Si chiede se sia meglio odiare i singoli uomini, ma amare l'umanità, oppure viceversa.
sul Primo amore
14 ore fa
La vicenda di Stefano Cucchi è orrenda, ma almeno è venuta alla luce, e c'è qualche speranza che vi si faccia chiarezza. Lo stesso per casi arrivati all'onore delle cronache, come quelli di Federico Aldrovandi o Gabriele Sandri.



Milton Nascimento / Lô Borges, "Clube da Esquina" (World Pacific 1972)
Chico Buarque, "Construção" (EmArcy 1971)
Nina Simone, "Jazz as played in an exclusive side street club" (a.k.a. "Little Girl Blue") (Betlehem 1958 / rist. Charly 2002)
Ahmed Abdul-Malik, "Jazz Sahara" (Riverside 1958)
Si tengono tanti discorsi per attutire, nascondere, motivare nei modi più diversi le difficoltà di convivenza fra gli immigrati e i vari popoli d'Europa, ma, di fatto, viviamo malissimo; e uno dei fattori principali di questa sofferenza è il timore, ormai inculcato in noi dai nostri governanti fin dalla nascita, che il malessere sia dettato dal razzismo. Bene, tranquillizziamoci: il razzismo non c'entra per nulla. Stiamo male perché siamo costretti a vivere nello stesso territorio con popoli diversi da noi, e diversi prima di tutto fisicamente. Le diversità fisiche colpiscono subito e creano immediatamente un senso d'estraneità. È la Natura che fa sì che i parenti si somiglino fisicamente fra loro, i genitori con i figli, con i fratelli, e poi, gradualmente sempre meno: i nipoti, i cugini, fino alle somiglianze di gruppo…
L'uguaglianza, cui ci si riferisce oggi in continuazione, è un valore meta-fisico, di cui sono in possesso tutti gli esseri umani in quanto esseri umani, prescindendo da qualsiasi altro connotato, fisico, psichico, sessuale, etnico… ma si tratta di un valore filosofico, difficilissimo da comprendere e da realizzare, e che non ha nulla a che fare con uguaglianze concrete, di cui, per fortuna, non esistono esempi in natura. Non c'è foglia uguale ad altra foglia, come dice un vecchio e saggio adagio popolare.
L'estraneità fisica è la caratteristica maggiore che impedisce agli uomini di potersi «identificare» l'uno nell'altro, sentirsi psicologicamente «simili». Maschio e femmina lo sanno benissimo: è impossibile per una donna identificarsi in un maschio, e viceversa. Ma è ugualmente quasi impossibile per un «bianco» identificarsi in un «nero»: comprendere i sentimenti, le percezioni, i gusti, intuire il tipo di intelligenza, le reazioni, gli interessi. Se si aggiunge a questo dato di partenza, la differenza di lingua, di religione, di storia culturale, ci si rende conto che vivere sullo stesso territorio non significa vivere «insieme». Non si amano le stesse cose; non si desiderano le stesse cose; soprattutto non si lavora per lo stesso futuro, non si hanno le stesse mete.
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Perché mai gli immigrati non dovrebbero avere come meta di poter governare, avere la maggioranza, poterci dominare? Sono uomini e come tali non possono desiderare altro che lasciare la propria impronta nella storia, far vincere la propria lingua, la propria religione, il proprio gruppo… Insomma, se non si cambia del tutto la rotta seguita fino ad oggi, noi non abbiamo futuro.
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Questo è il razzismo, questa è l'eredità genetica, questa è la peggiore delle ingiustizie. L'Unione Europea è in crisi perché era fin dal principio un'idea irrealizzabile. Ancor più irrealizzabile è l'idea dell'Unione Mondiale. Cominciamo a lavorare per sopravvivere come italiani.

Quando, nel 1992, uscì “Canzoni d'amore”, io ero allo zenith della mia infatuazione degregoriana (nel senso che da allora in poi cominciò a decrescere). Poco dopo l'uscita del disco, De Gregori intervenne in un programma radiofonico dove chiacchierava con il presentatore e rispondeva alle telefonate degli ascoltatori.
C'è ragione di notare l'indocile licenza di quel membro, che si ingerisce tanto inopportunamente quando non sappiamo che farne, e tanto inopportunamente viene meno quando ne abbiamo più bisogno, e che combatte così imperiosamente di autorità con la nostra volontà, respingendo con tanta fierezza e ostinazione le nostre sollecitazioni e mentali e manuali. Tuttavia, poiché si rimprovera aspramente la sua ribellione e si fa di essa una prova per ottenere la sua condanna, se esso mi avesse pagato per difendere la sua causa, forse farei ricadere sulle altre nostre membra, sue compagne, il sospetto di essere andate a metter su contro di lui questa vertenza fittizia per invidia bella e buona dell'importanza e dolcezza del suo uso, e di aver, per complotto, armato tutti contro di lui, malignamente addossando a lui solo la loro colpa comune. Vorrei infatti che vi domandaste se ci sia una sola parte del nostro corpo che non rifiuti spesso la sua opera alla nostra volontà , e che spesso non la compia contro la nostra volontà. Ciascuna di esse ha passioni proprie che la risvegliano e l'addormentano senza il nostro permesso. Quante volte espressioni incontrollabili del nostro viso rivelano i pensieri che tenevamo segreti e ci tradiscono davanti agli altri. Quella stessa causa che muove quel membro, a nostra insaputa muove anche il cuore, i polmoni e il polso; e infatti la vista d'un oggetto gradevole diffonde imprecettibilmente in noi la fiamma di un'emozione febbrile. Vi sono forse soltanto quei muscoli e quelle vene che si rizzano e abbassano senza il consenso, non solo della nostra volontà, ma anche del nostro pensiero? Noi non comandiamo certo ai nostri capeli di rizzarsi e alla nostra pelle di fremere di desiderio o di timore. La mano va spesso dove noi non la mandiamo. La lingua si paralizza e la voce s'arresta a piacer suo. Proprio quando, non avendo nulla da mangiare, glielo proibiremmo volentieri, la voglia di mangiare e di bere non ristà dall'agitare le parti che le sono soggette, né più né meno di quell'altra voglia; e allo stesso modo ci abbandona, fuori di proposito, quando le piace. Gli organi che servono a scaricare il ventre hanno le loro propire dilatazioni e contrazioni, oltre e contro il nostro volere, come quegli altri destinati a scaricare i nostri reni. E quel fatto che sant'Agostino cita per comprovare l'onnipotenza della nostra volotnà, cioè di aver visto qualcuno che comandava al suo deretano quanti peti voleva, e che Vives, suo glossatore, rafforza con un altro esempio del tempo suo, di peti armonizzati secondo il tono dei versi che si recitavano, non garantisce affatto una obbedienza più assoluta di quella parte del corpo, perché in generale esso è uno dei più indiscreti e tumultuosi. Si aggiunga che ne conosco uno tanto turbolento e ribelle, che sono quarant'anni che tiene il suo padrone a scoreggiare con una lena e con un impegno costante e ininterrotto, e così lo porta alla morte.
Hugo Pratt / Héctor Oesterheld, "Sgt. Kirk. Rinnegato!", Rizzoli 2009 (192 pp., 22 €)
Promemoria
Io sono Geronimo. Autobiografia, Theoria 1994 (169 pp.)
Il blog di Tito Faraci rammenta giustamente che due giorni fa cadeva il centenario della nascita di un genio: Alex Raymond (nato il 2 ottobre 1909 e morto in un incidente stradale il 6 settembre 1956, a soli 47 anni).
In pratica, ha già detto tutto lui, e gli altri non hanno fatto altro che continuare il lavoro.
C’è stato un periodo in cui ero convinto di essere Bill Evans.