10 febbraio 2012

e accattatavìlle!


I più attenti, fra i miei ventiquattro lettori, avranno notato che da qualche mese sono comparsi in edicola dei dischi in vinile. Sì, quella roba grossa, piatta, rotonda, su cui almeno due o tre generazioni (compresa la mia) hanno costruito la propria memoria musicale, prima che i supporti si riducessero di dimensioni fino a polverizzarsi in uno sfrigolio di dati elettronici.
I dischi sono riedizioni di classici del jazz, pubblicati da DeAgostini e curati da Jazzit. Che, per chi non lo sapesse, è la rivista per la quale esercito indegnamente il mestiere di critico musicale.
Qui trovate il sito ufficiale dell'iniziativa, con il piano dell'opera.
Domani, sabato 11 febbraio, ci sarà in edicola "Out To Lunch" di Eric Dolphy. Prezzo, 15 euri (14,99, vabbè...).
Il disco è un capolavoro, uno di quelli imperdibili.
In più, è accompagnato da un bel booklet introduttivo.
In più, il booklet introduttivo l'ho scritto io.
Insomma, compratelo, no?

giovedì 9 febbraio 2012

sondaggio d'opinione


L'antefatto è il seguente: stato invitato a pubblicare qualche mio testo su una rivista internazionale (questa), per un numero che uscirà - probabilmente - l'anno prossimo. Mi sto quindi riguardando la roba pubblicata più o meno recentemente, rigorosamente inedita, per selezionare non più di 5-10 testi.
E allora mi sono detto: chi, meglio dei miei fedelissimi e affezionatissimi 24 lettori del blog, può consigliarmi? Se volete partecipare a questo entusiasmante sondaggio, fate riferimento ai testi compresi sotto la tag "poesie mie".
Io, per me, sarei orientato a scegliere tra questi:

Oniromanzia
Semantica
Le dieu des détails
Natura morta con guscio di tartaruga
Su una mail non arrivata
Down Oxford Road
Economia dei ricordi
Da lontano
Riti di passaggio
L'amore d'inverno
Il pentorale
Questioni di karma
Conad
De consolatione
Memorandum
Variante di valico
Tre poesie della lontananza

mercoledì 8 febbraio 2012

lampi - 174


La parola "dittiere", richiesta da blogger come codice di verifica per un messaggio, è bellissima.
Anche se non esiste.
Anzi, forse proprio per quello.

martedì 7 febbraio 2012

l'ombra della poesia


"La Szymborska lesse alcune di quelle che sarebbero diventate le mie poesie preferite, tra cui La prima fotografia di Hitler, straordinaria. Le lesse in polacco, con vocina minuta, ironica, da topolino. Dopo ogni lettura del testo originale, un attore italiano recitava la traduzione, con un tono impostato e retorico, gonfiandosi il petto sotto la camicia. Ogni parola era perfettamente scandita, la comprensione di ogni poesia era completa. E tuttavia, la differenza risultava impressionante, perchè il contrasto non avveniva soltanto tra due voci e due lingue, ma tra due mondi e due culture.
Da una parte c’era la freschezza di una ragazza ultraottantenne, arrivata da un paese che ha avuto i suoi grandi autori, ma non li ha mai resi un’eredità da scontare. Dall’altra, si sentiva tutto il peso di una tradizione letteraria sempre incombente come quella italiana, qualcosa di opprimente e da riverire, in ogni caso. L’ombra della Poesia sulla poesia".

Andrea Accardi ha scritto quello che per me è il più bel ricordo della Szymborska letto in rete in questi giorni. Se vuoi leggerlo tutto, clicca qui.

lunedì 6 febbraio 2012

la poésie est morte, vive la poésie


"Considerare le poesie solo in base alla loro liricità emotiva è riduttivo e sminuente; molto spesso – soprattutto su internet, ma non solo – si affianca ad una totale noncuranza per qualsiasi aspetto formale e stilistico. Non importa che una poesia sia linguisticamente o metricamente regressiva o insignificante: l’importante è che suoni bene (dove spesso il ritmo è valutato in funzione della sua vicinanza a quello delle canzoni pop) e che trasmetta emozioni. L’unico aspetto stilistico che caratterizza questi testi è un altissimo tasso di metaforicità, che però non sfugge mai alla banalità più ritrita e non è mai considerabile un tentativo sperimentale".


Dov'è la poesia? Dove va? E soprattutto, interessa davvero a qualcuno?
Una riflessione di Claudia Crocco, in risposta a Franco Arminio (continua a leggere qui).

domenica 5 febbraio 2012

ossigeno


Ossigeno nelle mie tende, sei tu, a
graffiare la mia porta d'entrata, a
guarire il mio misterioso non andare
non potere andare in alcun modo con
gli altri. Come fai? Mi sorvegli e
nel passo che ci congiunge v'è soprattutto
quintessenza di Dio; il suo farneticare
se non proprio amore qualcosa di più
grande; il tuo corpo la tua mente e
i tuoi muscoli tutti affaticati; da
un messaggio che restò lì nel vuoto
come se ad ombra non portasse messaggio
augurale l'inquilino che sono io: tua
figlia, in una foresta pietrificata.

Amelia Rosselli (da "Documento", 1966-1973)

sabato 4 febbraio 2012

lampi - 173


Basta: con me non parlo più.

venerdì 3 febbraio 2012

le tranquille avventure della conversazione

Mi resta il ricordo di una persona generosa e mite, che coltivava le tranquille avventure della conversazione, e che spesso mi attribuiva delle idee geniali che non mi avevano neppure attraversato l’anticamera del cervello ma che erano totalmente sue. Con lui si aveva l’impressione di essere più intelligenti, si usciva dalla stanza credendo di aver capito qualcosa in più della vita.

(Sergio Garufi su J. L. Borges - da qui)

giovedì 2 febbraio 2012

tre poesie di Wisława Szymborska


Non occorre titolo

Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in una mattina assolata.
E’ un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti,
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi degni di memoria.

Comunque siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
esattamente come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.

Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato,
il suo venerdì prima del sabato,
il suo maggio prima di giugno.
Ha i suoi orizzonti non meno reali
di quelli nel cannocchiale dei capitani.

Quest’albero è un pioppo radicato da anni.
Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri.
Il sentiero è tracciato fra i cespugli
non dall’altro ieri.
Il vento per soffiare via le nuvole
prima ha dovuto spingerle fin qui.

E anche se nulla di rilevante accade intorno,
non per quello il mondo è più povero di particolari,
peggio fondato, meno definito
di quando lo invadevano i popoli migranti.

Il silenzio non accompagna solo i complotti,
né il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi non solo gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.

Fitto e intricato è il reame delle circostanze.
Il punto della formica nell’erba.
L’erba cucita alla terra.
Il disegno nell’onda in cui si infila un fuscello.

Si dà il caso che io sia qui e guardi.
Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria
ali che sono solamente sue,
e sulle mani mi vola un’ombra,
non un’altra, non d’un altro, ma solo sua.

A tale vista mi abbandona sempre la certezza
che ciò che è importante
sia più importante di ciò che non lo è.

*

Sulla torre di Babele

- Che ora è? – Sì, sono felice,
e mi manca solo una campanella al collo
che su di te tintinni mentre dormi.
- Non hai sentito il temporale? Il vento ha scosso il muro,
la torre ha sbadigliato come un leone, il portale
cigolante sui cardini. – Come, ti sei scordato?
Avevo un semplice vestito grigio
fermato sulla spalla. – E un attimo dopo
il cielo si è rotto in cento lampi. – Entrare, io?
Ma non eri da solo. - D’un tratto ho visto
colori preesistenti alla vista. – Peccato
che tu non possa promettermi. – Hai ragione,
doveva essere un sogno. – Perché menti,
perché mi chiami con il suo nome,
la ami ancora? - Oh sì, vorrei
che restassi con me. – Non provo rancore,
avrei dovuto immaginarlo.
- Pensi ancora a lui? – Non sto piagnendo.
- E questo è tutto? – Nessuno come te.
- Almeno sei sincera. – Sta’ tranquillo,
lascerò la città. - Sta’ tranquilla,
me ne andrò via. – Hai mani così belle.
- È una vecchia storia, la lama è penetrata
senza toccare l’osso. – Non c’è di che,
mio caro, non c’è di che. – Non so
che ora sia e non lo voglio sapere.

*

La cipolla

La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.

mercoledì 1 febbraio 2012

le cose della vita


- Mamma, da grande voglio avere tanti bambini miei.
- Brava, cicci.
- Sì, ma come nascono i bambini?
- Eh, tesoro, ti devi trovare un bravo marito, vi sposate e poi arrivano i bambini.
- Lorenzo! Lui è bravo.
- No, amore, Lorenzo è il tuo fratellino, non può essere tuo marito.
- E come si trovano i mariti? Me lo devo trovare adesso?
- No, non adesso: un giorno incontrerai un bel ragazzo e vi innamorerete.
- Ah... E poi se mi sposo me ne devo andare in un'altra casa?
- Beh, vi trovate una bella casa e ci andate ad abitare.
- E come si comprano le case? Ci sono i negozi che vendono le case?
- Una specie. Ci sono delle persone che le vendono, tu vai lì e le compri.
- Ma una casa è pesante! Come faccio a portarla via?

(...continua ad libitum, fino allo sfinimento del genitore)