Quando, nel 1992, uscì “Canzoni d'amore”, io ero allo zenith della mia infatuazione degregoriana (nel senso che da allora in poi cominciò a decrescere). Poco dopo l'uscita del disco, De Gregori intervenne in un programma radiofonico dove chiacchierava con il presentatore e rispondeva alle telefonate degli ascoltatori.
Durante una di queste telefonate, De Gregori chiese se poteva fare lui una domanda all'ascoltatore, e la domanda fu: “Secondo te, quelle di questo disco sono canzoni popolari?”. L'ascoltatore, chiaramente preso alla sprovvista, gli chiese che cosa intendesse con “canzoni popolari”, e De Gregori rispose “come quelle che cantavano una volta le mondine”, e citò anche La canzone popolare di Ivano Fossati, che credo fosse uscita poco prima. (L'ascoltatore, poi, cominciò a balbettare in preda all'imbarazzo, e De Gregori glissò educatamente sulla domanda).
L'episodio mi è tornato in mente durante la discussione relativa a questo post, dove presentavo qualche video di un tamarro di nome Gigione, che gira piazze e tv locali proponendo canzonacce a base di doppi sensi più o meno pecorecci, balletti collettivi e altre simili pacchianate.
L'argomento della discussione non era tanto la qualità della musica (ovviamente escrementizia), bensì se la musica di Gigione si potesse definire “musica popolare”.
Il mio interlocutore sosteneva di sì, in quanto “attinge dai sentimenti, dagli umori e dai costumi degli strati più bassi e meno sviluppati economicamente e culturalmente della popolazione”. Gigione, insomma, aderirebbe autenticamente a un “sostrato popolare oramai ben formato, definito e consolidato”.
Io invece sostenevo di no, perché per come la vedo io non si tratta affatto di un “sostrato popolare”, bensì di sottocultura televisiva di quart'ordine. La cultura “popolare” (o “contadina”, se si preferisce: e facevo l'esempio di Matteo Salvatore) nasceva dal basso, e spesso addirittura in opposizione alla cultura "alta", mentre la musica di Gigione rappresenta, secondo me, nient'altro che l'adesione supina a modelli culturali imposti dall'alto. Tale adesione può essere anche “autentica”, ossia sincera, sta di fatto che sono quei modelli ad essere falsi e artefatti.
In altri termini, per me la musica "popolare", o "folklorica" che dir si voglia, smette di esistere nel momento in cui smette di esistere un'entità chiamata "popolo", distinta culturalmente, altra rispetto alla cultura "alta". E questo è esattamente quel che è successo negli ultimi 50-60 anni, e che Pasolini aveva puntualmente predetto.
Intendiamoci: che siano scomparse certe differenze sociali, economiche e culturali mi sembra una cosa sacrosanta e giustissima, ma il problema è che nella società occidentale contemporanea il livellamento sociale e culturale provocato dai mezzi di comunicazione di massa ha creato un unico continuum culturale, che va da Briatore o Berlusconi fino all'ultima delle casalinghe. Non esiste più una cultura "popolare" distinta da quella dominante, ma solo diverse gradazioni di potere economico e mediatico all'interno di un'unica, pervasiva melassa.
La musica “popolare” si è trasformata in pop music, prodotto di un'industria culturale che ormai pervade e domina le produzioni musicali, e di questo la musica di Gigione, con i suoi scimmiottamenti pseudo-televisivi, è un esempio eclatante (e volendo potremmo parlare anche della povera taranta salentina, ormai ridotta a fenomeno da baraccone: non a caso tempo fa dicevo, scherzando ma non tanto, che dovrebbe essere proibito ballare la taranta a chi non abbia almeno 60 anni e/o non presenti una congrua dose di calli da zappa sui palmi delle mani).
Oppure, la musica “popolare” viene recuperata in maniera colta e consapevole, magari artisticamente riuscitissima, ma ormai non più “popolare”.
Insomma, questo è quanto. Chi vuol dire la sua è benvenuto.
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14 ore fa
4 commenti:
Quello che definisci un "continuum" culturale (e antropologico) che va da Berlusconi a Briatore fino alla casalinga di Voghera, tanto continuo non è. Nel senso che può essere considerato un continuum solo se ci si riferisce ad un aspetto particolare, cioè alla tensione costante di gran parte della civiltà borghese verso modelli simili di riferimento e comportamento (quindi è un continuum teorico, potenziale). Questa tensione però si risolve spesso in maniera diversa per ogni strato sociale: per questo motivo anche nella società borghese è possibile riconoscere strati sociali che, seppur per certi tratti possono essere sovrapponibili, per altri tratti sono sostanzialmente diversi. Per fare un esempio estremo ma chiarificatore, non posso credere che Briatore possa identificarsi nelle canzoni di Gigione. Insomma a mio parere la musica neomelodica napoletana e tutto quanto le ruota attorno appartengono ad uno strato sociale basso e ben definito e sono a pieno diritto musica popolare.
morksh
Forse Briatore non si identifica nella musica di Gigione, ma si identifica in un modello di comportamento (di origine televisiva) che si rifà alla stessa matrice, sebbene in gradazioni diverse.
Detto altrimenti, la musica di Gigione è una versione degradata e involgarita dello stesso modello televisivo-consumistico a cui si rifanno i vip della Costa Smeralda. Le ballerine del primo video sono una (brutta) copia delle Veline o Letterine o simili. E questo è ancora più evidente nei due figli: Gigione è una specie di Fiorello dei poveri, e Menayt è la versione tamarra di Laura Pausini.
Forse, in effetti, è diverso è il caso della musica neomelodica napoletana, a cui però non credo che Gigione sia associabile in toto.
errata corrige:
"Jò Donatello è una specie di Fiorello dei poveri".
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