Interrompo nuovamente il letargo del blog (ma c'è qualcuno che ancora mi segue? batta pure un colpo) per annunciarvi l'arrivo di un nuovo pargoletto.
Qui la pagina dell'editore da cui si può scaricare la scheda di presentazione con qualche anteprima.
sabato 1 aprile 2023
newborn
mercoledì 27 luglio 2022
here I am (again)
Resuscito questo blog dal suo letargo ormai atavico per segnalare che è uscito un mio volumetto di traduzioni poetiche, intitolato "L'officina metrica".
Come già il titolo denuncia, si tratta di traduzioni in metrica di autori che vanno dall'antichità classica (Orazio, Properzio, Marziale) fino alle soglie della modernità (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Thomas Hardy), passando per tutto ciò che c'è nel mezzo.
Il libro esce per le Edizioni Gattogrigio e si può acquistare qui, al modico prezzo di euro 7,99.
Qui un pezzo di Roberto R. Corsi, che figura anche come postfazione.
giovedì 21 ottobre 2021
sul davanzale
Le surfinie dell'Eda
sono ancora vive – per quanto
un po' vizze e afflosciate –
nonostante nessuno le abbia
annaffiate negli ultimi giorni (o settimane).
Oggi Antonio rientrava dal lavoro
non ha incrociato il mio sguardo
e io non ho avuto il coraggio di chiamarlo.
Bisognava capire tutto
dalle foglie secche dell'edera non più potate
dal silenzio in giardino dagli incontri
sempre più radi.
Ora si ricorda l'ultima conversazione
mesi fa – l'automobile
da spostare più in là perché intralciava
le informazioni di circostanza
su famiglia e salute.
(Si può dire – così chiacchierando –
che la macchia nera è ormai lì
nell'angolo del polmone
che ha seminato virgulti
persino tra le meningi?)
Bisognava capire tutto
bisognava volerlo capire.
lunedì 12 ottobre 2020
"Non vogliono tutti l'amore?" 6 poesie di Louise Glück
Ogni volta che viene assegnato il premio Nobel per la letteratura si ripete lo stesso copione: chi? ma chi è? chi lo/la conosce? ma se lo meritava? e perchè invece non... [inserire un nome a caso fra quelli degli eterni papabili]?
Louise Glück non è sfuggita alla regola. È vero che di suo, in italiano, sono state tradotte solo un paio di raccolte, per di più a opera di piccoli editori con scarsa o nulla distribuzione: L'iris selvatico, Varese, Giano, 2003; e Averno, Napoli, Libreria Dante & Descartes / Editorial Parténope, 2019, entrambe nella traduzione di Massimo Bacigalupo.
Però di lei si erano occupate, per quel che so, almeno due delle riviste specialistiche più diffuse nel settore: Poesia di Crocetti (n. 170, marzo 2003) e Nuovi Argomenti (n. 75, settembre 2016). E si tratta comunque di un'autrice che scrive in lingua inglese, quindi facilmente accessibile a qualunque lettore di media cultura, tanto più che il suo linguaggio è di solito piuttosto piano e trasparente.
Quanto
a me, avevo orecchiato il suo nome ma, confesso, non avevo letto
nulla di lei, o se l'avevo fatto non me ne era rimasto alcun ricordo.
Quindi, siccome non mi piace parlare a vanvera, all'annuncio del
Nobel ho cominciato a cercare testi suoi in rete; ho anche fatto quel
che faccio sempre, quando voglio capire un poeta: me ne sono tradotti
alcuni, senza alcun ordine preciso, in base a ciò che trovavo e a
ciò che mi colpiva.
Vi
presento i risultati di questa prima esplorazione. Tutte le
traduzioni sono mie.
Buona lettura.
* * *
da: "The Wild Iris" (2002)
VESPRO
Nella tua assenza prolungata, mi permetti
l'uso della terra, mi anticipi
i proventi dell'investimento. Devo riferire
di aver fallito nel compito, soprattutto
per quanto riguarda i pomodori.
Non penso che dovrei essere incoraggiata a coltivare
pomodori. O, se proprio devo, tu dovresti rimandare
le lunghe piogge, le notti fredde che quaggiù
vengono così spesso, mentre altre regioni
hanno quattro mesi d'estate. Tutto ciò
è di tua pertinenza: d'altra parte
io ho piantato i semi, ho guardato i primi germogli
come ali lacerare il suolo ed è stato il mio cuore
a spezzarsi per la ruggine, le macchie nere che rapide
si moltiplicavano per i filari. Dubito
che tu abbia un cuore, nel senso che
diamo alla parola. Non fai differenze
tra i morti e i vivi, che sono, di conseguenza,
immuni al presagio, potresti non sapere
quanto terrore sopportiamo, la foglia macchiata,
le foglie rosse dell'acero che cadono
persino ad agosto, nel buio precoce: io sono responsabile
per queste piante.
(Testo originale: https://poets.org/poem/vespers)
* * *
IL PAPAVERO ROSSO
La
cosa bella
è
non avere
una
mente. Sensazioni:
oh,
quelle le ho; mi
governano.
Ho
un
signore nel cielo
chiamato
sole, mi apro
per
lui, gli mostro
il
fuoco del mio cuore, fuoco
come
la sua presenza.
Cosa
potrebbe essere una tale gloria
se
non un cuore? O fratelli e sorelle
non
eravate come me, tanto tempo fa
prima
di essere umani? Voi
permettevate
a voi stessi
di
aprirvi una volta, voi che mai
vi
aprireste di nuovo? Perché in verità
ora
sto parlando
come
fate voi. Parlo
perché
sono distrutto.
(Testo originale: https://poets.org/poem/red-poppy-0)
* * * da: "Averno" (2006)
UN MITO DI ACCUDIMENTO
Quando Ade decise che amava questa ragazza
costruì
per lei un duplicato della terra,
tutto
identico, fino ai prati,
ma
con in più un letto.
Tutto
identico, anche la luce del sole,
perché
sarebbe dura per una ragazza giovane
passare
così di colpo dalla luce alla tenebra completa.
Un
po' per volta, pensò, avrebbe introdotto la notte,
prima
in forma di ombra tremula di foglie.
Poi
la luna, poi le stelle. Poi niente luna, né stelle.
Persefone
lentamente si sarebbe abituata.
Alla
fine, pensò, l'avrebbe trovato rassicurante.
Una
replica della terra
tranne
che lì c'era amore.
Non
vogliono tutti l'amore?
Aspettò
molti anni,
costruendo
un mondo, guardando
Persefone
nei prati.
Persefone
annusava, assaggiava.
Se
hai un appetito, pensava,
li
hai tutti.
Non
vogliono tutti sentire nella notte
il
corpo amato, bussola, stella polare,
sentire
il respiro quieto che dice
“Sono
viva” e significa anche
tu
sei vivo, perché mi ascolti,
sei
qui con me. E quando una si gira,
si
gira anche l'altro...
Questo
sentiva, il signore delle tenebre,
mentre
guardava il mondo che aveva
costruito
per Persefone. Non gli passò mai per la mente
che
qui non c'era più olfatto,
e
di certo nemmeno cibo.
Colpa? Terrore? Paura
dell'amore?
Queste cose non poteva
immaginarle;
nessun amante le immagina
mai.
Sogna, fantastica come
chiamare questo posto.
Prima pensa: “Il nuovo
Inferno”. Poi: “Il Giardino”.
Alla fine, decide di
chiamarlo
“L'adolescenza di
Persefone”.
Una luce morbida si leva sul
prato ben spianato,
dietro il letto. La prende
tra le braccia.
Vorrebbe dire “Ti amo,
nulla può farti male”
ma pensa
che è una bugia, perciò
alla fine dice
“Sei morta, nulla può
farti male”
che gli pare
un inizio più promettente,
più vero.
(Testo originale: https://poets.org/poem/myth-devotion)
*
* *
PERSEFONE VAGABONDA
Nella prima versione, Persefone
viene
sottratta alla madre
e la
dea della terra
punisce
la terra: cio è
coerente con ciò che sappiamo del comportamento umano,
che
gli esseri umani traggono una profonda soddisfazione
nel
far del male, soprattutto
se il
male è inconsapevole:
questo
potremmo chiamarlo
creazione
negativa.
Il soggiorno iniziale
di Persefone agli inferi continua ad
essere
palpeggiato dagli studiosi che
disputano
sulle sensazioni della vergine:
fu consenziente nello stupro,
oppure venne drogata, violata contro la
sua volontà,
come accade tanto spesso alle ragazze
di oggi.
Tutto è ben noto, il ritorno
dell'amata
non corregge
la perdita dell'amata: Persefone
torna a casa
macchiata di succo rosso come
un personaggio di Hawthorne...
Non sono sicura di voler
mantenere questa parola: la terra
è “casa” per Persefone? È
plausibile che si senta a casa
nel letto di un dio? Non è
a casa in nessun posto? È
una vagabonda nata, in altre parole
una replica esistenziale di sua madre, meno
azzoppata da idee di causalità?
Siete autorizzati a non farvi piacere
nessuno, lo sapete. I personaggi
non sono persone.
Sono aspetti di un dilemma o di un
conflitto.
Tre parti: così com'è divisa l'anima,
ego, superego, id. Allo stesso modo
i tre livelli del mondo conosciuto,
una sorta di diagramma che separa
il cielo dalla terra dagli inferi.
Dovete chiedervi:
dove sta nevicando?
Bianco d'oblio,
di profanazione...
Nevica sulla terra: il vento freddo
dice
che Persefone fa sesso negli inferi.
A differenza di noi, lei non sa
che cosa sia l'inverno, soltanto che
è lei a causarlo.
Giace nel letto di Ade.
Che cos'ha in mente?
Ha paura? Qualcosa
ha rimosso l'idea
della mente?
Sa che la terra è governata
da sua madre, almeno questo
è sicuro. Sa anche
che non è più ciò che si chiama
una ragazza. Per quanto riguarda
la carcerazione, crede
di essere stata prigioniera sin da quando è una figlia.
I terribili ricongiungimenti che la
aspettano
occuperanno il resto della sua vita.
Quando la passione per l'espiazione
è cronica, feroce, non scegli
il modo in cui vivi. Non vivi;
non sei autorizzata a morire.
Vaghi fra la terra e la morte
che alla fine sembrano
ugualmente strane. Gli studiosi ci
dicono
che non ha senso sapere che cosa vuoi
quando le forze che ti si contendono
possono ucciderti.
Bianco d'oblio,
bianco di sicurezza...
Dicono
ci sia una frattura nell'anima umana
che non fu costruita per appartenere
del tutto alla vita. La terra
ci chiede di negare la frattura, una
minaccia
mascherata da consiglio:
come abbiamo visto
nella storia di Persefone
che andrebbe letta
come una contesa tra madre e amante:
la figlia non è che carne.
Quando la morte la affronta, non ha mai
visto
il prato senza margherite.
All'improvviso non sta più
cantando il suo canto virginale
sulla bellezza e fecondità
di sua madre. Dove
c'è la frattura, lì è la pausa.
Canto della terra
canto della visione mitica di vita
eterna...
La mia anima
distrutta dallo sforzo
di cercare di appartenere alla terra...
Che cosa fareste voi,
quando
è il vostro turno in campo con il dio?
(Testo originale: https://poets.org/poem/persephone-wanderer)
* * *
MIGRAZIONI NOTTURNE
È
questo il tempo in cui di nuovo vedi
le
bacche rosse del sorbo
e nel
cielo scuro
le
migrazioni notturne degli uccelli.
Mi
addolora pensare
che i
morti non le vedranno:
le cose
in cui confidiamo,
svaniscono.
E
allora come farà l'anima a consolarsi?
Forse,
mi dico, di questi piaceri
non
avrà più bisogno,
forse già il non essere è abbastanza,
per
quanto difficile sia immaginarlo.
(Testo originale: https://poets.org/poem/night-migrations)
* * *
(da: “Poetry”, gennaio 2013)
PAESAGGIO ABORIGENO
Stai
calpestando tuo padre, disse mia madre,
e in
effetti ero in piedi nel centro esatto
di un
manto erboso, talmente curato da poter essere
la
tomba di mio padre, anche se nessuna lapide lo diceva.
Stai
calpestando tuo padre, ripetè,
stavolta
più forte, e io cominciai a trovarlo strano
perché
era morta anche lei; l'aveva ammesso persino il dottore.
Mi
spostai un po' più in là, dove
finiva
mio padre e cominciava mia madre.
Il
cimitero era silenzioso. Il vento soffiava tra gli alberi;
sentivo,
debolissimo, un pianto parecchie file più in là,
e,
ancora oltre, un cane ululare.
Dopo un po' questi suoni si
placarono. Mi resi conto
che non ricordavo di essere
stata portata lì,
in quello che ora pareva un
cimitero, ma poteva anche essere stato
un cimitero solo nella mia
mente; forse era un parco, o altrimenti,
un giardino o un pergolato,
con profumo, me ne accorgevo adesso, di rose...
La douceur de vivre
riempiva l'aria, la dolcezza di vivere,
come si
suol dire. A un certo punto,
mi
accorsi di essere sola.
Dov'erano andati gli altri,
i cugini e le sorelle,
Caitlin e Abigail?
Adesso la luce stava
svanendo. Dov'era l'automobile
che ci aspettava per
portarci a casa?
Allora cominciai a cercare
un'alternativa. Sentivo
crescere in me l'impazienza,
avvicinarsi, direi, l'ansia.
Infine, a grande distanza,
scorsi un trenino,
si fermò, così pareva,
dietro il fogliame, il controllore
si attardava sulla soglia, a
fumare una sigaretta.
Non dimenticatemi, gridai, e
adesso correvo
su molti lotti di terra,
molti padri e madri...
Non dimenticatemi, gridai,
quando infine lo raggiunsi.
Signora, disse, indicando i
binari,
lei di certo non ha capito
che questa è la fine, i binari non proseguono.
Erano parole aspre, le sue,
eppure gli occhi erano gentili;
questo mi incoraggiò a
perorare più fortemente la mia causa.
Ma tornano indietro, dissi,
e rimarcai
la loro robustezza, come se
ancora fossero destinati a molti ritorni.
Lei lo sa, disse, che il
nostro è un lavoro difficile: affrontiamo
molto dolore e disappunto.
Mi fissava con crescente
franchezza.
Anch'io ero come lei,
aggiunse, innamorato dell'agitazione.
Ora gli parlavo come a un
vecchio amico:
E tu allora, dissi, perché
era libero di andarsene,
tu non desideri tornare a
casa,
rivedere la città?
Questa è casa mia, disse.
In
città – è in città che scompaio.
(Testo originale: https://www.poetryfoundation.org/poetrymagazine/poems/56626/aboriginal-landscape)
sabato 10 ottobre 2020
una poesia di mio figlio
Sono il relitto di una bellissima nave
sono sul fondo del mare da più di
duemila anni
e sono affondata durante una tempesta.
Trasportavo statue, bellissime statue
che rappresentavano gli dei e le dee
e ora sono coperte di alghe e
conchiglie
e i pesci intorno ci nuotano.
Un giorno mentre ero nella mia solita e
tetra solitudine
un uomo mi tovò, un sub; io ero lì
immobile
mentre lui mi esplorava, poi se ne
andò,
lasciandomi da sola.
Qui, nelle profondità del mare, è
buio
come una notte in una oscura foresta
infestata da fantasmi.
Rimasi qui, per sempre, con solo la
compagnia
di pesci e qualche animale marino.
La vita è triste in fondo al mare,
nessuno mi considera,
sono come una formica vicino a altre
mille,
come una piccola nota di una grande
canzone.
Anche ora aspetto qui che il mare mi
consumi
e mi riduca in niente.
(Lorenzo,
10 anni)
sabato 26 settembre 2020
altri frammenti di un discorso
Io non
voglio essere niente.
La bellezza le circonda la testa
come una casa nel temporale.
Il volto macchiato dall'attesa.
La città li separa
brulica di incoativi.
Lui vorrebbe guardarla dall'alto
come guarda un gatto o un satellite.
Accenna i gesti senza terminarli.
Non so mai
se sto parlando con te
le dice. Quando la guarda è lontana.
Il vento ha levigato la strada.
Nella luce ascolta un grido altissimo.
* * *
Sul pavimento gelato
lascia impronte di tepore.
Qualcosa di enorme brucia sullo schermo.
Lei è nuda fino al pube.
Lui le preme gli occhi sul ventre
come a una cengia si afferra
a quei minuscoli seni.
Per te sono
stata un golfo
tornavi a
uccidere la sete.
Ora l'incendio blocca l'orizzonte.
Lei è solida sul suolo
contro il peso di lui.
Lui sente gonfiarsi la linfa.
* * *
Ora che non c'è
prova a ricordare gli angoli
polso rotula metatarso
ma i vettori si confondono
l'onda d'urto lo dilania.
Le scrive parole a strappi:
I muri
pencolano. I suoni
fanno
attrito. I tuoi seni
premono la stoffa.
Ora che è divelto
vede tutto chiaro e pesante.
La luce dell'alba lo invade
gli incuba sul petto.
* * *
Tutto il mondo intorno è un grande sobbollire. La pignatta della
storia forza il coperchio.
Hanno attraversato lunghi anni di pianura con la foga di bestie senza
sella. Hanno divorato le proprie membra in corsa. Nessuno si fermava
per i caduti.
La guerra era un verde spettacolo di luci all'orizzonte.
Lui la ricorda ridere sotto la pioggia più gelida. Lei lo guarda
rialzarsi con la mascella rotta.
Nessuno aveva visto il tempo
esaurirsi.
Nell'immagine: "Donna che si copre il seno" (disegno mio)
pennarelli, 2000 circa
venerdì 25 settembre 2020
due limerick
Un iroso dantista di Collegno
leggeva solo il Dante del Sapegno;
a chi lo criticava
sgarbato replicava:
"Ora l'Inferno te lo do sul grugno!"
* * *
Un messicano a San Giovanni in Bagno
masticava il suo bravo jalapeño.Gli chiesero: "Perché
non torni a Santa Fé?"
Lui non rispose e li guardò con sdegno.