domenica 30 agosto 2009

altrove - 3


da: Qui Poddema

Stanza degli aloni.
Una lastra. L'uomo che ci passa davanti deve lasciare un alone grande o piccolo, a seconda della propria importanza grande o piccola.
Già un bambino di cinque anni vi lascia apparire un alone notevole.
Io non riuscii a farne apparire neanche uno. E' come se fossi stato assente. Confuso, me ne andai meditando vagamente su un ritorno più fortunato che mai avvenne. Non spuntava mai nulla su quella lastra, con me davanti.
Me ne andavo, affranto, portando sempre con me l'incresciosa consapevolezza di un uomo senza alone, che sa di essere senza alone. Giacché, quale consolazione si può offrire a qualcuno che ha preso coscienza di non apparire?
Impressione che porta immancabilmente al suicidio. Abbandonai quindi il paese d'Addema per quello d'Ariddema, dove nessuno si preoccupa dell'alone né di apparire davanti a una lastra-giudice, e dove la stanza dei ricordi affliggenti è inutilizzata e pressoché sconosciuta.

*

A Ariddema, vantaggio impareggiabile, c'è la comodità delle case sobrie, ma straordinarie, musicali.
Ogni casa è sistemata in un buco stretto e profondo della roccia, sorta d'astuccio. Terminata la giornata, lasciano cadere una goccia dal centro del soffitto, aperto all'uopo in un punto calcolato, poi un'altra goccia, poi ancora una nuova goccia, gocce all'infinito in una piccola stanza isolata e chiusa ermeticamente, se si eccettua il buco nel soffitto.
Le gocce cadendo producono, per la compressione dell'aria o per qualche altra causa, un suono celeste, cristallino.
Questo flauto magico, voglio dire questa stanza chiusa, vogliodire anche la stanza vicina, voglio dire tutta la casa invasa dalla vibrazione miracolosa e contenuta, scuote l'essere, che se ne va alla deriva, perso, in un'ebbrezza sonora.
Quel suono continuo, ma non senza alti e bassi, va (come intensità) dal mormorio lamentoso del vento tra ic anneti al boato formidabile delle onde che a colpi d'ariete entrano di colpo in una grotta a metà sottomarina, urtandovi disordinatamente, massa sonora, infima o enorme, ma sempre celeste e cristallina; e in quel suono unico e radioso, nel quale però si crede di udirne mille, la casa si addormenta.
Cosa sia questa musica per gli Ariddemani è indicibile. E' la loro madre e il loro padre; la loro culla.

*

Le noie (che hanno con i Poddemani nel vaso) li hanno portati a coltivare alcune specie sedentarie, fissate a un muro, àpodi, con il tronco in un bagno alimentare, e che lavorano di braccia.
Alcuni ricchi, con la corruzione derivante dai troppi piacere e troppe possibilità, possiedono dei Poddemani nel vaso soltanto per ornamento delle loro dimore e per propria distrazione.
Con questi Poddemani coltivati come una pianta a spalliera, occorre seguire delle regole ben precise. Io non le conosco tutte. Le loro braccia numerose non sono tutte ugualmente sane e capaci di sopravvivere a lungo. In certe epoche bisogna persino sacrificarne alcune di proposito, capitozzare un primo braccio sul secondo, questo sul terzo, così di seguito fino al nono, al fine di assicurarsi un solido braccio per la prossima stagione di germogliazione.
Quanto alle estremità, è soprattutto lo spazio a disposizione che vi guida. E inoltre, il gusto dell'armonia nelle masse.
La maggior parte di queste specie sono cannibali. Quasi tutte sono felicemente cieche, prodotte cieche di proposito. Anche così, fissate al serbatoio nutritivo, costituiscono un pericolo.
Certi furbetti vengono a stringere la mano a quei ciechi. E' il grande gioco. Quel gioco è affascinante per i Poddemani nervosi (o sportivi). Ma è pericoloso.
L'intelligenza di quelle creature in parte immerse è un'intellienza sorniona. Un individuo piantato come un albero a spalliera può fingere a lungo di avere solo poca forza di contrazione e lasciarsi stringere le proprie molli mani senza opporre resistenza, poi all'improvviso, sentendo una mano più debole nella propria, la stringe con una stretta dura e sovrumana, la serra, la stritola, l'attira irresistibilmente a sé, mangiando anche il volto, o perlomeno quel che riesce ad afferrare, il naso, le orecchie, persino guance, se un intervento non trae in salvo la sfortunata vittima. I bambini in fasce, i bambini piccoli, li mangerà quasi interi... se un caso fortunato glieli lascia in balia. Ecco il rischio. Ma gli abitanti lo corrono. Sembra tuttavia che l'usanza sia in via di estinzione. Una certa vergogna, forse. Ma presso i Kanidìs questa vergogna è sconosciuta. Passerebbe persino per morbosa.

(Henri Michaux, Altrove, Quodlibet 2005)

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