Andrea De Carlo, Due di due, Mondadori 1996 (prima ed. 1989) (385 pp.)
Mai letto nient'altro di De Carlo. Anzi, non avrei letto neanche questo se qualche sera fa, dopo una cena dalla suocera, nell'abbiocco causato dalla digestione di una sovrabbondante pasta al forno, non l'avessi intravisto su uno scaffale.
L'ho cominciato, in verità, senza troppa convinzione, dato che la vicenda è tra le più viste, lette e sentite: un'amicizia adolescenziale, l'amico perbene ma insoddisfatto che incontra l'amico ribelle. Scelte di vita, esistenze che si trovano e separano. Jack Frusciante cinque anni prima, verrebbe da dire (del resto, se non ricordo male Brizzi citava esplicitamente questo romanzo). O Le grand Meaulnes settantasei anni dopo, a seconda dei punti di vista.
La storia comincia a Milano alla fine degli anni Sessanta. Mario, il narratore, è un ragazzo di buona famiglia, iscritto al liceo classico ma oppresso dall'atmosfera sepolcrale della scuola e della società borghese. Fa amicizia con Guido, intelligente e inquieto, e con lui condivide letture, esperienze, ragazze, fino al coinvolgimento nel Sessantotto. Ma ben presto l'ansia libertaria delle rivolte giovanili viene strangolata dalla politica, l'immaginazione al potere è soppiantata dai diktat di partito, la passione e l'entusiasmo si trasformano in dogma e in violenza. Guido si avvicina all'anarchismo, poi insoddisfatto molla tutto, scuola politica ragazza famiglia, decide di partire. Lascia l'Italia per girare il mondo, inseguendo la propria irrequietezza.
Mario fa una scelta simile ma opposta: fugge da Milano, si rifugia in cima all'Appennino e lì si crea un'utopia agraria autosufficiente, trova l'amore, mette su famiglia, lontano da tutto ciò che aveva sempre odiato ma da cui non era mai riuscito a sganciarsi. Mario, insomma, è la terra, il desiderio di serenità e di radici; Guido è l'aria, l'incapacità di fermarsi, adattarsi, assumere una forma. “Può anche essere la storia delle due parti di una stessa persona”, ha affermato De Carlo.
Nel corso di vent'anni, i due si perderanno e ritroveranno molte volte, sempre diversi ma sempre fedeli l'uno all'altro, fino al finale che ovviamente non svelo.
De Carlo racconta la vicenda (in parte autobiografica) con uno stile piano e scorrevole, verrebbe da dire “medio”, nel senso che evita gli eccessivi scarti sia stilistici sia emotivi. Non evita, invece, gli scivoloni in certe facili mitologie anarcoidi-ecologiste-new age. Ma tutto sommato ho letto ben di peggio.
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5 commenti:
"Ma tutto sommato ho letto ben di peggio" - insomma, sei entusiasta !
dai è carino!
non è un capolavoro, ma si lascia leggere volentieri.
funziona se lo si vede come la storia di un'amicizia, un po' meno se si bada alle implicazioni politico-ecologistiche. ma in fondo basta non badarci, e godere quel che di buono c'è del libro.
che comunque è scritto bene, in modo lineare e scorrevole, e rende con efficacia sia i due personaggi principali, sia i numerosi comprimari.
paaasta al foooornooo ?!? quella pugliese con le polpettine piccole piccole ?
no, una pasta al forno perugina.
ottima, comunque.
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