venerdì 30 settembre 2011
lampi - 154
La sola vera distinzione all'interno dell'umanità: chi accetta la merda, e chi cerca di tirarsene fuori.
giovedì 29 settembre 2011
mercoledì 28 settembre 2011
libero arbitrio (ovvero: esegesi delle aporie nell'era di Yahoo)
"Il conferimento dei Dati di Registrazione ha natura facoltativa. Tuttavia, il mancato conferimento, anche parziale, dei Dati di Registrazione indicati espressamente come necessari per il perseguimento delle finalità di cui al precedente punto 1, lett. (i) determinerà l'impossibilità per Yahoo! di procedere all'erogazione dei Servizi. [...] Anche la prestazione del consenso alla raccolta dei dati personali relativi alla navigazione, effettuata attraverso l'utilizzo di cookies o altre tecnologie, è libera e facoltativa. Tuttavia, la sua mancata prestazione da parte dell'Utente determinerà l'impossibilità per Yahoo! di procedere all'erogazione dei servizi per i quali è necessaria la registrazione."
(cit. dalle condizioni d'uso di Yahoo Mail)
martedì 27 settembre 2011
sono solo fumetti. o no?
No, non sono solo fumetti. E' un pezzo della mia infanzia, della mia memoria e, sì, anche della mia cultura.
Cultura popolare, certo: i fumetti Bonelli non sempre sono capolavori (a volte sì, però), ma sono sempre prodotti con cura, con il senso nobile e onesto del far bene il proprio mestiere.
Come tanti altri italiani prima e dopo di me, sono cresciuto leggendo Tex, all'inizio seguendo le orme di mio padre, poi autonomamente. Sono passato anche per Dylan Dog, Nathan Never, la Storia del West, Ken Parker, Magico Vento, Zagor, Mister No, Martin Mystere.
Sergio Bonelli è l'uomo che, per oltre mezzo secolo, ha permesso tutto ciò.
Perciò, anche se non l'avevo mai incontrato, adesso mi sento un po' come se, ieri, mi fosse morto un fratello maggiore.
lunedì 26 settembre 2011
vent'anni
Una volta risposi: perché
sono di sinistra.
Mi sembrò una bella risposta
anche se non ricordo la domanda
sono sicuro che volesse dire qualcosa
allora
volesse dire colori
volesse dire fratelli
volesse dire: uomini.
Sono anche sicuro che volesse dire:
il Male
non è uguale al Bene
una testa alta non è superbia
le mani non si comprano.
E poi voleva dire avere vent'anni
sentirsi il petto pieno di muscoli
e non riuscire a credere che in così
poco tempo
così tanta bellezza potesse morire.
domenica 25 settembre 2011
uomini e no
Nell'ordine divino, dal quale derivava l'Ancien Régime, il re era la chiave di volta di un'architettura in funzione della quale a ciascuno era assegnato il suo posto, ma in cui solo colui che era ben nato era interamente uomo. Non c'era essere, parola, evidenza enunciabili per chiunque se non in ragione del riconoscimento che egli faceva di questa sua posizione, della sua appartenenza. Chiunque si diceva altro (o diceva un'altra parola) tradiva l'ordine divino e si escludeva radicalmente dall'umanità. Così lo stregone, l'ateo, il ribelle. Essi sfuggono a ogni punto di riferimento.
A partire dal luglio 1789, Dio e la verità cambiano campo e, laicizzandosi, passano dalla parte del popolo. Tutt'a un tratto, il re si trova isolato dalla sua verità e diviso da Dio. Come tale, ormai, non più credibile. Come conseguenza di ciò, la sua testa cadde meno di quattro anni dopo. "Un re è fuor di natura; tra popolo e re, nessun rapporto naturale": è l'argomento della Montagna. Non lo si giudica; si stermina un mostro.
Da questo momento, ci si ritrova fra pari. Dato che, da un certo tempo, si era fatta luce l'idea, resa infine possibile, di un contratto fra eguali: ormai non ci saranno più sudditi; tutti saranno simili. Più nulla che possa limitare l'appartenenza di alcuno a un'umanità completa. Ma il fatto che, anche per una sola volta, in un prodigioso rovesciamento di tutti i segni, il sovrano sia stato designato come il mostro, sarà sufficiente a porre il problema del limite fra l'umano e l'inumano.
Ormai, nulla più lo fonda di diritto. Tuttavia la sua traccia non scompare e serve a sorreggere la rappresentazione illusoria che coloro che dominano si fanno di se stessi, all'interno del potere che essi esercitano. Ma qui cominciano a divampare gli effetti della menzogna e le potenze del diniego.
In un mondo ora soggetto alle violenze attratte del denaro, il contadino e il suo simile, l'indigeno, dopo la conquista coloniale non sono più definiti se non come il negativo di colui che domina. Questi soltanto è "notabile", reperibile cioè in un una scala di valori da lui solo stabilita e che è beninteso quella dell' "umanità". Ora "notabile" non comporta alcun contrario. Sì che l'altro (indigeno, selvaggio, bifolco) non può neppure avere un nome. Sotto l'Ancien Régime, egli non era quasi nulla (l'assoluto della soggezione, ma almeno riconosciuto in questo posto). Qui, dal momento che cessa di definirsi il suo rapporto attraverso la morsa del contratto (attraverso il suo rapporto al gioco economico), in quanto uomo non è più nulla.
A partire dal luglio 1789, Dio e la verità cambiano campo e, laicizzandosi, passano dalla parte del popolo. Tutt'a un tratto, il re si trova isolato dalla sua verità e diviso da Dio. Come tale, ormai, non più credibile. Come conseguenza di ciò, la sua testa cadde meno di quattro anni dopo. "Un re è fuor di natura; tra popolo e re, nessun rapporto naturale": è l'argomento della Montagna. Non lo si giudica; si stermina un mostro.
Da questo momento, ci si ritrova fra pari. Dato che, da un certo tempo, si era fatta luce l'idea, resa infine possibile, di un contratto fra eguali: ormai non ci saranno più sudditi; tutti saranno simili. Più nulla che possa limitare l'appartenenza di alcuno a un'umanità completa. Ma il fatto che, anche per una sola volta, in un prodigioso rovesciamento di tutti i segni, il sovrano sia stato designato come il mostro, sarà sufficiente a porre il problema del limite fra l'umano e l'inumano.
Ormai, nulla più lo fonda di diritto. Tuttavia la sua traccia non scompare e serve a sorreggere la rappresentazione illusoria che coloro che dominano si fanno di se stessi, all'interno del potere che essi esercitano. Ma qui cominciano a divampare gli effetti della menzogna e le potenze del diniego.
In un mondo ora soggetto alle violenze attratte del denaro, il contadino e il suo simile, l'indigeno, dopo la conquista coloniale non sono più definiti se non come il negativo di colui che domina. Questi soltanto è "notabile", reperibile cioè in un una scala di valori da lui solo stabilita e che è beninteso quella dell' "umanità". Ora "notabile" non comporta alcun contrario. Sì che l'altro (indigeno, selvaggio, bifolco) non può neppure avere un nome. Sotto l'Ancien Régime, egli non era quasi nulla (l'assoluto della soggezione, ma almeno riconosciuto in questo posto). Qui, dal momento che cessa di definirsi il suo rapporto attraverso la morsa del contratto (attraverso il suo rapporto al gioco economico), in quanto uomo non è più nulla.
J.-P. Peter e J. Favret, "L'animale, il pazzo, il morto",
in (a cura di) M. Foucault, Io, Pierre Rivière avendo sgozzato mia madre,
mia sorella e mio fratello... Un caso di parricidio nel XIX secolo
in (a cura di) M. Foucault, Io, Pierre Rivière avendo sgozzato mia madre,
mia sorella e mio fratello... Un caso di parricidio nel XIX secolo
sabato 24 settembre 2011
cuori e postriboli
venerdì 23 settembre 2011
autunno
giovedì 22 settembre 2011
amori e coltelli
mercoledì 21 settembre 2011
natura morta con guscio di tartaruga
Se non fosse che quello si potrebbe
imbavagliarla questa voce estranea
che mi parla assolutamente
di te smetterla una buona volta
questa lurida fetente prima persona.
Tutte queste falangi
davanti agli occhi con un po' di pazienza
si potrebbe spezzarle una ad una. Ma ci vuole ben altro
lo sai per l'inevitabile. Dopo morta
il guscio l'avevano svuotato con tanta cura
rimanevano quelle due o tre vertebre fuse
alle placche del carapace
quelle si difendevano pungevano al solo toccarle
non ci fu verso.
Si potrebbe anche sopportarla sopportare proprio tutto
se non fosse che la tua assenza è lì e non vuol saperne
di sgombrare che certi movimenti sono ormai
anchilosati per sempre.
martedì 20 settembre 2011
bollani replay
Hai un programma colto e divertente (sì, entrambe le cose insieme).
Con un sacco di bravissimi musicisti (sì, Irene Grandi è brava, quando vuole; per non parlare di Gabriele Mirabassi, of course) e tanta ottima musica (jazz, ma non solo).
E anche con una comica simpatica come Caterina Guzzanti.
Sei una tv pubblica/nazional/popolare.
Domanda: a che ora lo trasmetti?
Risposta: a notte fonda, ovviamente.
Per chi non ha avuto l'eroismo di aspettare la mezzanotte di domenica (magari perché il giorno dopo aveva la sveglia alle sei di mattina), la prima puntata di Sostiene Bollani, andata in onda domenica scorsa, si può rivedere per intero qui.
Ne vale la pena.
(P.S.: in certi ambientini del jazz, è quasi di moda parlar male di Bollani. Chevvedevodì, a me mi sta simpatico).
lunedì 19 settembre 2011
senza trampoli
Noi lodiamo un cavallo in quanto è vigoroso e svelto, [...] non per la sua bardatura; un levriero per la sua velocità, non per il suo collare; un uccello per le sue ali, non per le sue corregiole e i suoi sonagli. Perché allo stesso modo non stimiamo un uomo per ciò che è suo? Egli ha un gran seguito, un bel palazzo, tanto di credito, tanto di rendita: tutto questo è intorno a lui, non in lui. Voi non comprate un gatto in un sacco. Se contrattate un cavallo, gli togliete la bardatura, lo guardate nudo e allo scoperto [...]. Perché, quando valutate un uomo, lo valutate tutto avvolto e infagottato? Ci mostra soltanto le parti che non sono in alcun modo sue, e ci nasconde quelle attraverso le quali soltanto si può davvero giudicare quanto vale. E' il valore della spada che vi interessa, non quello del fodero: non ne dareste forse un quattrino, se l'aveste spogliato. Bisogna giudicarlo per se stesso, non per i suoi ornamenti. E, come dice molto argutamente un antico: "Sapete perchè lo stimate grande? Voi considerate anche l'altezza degli zoccoli". La base non fa parte della statua. Misuratelo senza i suoi trampoli; che metta da parte ricchezze e onori, che si presenti in camicia.
[...]
Infatti, come gli attori delle commedie, li vedete sulla scena assumere l'atteggiamento di duca e d'imperatore; ma, subito dopo, eccoli diventati servi e facchini miserabili, che è la loro nativa e originaria condizione: così l'imperatore, la cui pompa vi abbaglia in pubblico, [...] guardatelo dietro la tenda, non è altro che un uomo comune e, forse, più vile dell'ultimo dei suoi sudditi.
[...]
La febbre, l'emicrania e la gotta risparmiano forse lui più di noi? Quando la vecchiaia gli graverà le spalle, gli arcieri della sua guardia potranno forse liberarlo? Quando il terrore della morte lo agghiaccerà, sarà egli forse rassicurato dalla presenza dei gentiluomini della sua camera? Quando sarà colto da gelosia e da capriccio, lo calmeranno le nostre scappellate? Quel baldacchino del letto, tutto ornato d'oro e di perle, non ha alcun potere di calmare le fitte di una colica di fegato.
[...]
E' un uomo in tutto e per tutto; e se, per se stesso, è un uomo malnato, l'impero dell'universo non potrebbe metterlo in sesto:
Infatti, come gli attori delle commedie, li vedete sulla scena assumere l'atteggiamento di duca e d'imperatore; ma, subito dopo, eccoli diventati servi e facchini miserabili, che è la loro nativa e originaria condizione: così l'imperatore, la cui pompa vi abbaglia in pubblico, [...] guardatelo dietro la tenda, non è altro che un uomo comune e, forse, più vile dell'ultimo dei suoi sudditi.
[...]
La febbre, l'emicrania e la gotta risparmiano forse lui più di noi? Quando la vecchiaia gli graverà le spalle, gli arcieri della sua guardia potranno forse liberarlo? Quando il terrore della morte lo agghiaccerà, sarà egli forse rassicurato dalla presenza dei gentiluomini della sua camera? Quando sarà colto da gelosia e da capriccio, lo calmeranno le nostre scappellate? Quel baldacchino del letto, tutto ornato d'oro e di perle, non ha alcun potere di calmare le fitte di una colica di fegato.
[...]
E' un uomo in tutto e per tutto; e se, per se stesso, è un uomo malnato, l'impero dell'universo non potrebbe metterlo in sesto:
puellaeHunc rapiant; quicquid calcaverit hic, rosa fiat,
["se lo contendano le fanciulle, nasca una rosa dovunque egli abbia posato il piede", Persio, II, 37-39]
e che dunque, se è un animo grossolano e stupido? La voluttà stessa e la felicità non si percepiscono senza vigore e senza ingegno:
haec perinde sunt, ut illius animus qui ea possidet,
Qui uti scit, ei bona; illi qui non utitur recte, mala.
["le cose valgono quanto l'animo di colui che le possiede, se sa usarne, sono beni, se non ne usa rettamente, sono mali", Terenzio, Heautontimorumenos, 195-196].
I beni della fortuna, tali quali sono, bisogna anche avere della sensibilità per gustarli. E' il godere, non il possedere, che ci rende felici.
[...]
Ma, soprattutto, [...] [il potente] si vede privato di ogni amicizia e mutua relazione, nella quale consiste il frutto più perfetto e più dolce della vita umana. Infatti quale prova di affetto e di attaccamento posso trarre da colui che mi deve, lo voglia o no, tutto quel che può? Posso io prendere in considerazione il suo parlare umile e la sua cortese riverenza dato che non è in suo potere rifiutarmela? L'onore che riceviamo da coloro che ci temono, non è onore; tali ossequi sono dovuti alla regalità, non a me [...]. Nessuno mi segue per un'amicizia che ci sia tra lui e me, poiché non potrebbe annodarsi un'amicizia dove c'è così poca relazione e corrispondenza. La mia altezza mi ha messo fuori del commercio degli uomini: c'è troppa disparità e sproporzione. Essi mi seguono per convenienza e per consuetudine o, più che me, seguono la mia fortuna, per accrescere così la loro. Tutto quello che mi dicono e fanno è soltanto belletto. Poiché la loro libertà è imbrigliata da ogni parte dal gran potere che io ho su di loro, non vedo niente intorno a me che non sia coperto e mascherato.
[...]
Ma, soprattutto, [...] [il potente] si vede privato di ogni amicizia e mutua relazione, nella quale consiste il frutto più perfetto e più dolce della vita umana. Infatti quale prova di affetto e di attaccamento posso trarre da colui che mi deve, lo voglia o no, tutto quel che può? Posso io prendere in considerazione il suo parlare umile e la sua cortese riverenza dato che non è in suo potere rifiutarmela? L'onore che riceviamo da coloro che ci temono, non è onore; tali ossequi sono dovuti alla regalità, non a me [...]. Nessuno mi segue per un'amicizia che ci sia tra lui e me, poiché non potrebbe annodarsi un'amicizia dove c'è così poca relazione e corrispondenza. La mia altezza mi ha messo fuori del commercio degli uomini: c'è troppa disparità e sproporzione. Essi mi seguono per convenienza e per consuetudine o, più che me, seguono la mia fortuna, per accrescere così la loro. Tutto quello che mi dicono e fanno è soltanto belletto. Poiché la loro libertà è imbrigliata da ogni parte dal gran potere che io ho su di loro, non vedo niente intorno a me che non sia coperto e mascherato.
domenica 18 settembre 2011
se questa donna non ha ancora ottenuto una cattedra di filosofia morale...
... è perché in Italia impera il funesto moralismo cattocomunista.
Ascoltate e imparate, brutti loffi che non siete altro.
“Gianpaolo Tarantini era un imprenditore di grande successo. Tutti lo vedevano come un mito, come uno che era riuscito ad ottenere il successo ed arrivare all'apice”.
“Tutti quelli che lo calpestano è perché sono invidiosi, non potranno mai vivere un giorno da Tarantini”.
“È tutto mosso dall'invidia, anche verso Berlusconi”.
“Se vai in strada e chiedi a una donna se vuole andare da Silvio: ma ci va a piedi. Correndo anche, eh? Poi, se sei una bella donna e ti vuoi vendere, lo devi poter fare, perché anche la bellezza, anzi soprattutto la bellezza, come dice Sgarbi, è un valore. Se tu sei racchia e fai schifo, te ne devi stare a casa, perché la bellezza è un valore che non tutti hanno e viene pagato, come la bravura di un medico. È così […] Se non lo capisci, allora stai a casa. Ma non mi rompere i coglioni”.
“Se un imprenditore non usa le donne, userà le mazzette. Ma che vuol dire? Quando sei onesto, non fai un grande business, rimani nel piccolo. Purtroppo è così. Se vuoi aumentare i numeri, devi rischiare il tuo culo. È così, è la legge del mercato. Più vuoi arrivare in alto, più devi passare sui cadaveri. È così, ed è giusto che sia così. Però qui non viene capito, perché c'è un'idea cattolica, c'è un idea morale. È quello che mi fa incazzare: l'idea moralista della sinistra. Che tutti devono guadagnare duemila euro al mese, che tutti devono avere diritto... No, no, no. Qui la legge è di chi più forte, di chi è leone. Se tu sei pecora, rimani a casa con duemila euro al mese. Se invece vuoi essere leone, ti devi mettere sul campo e ti devi vendere tua madre. Mi dispiace, ma è così”.
“A sinistra è peggio, perché sono loffi e non pagano. A destra, almeno, sono più alla grande”.
“Vai lì davanti all'imperatore […], ti metti addosso delle cose importanti, e lui apprezza perché è un esteta. Invece se vai da Frisullo, ti metti la collanina del cinese”.
Ascoltate e imparate, brutti loffi che non siete altro.
“Gianpaolo Tarantini era un imprenditore di grande successo. Tutti lo vedevano come un mito, come uno che era riuscito ad ottenere il successo ed arrivare all'apice”.
“Tutti quelli che lo calpestano è perché sono invidiosi, non potranno mai vivere un giorno da Tarantini”.
“È tutto mosso dall'invidia, anche verso Berlusconi”.
“Se vai in strada e chiedi a una donna se vuole andare da Silvio: ma ci va a piedi. Correndo anche, eh? Poi, se sei una bella donna e ti vuoi vendere, lo devi poter fare, perché anche la bellezza, anzi soprattutto la bellezza, come dice Sgarbi, è un valore. Se tu sei racchia e fai schifo, te ne devi stare a casa, perché la bellezza è un valore che non tutti hanno e viene pagato, come la bravura di un medico. È così […] Se non lo capisci, allora stai a casa. Ma non mi rompere i coglioni”.
“Se un imprenditore non usa le donne, userà le mazzette. Ma che vuol dire? Quando sei onesto, non fai un grande business, rimani nel piccolo. Purtroppo è così. Se vuoi aumentare i numeri, devi rischiare il tuo culo. È così, è la legge del mercato. Più vuoi arrivare in alto, più devi passare sui cadaveri. È così, ed è giusto che sia così. Però qui non viene capito, perché c'è un'idea cattolica, c'è un idea morale. È quello che mi fa incazzare: l'idea moralista della sinistra. Che tutti devono guadagnare duemila euro al mese, che tutti devono avere diritto... No, no, no. Qui la legge è di chi più forte, di chi è leone. Se tu sei pecora, rimani a casa con duemila euro al mese. Se invece vuoi essere leone, ti devi mettere sul campo e ti devi vendere tua madre. Mi dispiace, ma è così”.
“A sinistra è peggio, perché sono loffi e non pagano. A destra, almeno, sono più alla grande”.
“Vai lì davanti all'imperatore […], ti metti addosso delle cose importanti, e lui apprezza perché è un esteta. Invece se vai da Frisullo, ti metti la collanina del cinese”.
florilegio scolastico: prima settimana
“Prof, ma come se fa a mèttece 'n ventinove 'nta n'aula migna a 'sto modo? Manco bastàveno i banchi! E se crepa pure de caldo!”.
“Se non avete il libro, fa niente. Vi servono solo il cervello e le orecchie. E sul primo sono disposto a transigere”.
"Prof, sa che me pare 'st'aula ? La camera a gas de Auschwitz".
"Prof, ma me spiega 'na cosa? Ma com'è che 'M'illumino d'immenso' ha vinto tutti 'sti oscar?"
sabato 17 settembre 2011
jazz in tv (a notte fonda, ma accontentiamoci)
Riprendo questo post dal blog Mondo Jazz, come sempre prodigo di notizie e aggiornamenti:
Dal 18 settembre al 23 ottobre tutte le domeniche alle 23.40 su Raitre sei serate live.
Sei appuntamenti con la musica, in un racconto che non pretende di riassumere una “verità” ma che ad ogni passo rivelerà il personalissimo e dichiarato punto di vista di Stefano Bollani, e degli ospiti che accanto a lui si alterneranno nel dar vita a session dal vivo e sketch, monologhi e lezioni surreali.
Un cast ricco e sorprendente di attori, scrittori, cantanti, jazzisti di ogni parte del mondo - “amici”, secondo Bollani – che scandirà i diversi momenti di un programma che vede il ritorno in tv di Caterina Guzzanti, nel ruolo inedito e in qualche modo stralunato di “apprendista” al fianco del più acclamato pianista jazz italiano.
Per Bollani – che nella scorsa stagione aveva replicato su Raitre il successo radiofonico del “Dottor Djembé” – la sfida è presentare un volto da grande entertainer al pubblico che ha imparato ad amarlo nei suoi concerti. E - insieme - di suggerire a chi ancora non lo conosce un approccio originale con la musica, in un mix di divulgazione, comicità e pura arte.
venerdì 16 settembre 2011
the genius
Per molto tempo, il nomignolo di «Genius» ha avuto per me un valore del tutto astratto.
D’accordo, la fusione di generi, il blues il rhythm’n’blues il gospel. D’accordo, il padre del soul, e volendo anche del rock’n’roll. Cantante che spaziava dal crooning allo shouting, ottimo pianista con chiare radici stride, songwriter spesso folgorante. Però, «genius»?
Poi, un giorno, un amico ci propose un blindfold test e ci fece sentire un blues. Si intitolava Charlesville [...]
(...continua a leggere su Jazz nel pomeriggio)
giovedì 15 settembre 2011
la freccia e il bersaglio
Rosebud
Non pretendo di dire la parola
che scoccata dal cuore traversi
le dodici scuri forate
fino a forare il cuore del pretendente.
Io traccio il mio bersaglio
intorno all'oggetto colpito,
io non colgo nel segno ma segno
ciò che colgo, baro,
scelgo il mio centro dopo il tiro
e come con un'arma difettosa
di cui conosco ormai
lo scarto, adesso
miro alla mira.
Valerio Magrelli
mercoledì 14 settembre 2011
bocca della verità
...che, tanto per chiarire subito, è il nome di un concorso poetico.
Il meccanismo è abbastanza semplice: le sillogi in concorso vengono pubblicate sul web, in forma anonima. Poi sono gli stessi partecipanti a votare le loro preferite: ognuno ha a disposizione 3 voti, per un totale di 9 punti, che si vanno a sommare a quelli di una giuria. Il totale decreta i vincitori.
Io sono arrivato secondo, su quaranta partecipanti. Purtroppo, per motivi organizzativo/finanziari, sarà assegnato solo il primo premio. Ma è comunque una bella soddisfazione.
Per i curiosi, la silloge che avevo presentato è questa: frammenti di un progetto che ho in mente da anni, ma che non ho mai realizzato.
La silloge vincitrice è questa, che era anche tra le mie preferite, insieme a questa e quest'altra. I miei giudizi sono in calce ai testi, sotto la sigla AAN.
martedì 13 settembre 2011
noterelle di inizio anno scolastico
Aver completamente rimosso il fatto di avere i consigli di classe quel pomeriggio; ottimo inizio, non c'è che dire.
Essere in commissione per gli esami di riparazione, avere un forte mal di testa con senso di nausea; e sospettare che ci sia una relazione tra le due cose.
Dopo tre mesi, accorgersi di non ricordare più i nomi dei colleghi (quelli degli alunni, non ne parliamo per carità di patria).
Leggere le date di nascita dei propri alunni, e sentirsi con un piede nella fossa.
"Prof, è in forma quest'anno!".
lunedì 12 settembre 2011
la capra bianchina (ovvero: buoni propositi per il nuovo anno scolastico)
La scuola fa il possibile per far odiare i libri ai ragazzi qualche volta, non diciamo sempre, esagerando il proprio carattere selettivo, giudicante: la scuola caserma, la scuola tribunale, dove quello che conta è il voto, la pagella, gli esami, dove quello che conta insomma è il riflesso scolastico e dove, finita la scuola, naturalmente, cessando di agire il riflesso scolastico, il libro perde totalmente importanza.
[...]
Il libro è imposto, il libro ha autorità, diventa un verbo indiscutibile; ma [...] il libro è un personaggio vivo, discutibile, criticabile, anche rifiutabile se è da rifiutare.
[...]
Per esempio, io conosco, perché ricevo un giornalino scolastico, intitolato "Insieme", che si compone e si stampa in una quarta classe di un paesino della Valle Padana a Vo' di Piadena in provincia di Cremona, proprio una frazioncina sperduta in mezzo alle nebbie della Valle Padana, conosco, perché ricevo questo giornalino, un episodio molto interessante che è questo: un giorno in classe il maestro legge un racconto di Daudet, che credo tutti conosciamo, quello della capra Bianchina che scappa sul monte e il lupo se la piglia. I ragazzi leggono questo racconto, aprono la discussione, be' certo bisogna aprire la discussione, anche nel merito, i ragazzi sono contenutisti. Noi li facciamo discutere sugli aggettivi e sui verbi, ma forse loro preferiscono discutere su altre cose. Per esempio in questo caso i ragazzi cominciano a dire: ma come, questa capra vuole la libertà e lo scrittore la castiga facendola finire mangiata dal lupo. Ma la cosa è a rovescio, la capra ha ragione, il suo padrone le porta via il latte, la tiene legata, non la porta a spasso in montagna. [...] Insomma questi ragazzi decidono di riscrivere la storia della capra del signor Seguin e la riscrivono a modo loro. La capra decide di scappare, scappa, si mette d'accordo con le altre capre e sconfigge il lupo quando il lupo si presenta. Storia utopistica perché appunto nella natura le capre non faranno mai questo ma è giusto che lo facciano nell'immaginazione di questi bambini, anche l'utopia ha un suo valore educativo. Se nessuno sognasse niente di meglio il mondo si fermerebbe dov'è non ci sarebbe più nessun cambiamento. [...]
Un bambino ha persino accostato l'azione della capra a quella degli italiani: "ma gli italiani - ha detto - quando erano sotto gli austriaci avevano pure il diritto di ribellarsi agli austriaci..." era un accostamento dettato anche da quello che aveva imparato a scuola, ma importante. Come si può tradurre questo in 7, in 6-, o in 8 o in 8+. E' un momento della vita, quel racconto è quello che ne è derivato. Allora il libro è un momento della vita in una scuola, in una casa, nella vita di un uomo o non è niente. Quando diventa voto, diventa pagella non è più niente.
Il libro è imposto, il libro ha autorità, diventa un verbo indiscutibile; ma [...] il libro è un personaggio vivo, discutibile, criticabile, anche rifiutabile se è da rifiutare.
[...]
Per esempio, io conosco, perché ricevo un giornalino scolastico, intitolato "Insieme", che si compone e si stampa in una quarta classe di un paesino della Valle Padana a Vo' di Piadena in provincia di Cremona, proprio una frazioncina sperduta in mezzo alle nebbie della Valle Padana, conosco, perché ricevo questo giornalino, un episodio molto interessante che è questo: un giorno in classe il maestro legge un racconto di Daudet, che credo tutti conosciamo, quello della capra Bianchina che scappa sul monte e il lupo se la piglia. I ragazzi leggono questo racconto, aprono la discussione, be' certo bisogna aprire la discussione, anche nel merito, i ragazzi sono contenutisti. Noi li facciamo discutere sugli aggettivi e sui verbi, ma forse loro preferiscono discutere su altre cose. Per esempio in questo caso i ragazzi cominciano a dire: ma come, questa capra vuole la libertà e lo scrittore la castiga facendola finire mangiata dal lupo. Ma la cosa è a rovescio, la capra ha ragione, il suo padrone le porta via il latte, la tiene legata, non la porta a spasso in montagna. [...] Insomma questi ragazzi decidono di riscrivere la storia della capra del signor Seguin e la riscrivono a modo loro. La capra decide di scappare, scappa, si mette d'accordo con le altre capre e sconfigge il lupo quando il lupo si presenta. Storia utopistica perché appunto nella natura le capre non faranno mai questo ma è giusto che lo facciano nell'immaginazione di questi bambini, anche l'utopia ha un suo valore educativo. Se nessuno sognasse niente di meglio il mondo si fermerebbe dov'è non ci sarebbe più nessun cambiamento. [...]
Un bambino ha persino accostato l'azione della capra a quella degli italiani: "ma gli italiani - ha detto - quando erano sotto gli austriaci avevano pure il diritto di ribellarsi agli austriaci..." era un accostamento dettato anche da quello che aveva imparato a scuola, ma importante. Come si può tradurre questo in 7, in 6-, o in 8 o in 8+. E' un momento della vita, quel racconto è quello che ne è derivato. Allora il libro è un momento della vita in una scuola, in una casa, nella vita di un uomo o non è niente. Quando diventa voto, diventa pagella non è più niente.
Gianni Rodari, Libri d'oggi per ragazzi d'oggi
domenica 11 settembre 2011
dieci anni
sabato 10 settembre 2011
venerdì 9 settembre 2011
entrare dalle nuvole
Secondo me non possiamo dire: il bambino è questo ed altro. Il bambino è molte cose, come ognuno di noi è molte cose. Nella giornata del bambino c'è posto per lo shake, e oggi per il disco, il bambino vuole il suo giradischi, i suoi dischi; c'è posto per questo e poi c'è posto anche per la fiaba come nella giornata del filosofo c'è posto per il libro giallo o nella giornata del letterato c'è posto per il film western. C'è posto per tante cose e c'è posto per la fiaba nella giornata del bambino; come evasione? Secondo me no. Ci sarà anche questo motivo ma ce ne sono molti altri. Il primo: la fiaba è un repertorio di destini umani (il buono, il cattivo, il prepotente; caratteri) una rappresentazione del mondo nello specchio della fantasia, specchio deformante, ma specchio. Noi riconosciamo la nostra faccia quando andiamo al luna park, nella galleria degli specchi deformanti, il bambino riconosce il mondo in quella galleria. la fiaba è un modo di entrare nella realtà dalla finestra, o dalle nuvole invece che dalla porta, ma è un modo legittimo [...]. La fiaba è lo strumento di un colloquio tra genitori e figli. Al bambino molto piccolo, è difficile far seguire un vero e proprio dialogo, di che cosa possiamo parlare con lui? Ci fa una domanda, gli rispondiamo, subito si è già distratto, ha altre cose per la mente, non possiamo fare una discussione seguendo la sintassi del dialogo, come potremmo seguirla noi [...]. Ma se la madre legge al bambino una fiaba, parla con lui, parla del mondo, parla dei buoni, parla dei cattivi, parla del mondo secondo divisioni semplici, secondo categorie molto molto generali, ma il bambino sa bene questo. Gli parla di lui stesso, gli parla del mondo dei grandi. E' un modo per discutere con lui anche se il bambino non interrompe e sta a sentire. Ma c'è qualcosa che corre fra madre e figlio quando la madre legge la fiaba che non è soltanto il testo della fiaba, è la voce della mamma, sono i riferimenti che il bambino scopre nelle parole alla vita famigliare a quello che del mondo ha già conosciuto.
Gianni Rodari, Libri d'oggi per ragazzi d'oggi (1967), Il Melangolo 2000
giovedì 8 settembre 2011
scene dagli anni settanta
La Globe Unity era un'orchestra diretta da Alex von Schlippenbach che riuniva il gotha del free jazz europeo. Io ne facevo parte quando potevo. C'erano Evan Parker, Manfred Schoof, Paul Rutherford. C'era uno dei padri storici, Albert Mangelsdorff. Per non parlare di Peter Brötzmann e Kenny Wheeler. L'orchestra aveva due anime. Anzi due e mezza. Una voleva suonare solo musica improvvisata radicale. L'altra solo composizioni. La mezza era rappresentata da una minoranza che voleva un mix delle due cose, come era logico che fosse. Due lp dell'orchestra erano il quadro perfetto di questa situazione: uno si intitolava Improvisations, l'altro Compositions. In quest'ultimo disco, oltre ai membri abituali del gruppo c'erano anche degli ospiti. Uno era Steve Lacy e l'altro il tubista americano Bob Stewart e con questa formazione facemmo una lunga tournée in Oriente: India, Malesia, Indonesia, Hong Kong, Corea e Giappone.
Fin dal primo concerto a New Delhi mi rendo conto che sarebbe stata durissima. Prima del concerto la band si riunisce per stabilire se si suoneranno composizioni o improvvisazioni. La discussione parte in modo molto civile, in inglese, in modo che tutti possano parteciparvi. Gli animi si eccitano, si alzano i toni e la lingua diventa il tedesco. Alex von Schlippenbach, paonazzo, urla e gli si gonfia una vena sulla fronte in modo preoccupante. Manfred Schoof, molto tranquillo, fa: “Ja, ja”. I non teutonici sono tagliati fuori e aspettano il responso. Che arriva, come una condanna a morte: “Tonight we'll play only improvisations”.
L'improvvisazione con una formazione così numerosa è semplicemente un'utopia. Nel nostro caso addirittura una follia, perché la disposizione dell'orchestra, tanto per essere originali e non essere scambiati per una volgare big band, è questa: tutti in semicerchio di fronte al pubblico, in mezzo il basso e la batteria. Il che rende impossibile ascoltare chi suona dall'altra parte della batteria. Anche perché (per motivi etici? filosofici? morali?) non si devono usare i monitor che almeno ci permetterebbero di sentire qualcosa. Il risultato è un caos totale dove uno riesce, tutt'al più, a interagire con il proprio vicino di gomito.
Morale: primo concerto del tour a Delhi. Il giorno dopo la recensione sul giornale più autorevole della città recitava più o meno così: “Ieri sera ho assistito a un evento eccezionale. È stato il più brutto concerto che sia mai stato fatto in questa città e forse in tutta l'India”. Ero pienamente d'accordo. Unica nota positiva, avevo mangiato uno dei più buoni tandoori chicken della mia vita. Un livello mai più raggiunto in tutta la mia storia di fan della cucina indiana. Mi aveva tirato un po' su il morale.
Bombay. Stessa storia. Discussione e poi decisione: stasera compositions. Cioè, era una cosa o l'altra. Lacy, Schoof e io eravamo la minoranza e premevamo per qualcosa che incorporasse e fondesse entrambe le tendenze. Niente da fare. A Bombay compositions. Una noia disumana. Tutto scritto, organizzato, guai a cambiare qualcosa. A quel punto mi dissi: “Prendiamolo come un lavoro. Rassegniamoci a sgobbare duramente un paio d'ore e godiamoci il viaggio che è veramente la fine del mondo”. Ed era veramente la fine del mondo, o per lo meno di quel mondo. Kuala Lumpur, Jakarta, Honk Kong conservavano ancora il fascino e il mistero che ci eccitavano da bambini al solo sentirne il nome. In molti di quei posti sono tornato recentemente. È tutto cambiato. Non c'è più differenza con qualunque grande metropoli occidentale.
[…]
Finalmente il buon senso la vinse sull'ostinazione concettuale dei membri più “gnucchi” e a Tokyo facemmo un bellissimo concerto (era ora!) suonando le composizioni con grande libertà e facendole sfociare in improvvisazioni che poi, in modo naturale, si trasformavano in altre composizioni. Un grande concerto che ricordo ancora con piacere.
Fin dal primo concerto a New Delhi mi rendo conto che sarebbe stata durissima. Prima del concerto la band si riunisce per stabilire se si suoneranno composizioni o improvvisazioni. La discussione parte in modo molto civile, in inglese, in modo che tutti possano parteciparvi. Gli animi si eccitano, si alzano i toni e la lingua diventa il tedesco. Alex von Schlippenbach, paonazzo, urla e gli si gonfia una vena sulla fronte in modo preoccupante. Manfred Schoof, molto tranquillo, fa: “Ja, ja”. I non teutonici sono tagliati fuori e aspettano il responso. Che arriva, come una condanna a morte: “Tonight we'll play only improvisations”.
L'improvvisazione con una formazione così numerosa è semplicemente un'utopia. Nel nostro caso addirittura una follia, perché la disposizione dell'orchestra, tanto per essere originali e non essere scambiati per una volgare big band, è questa: tutti in semicerchio di fronte al pubblico, in mezzo il basso e la batteria. Il che rende impossibile ascoltare chi suona dall'altra parte della batteria. Anche perché (per motivi etici? filosofici? morali?) non si devono usare i monitor che almeno ci permetterebbero di sentire qualcosa. Il risultato è un caos totale dove uno riesce, tutt'al più, a interagire con il proprio vicino di gomito.
Morale: primo concerto del tour a Delhi. Il giorno dopo la recensione sul giornale più autorevole della città recitava più o meno così: “Ieri sera ho assistito a un evento eccezionale. È stato il più brutto concerto che sia mai stato fatto in questa città e forse in tutta l'India”. Ero pienamente d'accordo. Unica nota positiva, avevo mangiato uno dei più buoni tandoori chicken della mia vita. Un livello mai più raggiunto in tutta la mia storia di fan della cucina indiana. Mi aveva tirato un po' su il morale.
Bombay. Stessa storia. Discussione e poi decisione: stasera compositions. Cioè, era una cosa o l'altra. Lacy, Schoof e io eravamo la minoranza e premevamo per qualcosa che incorporasse e fondesse entrambe le tendenze. Niente da fare. A Bombay compositions. Una noia disumana. Tutto scritto, organizzato, guai a cambiare qualcosa. A quel punto mi dissi: “Prendiamolo come un lavoro. Rassegniamoci a sgobbare duramente un paio d'ore e godiamoci il viaggio che è veramente la fine del mondo”. Ed era veramente la fine del mondo, o per lo meno di quel mondo. Kuala Lumpur, Jakarta, Honk Kong conservavano ancora il fascino e il mistero che ci eccitavano da bambini al solo sentirne il nome. In molti di quei posti sono tornato recentemente. È tutto cambiato. Non c'è più differenza con qualunque grande metropoli occidentale.
[…]
Finalmente il buon senso la vinse sull'ostinazione concettuale dei membri più “gnucchi” e a Tokyo facemmo un bellissimo concerto (era ora!) suonando le composizioni con grande libertà e facendole sfociare in improvvisazioni che poi, in modo naturale, si trasformavano in altre composizioni. Un grande concerto che ricordo ancora con piacere.
Enrico Rava, Incontri con musicisti straordinari, Feltrinelli 2011, pp. 202-205
mercoledì 7 settembre 2011
sul fumetto
Per [il critico d'arte francese Jean] Clair, [...] esistono frontiere che non bisogna mai valicare tra la cultura alta - fatta di sculture e quadri - e la cultura pop, fatta di cartoon, graffiti, video. "La discesa dall'high culture alla low culture è una discesa agli inferi", ci dice. Un esempio: i fumetti di Art Spiegelman sul nazismo non hanno lo stesso valore dei disegni su Dachay e Buchenwald di Music, Taslitzky e Colville, i quali hanno saputo dare a quegli orrori "un equivalente plastico di incontestabile bellezza".
"Quelli che hanno ucciso l'arte", Corriere della Sera, 8 agosto 2011, pag. 30
Non si può valutare un testo a fumetti dalla sola qualità delle immagini, né dalla sola qualità del testo: l’errore diffuso è quello di ritenere che poiché la figuratività del fumetto non è in generale paragonabile a quella delle arti visive, e poiché la letterarietà del fumetto non è paragonabile a quella del romanzo, il fumetto non possa nemmeno sperare di assurgere alla dignità delle une o dell’altro. Ci si dimentica che nel fumetto la qualità sta nella relazione tra parole e immagini, e non nelle une o nelle altre singolarmente.
Daniele Barbieri, Il Sole 24 ore, 4 febbraio 1996 (il testo integrale qui)
martedì 6 settembre 2011
la balena nel bicchiere
Mentre io dormo, c'è un omino piccolo piccolo che viene sul mio cuscino e mi dice: - Ma guarda? Stai volando attaccato a un ombrello.
Io gli credo subito e passo in mezzo alle nuvole tiepide e bagnate, vedo in basso ai miei piedi i laghi e i fiumi, salto da una collina all'altra. Poi l'omino mi dice: - Mettiti in salvo, ecco i briganti.
Ed io davvero vedo i briganti: sono due, con la maschera sugli occhi, mi vogliono sparare con il trombone. Io vorrei fuggire, sono tanto spaventato, ma non riesco a muovere un dito. L'omino si diverte a farmi credere quello che vuole: - Guarda che ti cresce una rosa sulla mano, - mi dice, e io vedo davvero una rosa che mi spunta tra l'indice e il medio.
Ogni volta che vado a letto mi dico: "Questa volta non gli voglio credere". Poi, appena chiudo gli occhi, l'omino mi dice: - Guarda, una balena - . E io subito, credulone, vedo una balena che nuota nel bicchiere d'acqua che ho sul comodino. Succede anche a voi?
Gianni Rodari, Prime fiabe e filastrocche
lunedì 5 settembre 2011
settantuno
Mia suocera lo chiama il refugium peccatorum.
E' quel cassetto, o quell'angolo dell'armadio, insomma quello spazio della casa, dove si accumula la roba che, sì, ci serve, o ci servirà, o ci dovrebbe servire, ma non ora. Ce l'abbiamo tutti, da qualche parte, ammettiamolo.
Uno dei miei refugia peccatorum è uno scaffale della libreria, uno scaffale basso, a livello pavimento, dove vanno a depositarsi i dischi che un giorno ascolterò di sicuro, ma non oggi. Si tratta di cose comprate, o trovate in allegato alle riviste di musica, o ricevute dalle case discografiche, o spedite direttamente dai musicisti (a volte, duole dirlo, persino amici) con la promessa di ascoltarli "quanto prima, appena avrò un attimo", o magari (ahimé) avute in regalo. Alcuni li ho sentiti una volta o due, distrattamente, e poi messi da parte in attesa di tempi migliori, altri sono stati aperti e guardati, altri ancora hanno il cellophane ancora intonso.
Tempo fa mi ci è caduto l'occhio e ho visto che il mucchio era cresciuto, molto più di quanto mi aspettassi. Allora ci ho messo mano, e mi sono reso conto che alcuni erano lì anche da due, tre, quattro anni.
Poi li ho contati e sono arrivato alla notevole cifra di settantuno. Settantuno orfanelli in attesa. Vabbè, alla fin fine non sono moltissimi, ma va anche considerato che questi sono solo quelli che non ho ascoltato, ma ho messo da parte. Ce ne sono tantissimi altri (quanti? preferisco non saperlo) che non ho ascoltato e basta, che sono finiti esiliati in mezzo ai fratellini maggiori, ascoltati e riascoltati fino a saperli a memoria.
Allora mi si è precisata una sensazione che avevo da tempo: ossia, che la musica non occupasse più, nella mia vita, il posto che occupava un tempo, quando ascoltavo in maniera quasi compulsiva. Forse c'entra il fatto che, ormai, il 90% dei miei ascolti sono di tipo professionale, finalizzati a recensioni, articoli o produzioni di altro tipo.
Però, certo, è un po' triste.
Per i curiosi, il catalogo è questo. Sono divisi per generi, ma poi l'ordine è rigorosamente casuale.
E' quel cassetto, o quell'angolo dell'armadio, insomma quello spazio della casa, dove si accumula la roba che, sì, ci serve, o ci servirà, o ci dovrebbe servire, ma non ora. Ce l'abbiamo tutti, da qualche parte, ammettiamolo.
Uno dei miei refugia peccatorum è uno scaffale della libreria, uno scaffale basso, a livello pavimento, dove vanno a depositarsi i dischi che un giorno ascolterò di sicuro, ma non oggi. Si tratta di cose comprate, o trovate in allegato alle riviste di musica, o ricevute dalle case discografiche, o spedite direttamente dai musicisti (a volte, duole dirlo, persino amici) con la promessa di ascoltarli "quanto prima, appena avrò un attimo", o magari (ahimé) avute in regalo. Alcuni li ho sentiti una volta o due, distrattamente, e poi messi da parte in attesa di tempi migliori, altri sono stati aperti e guardati, altri ancora hanno il cellophane ancora intonso.
Tempo fa mi ci è caduto l'occhio e ho visto che il mucchio era cresciuto, molto più di quanto mi aspettassi. Allora ci ho messo mano, e mi sono reso conto che alcuni erano lì anche da due, tre, quattro anni.
Poi li ho contati e sono arrivato alla notevole cifra di settantuno. Settantuno orfanelli in attesa. Vabbè, alla fin fine non sono moltissimi, ma va anche considerato che questi sono solo quelli che non ho ascoltato, ma ho messo da parte. Ce ne sono tantissimi altri (quanti? preferisco non saperlo) che non ho ascoltato e basta, che sono finiti esiliati in mezzo ai fratellini maggiori, ascoltati e riascoltati fino a saperli a memoria.
Allora mi si è precisata una sensazione che avevo da tempo: ossia, che la musica non occupasse più, nella mia vita, il posto che occupava un tempo, quando ascoltavo in maniera quasi compulsiva. Forse c'entra il fatto che, ormai, il 90% dei miei ascolti sono di tipo professionale, finalizzati a recensioni, articoli o produzioni di altro tipo.
Però, certo, è un po' triste.
Per i curiosi, il catalogo è questo. Sono divisi per generi, ma poi l'ordine è rigorosamente casuale.
JAZZ
Coltrane Legacy (allegato a Musica Jazz)
New York Art Quartet, (omonimo)
Jazz & Beat Generation (allegato a Musica Jazz)
Eric Dolphy, Far Cry
Eric Dolphy, Outward Bound
Ella Fitzgerald, Ella in Berlin
Niccolò Faraci, Tokyo 2674
Greg Burk / Vicente Lebron, Unduality
Greg Burk, Many Worlds
Bob Moses / Greg burk, Ecstatic Weanderings
The AACM Great Black Music Ensemble at Umbria Jazz 2009 (allegato a Musica Jazz)
Ornette Coleman Quintet with Don Cherry & Paul Bley, Complete Live at the Hillcrest Club
Dino Saluzzi, Kultrum
Jan Garbarek, I Took Up The Runes
Horace Silver, The Golden Years (allegato a Musica Jazz)
The Magnificent Thad Jones
Stefano Bollani, Autoscatto (allegato a Musica Jazz)
Basso & Valdambrini, Blues for Gassman
Chick Corea, Children's Song
Nils Landgren Funk Unit, Funk for Life
Basso & Valdambrini, Parlami d'amore Mariù
Poll Winners (allegato a Musica Jazz)
Lee Morgan & Benny Golson (allegato a Musica Jazz)
Paolo Conte Plays Jazz
Nina Simone, Jazz as played in an exclusive side street club
Tomasz Stanko, Balladyna
1959: L'anno che cambiò il jazz (allegato a Musica Jazz)
Paul Motian, Conception Vessel
Bobo Stenson Trio, Serenity
Bill Frisell, Rambler
Rava, Noir
Francesco Cafiso, 4 out
Cafiso/Rubino, Travel dialogues
Bill Evans, The complete Village Vanguard Recordings, 1961
Charlie Parker, Bird in Time 1940-1947. Selected recording and rare interviews
Giovanni Guidi, We don't live here anymore
Anthony Williams, Spring
Larry Young, Unity
Angelo Lazzeri, Pipelettes
Andrea Rossi Andrea, ¿A cuántas paradas de aquí? (DVD)
Cipriano/Marangelo/Orefice, Le note richiamano versi
DISCHI “JAZZ ITALIANO LIVE 2007” (La Repubblica-L'Espresso)
Gianluigi Trovesi (special guest Enrico Rava)
Maurizio Giammarco (special guest Bill Stewart)
Roberto Gatto
Fabrizio Bosso
DISCHI ALLEGATI A JAZZIT
Buck Clayton
Earl Hines
Don Redman
Artie Shaw
Clyde Hart
Jelly Roll Morton
Harry Warren
Billie Holiday & Lester Young
Benny Goodman
Blue Cuscuna
CLASSICA
Schumann, Sonate e romanze per violino e pianoforte
Chopin, Ballades et Nocturnes (Cortot)
Schoenberg, A Survivor form Warsaw, Prelude to Genesis, Dreimal Tausend Jahre, Psalm 130, Ode to Napoleon Bonaparte, Concerto for violin op. 36
Elizabethan Songs and Consort Music
ROCK, POP, BLACK MUSIC, MUSICA LEGGERA
Pino Daniele, Live @ RTSI, 26 marzo 1983 (DVD)
Steely Dan, Can't buy a thrill / The royal scam
James Brown, Live at the Apollo / Soul on top
Bruce Springsteen, Born to run
The Beatles, Abbey Road
ETNICA
The very best of éthiopiques
Amadou & Mariam, Dimanche à Bamako
Éthiopiques, vol. 4
BRASILE
Milton Nascimento/Lô Borges, Clube da Esquina
Chico Buarque, Construção
domenica 4 settembre 2011
sabato 3 settembre 2011
meglio l'ippica
"Scrivere è considerata una professione, ma io non la ritengo tale. Io penso che chi non sente di dover essere uno scrittore, chi pensa di poter fare qualcos'altro, allora dovrebbe fare qualcos'altro. Scrivere non è una professione, ma una vocazione all'infelicità. Non credo che un artista possa mai essere felice".
(Georges Simenon)
venerdì 2 settembre 2011
S.O.S. didattico
Quest'anno insegno italiano in seconda (liceo socio-pedagogico). Ciò significa che il programma di antologia (materia abominevole, se mai ce n'è stata una) prevede che si leggano poesia e teatro.
Il problema è che il il testo è del tutto impraticabile, fra trombonate sulla "poesia che rivela il mondo", pallosissime schede di metrica e testi francamente improponibili per un quindicenne (non so voi, ma io sono colto da accessi irrefrenabili di risa quando vedo aprire un'introduzione alla poesia con "Chiare, fresche, dolci acque").
Ora, la domanda che mi/vi pongo è: come fare un'introduzione alla poesia che sia fresca, accattivante, e possibilmente non libresca? Insomma, come riuscire a non far odiare la poesia, senza per forza somigliare al professor Keating de "L'attimo fuggente"?
La mia idea sarebbe di fare il meno possibile, e lasciare invece che siano i ragazzi a scoprire, esplorare, smontare, masticare i testi. Insomma, che si divertano, una volta tanto, poveracci...
E qui entrate in ballo voi, miei fedelissimi ventiquattro lettori. Idee? testi da leggere? percorsi da creare? Commentate commentate commentate: ogni tipo di proposta è ben accetta.
giovedì 1 settembre 2011
etica della critica
[Al festival jazz di Sanremo], la sera prima avrebbe dovuto suonare Sonny Rollins con il trio di Stan Tracey. Il trio era arrivato da Londra, ma Rollins no. Non aveva avvisato né niente. Semplicemente non si era presentato. Fino all'ultimo momento gli organizzatori avevano sperato che arrivasse. Niente da fare. Suonò il trio di Stan Tracey senza Rollins. Ma poiché la defezione di Rollins era stata annunciata solo all'inizio del concerto, molti giornalisti avevano già scritto la recensione e l'avevano mandata al giornale (allora le dettavano telefonicamente). Il giorno dopo, i principali quotidiani italiani dedicavano al grande Sonny la prima pagina degli spettacoli: "Trionfa Rollins al festival di Sanremo", "Il re del sax si conferma il più grande!". Alcuni si erano lasciati prendere la mano dall'entusiasmo ed erano persino entrati nei dettagli "...particolarmente pregnante la sua versione di Polka Dots" "...peccato quella caduta di stile con St. Thomas". Insomma, un delirio.
Enrico Rava, Incontri con musicisti straordinari, Feltrinelli 2011, pag. 57
P.S.: l'aneddoto non è datato, ma dovrebbe risalire più o meno al 1966; non che da allora le cose siano cambiate molto, comunque. (Ve lo dice uno del mestiere).
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