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mercoledì 14 settembre 2011

bocca della verità


...che, tanto per chiarire subito, è il nome di un concorso poetico.
Il meccanismo è abbastanza semplice: le sillogi in concorso vengono pubblicate sul web, in forma anonima. Poi sono gli stessi partecipanti a votare le loro preferite: ognuno ha a disposizione 3 voti, per un totale di 9 punti, che si vanno a sommare a quelli di una giuria. Il totale decreta i vincitori.
Io sono arrivato secondo, su quaranta partecipanti. Purtroppo, per motivi organizzativo/finanziari, sarà assegnato solo il primo premio. Ma è comunque una bella soddisfazione.
Per i curiosi, la silloge che avevo presentato è questa: frammenti di un progetto che ho in mente da anni, ma che non ho mai realizzato.
La silloge vincitrice è questa, che era anche tra le mie preferite, insieme a questa e quest'altra. I miei giudizi sono in calce ai testi, sotto la sigla AAN.

martedì 14 giugno 2011

sondaggio d'opinione


Vorrei presentare tre poesie ad un concorso. Dato che il bando specifica che i testi possono essere "editi o inediti", ho pensato di spedire qualcosa tratto da "Topografia della solitudine", il mio diario newyorkese in versi, uscito l'anno scorso per Fara Editore, che mi sembra la cosa migliore che io abbia mai scritto.
E dato che, in fondo, le poesie sono tutte figlie mie, e le figlie sono pezzi di cuore, sono riuscito a restringere la scelta a sei, ma non oltre. E qui entrate in ballo voi, miei venticinque fedelissimi, ai quali chiedo di indicarmi le vostre tre preferite.
Votate, votate, votate: ci sarebbe tempo fino a fine luglio, ma considerando che a luglio probabilmente sarò in giro per il mondo, diciamo che avete una decina di giorni per esprimere le vostre preferenze.
Questi sono i testi.



70, WASHINGTON SQUARE SOUTH



Difficile guardare
guardare e basta. Si cercano sempre scampoli
di significato familiare
anche nel catrame unto di fumo salato
o nella luce che rimbalza a ferirti
nel primo attraversamento di Madison Avenue. E invece
bisognerebbe che tutto fosse indifferente.
La mente è una trappola.
Lo scoiattolo si affaccia alla finestra
e guarda dall’alto l’incastro dei rumori
la luce gli sfina la coda
e tutta New York è un piano inclinato di intersezioni
e alleanze.
Il giorno finiva sempre all’imbocco della strada
anche se durava ancora al vertice

e il non capire aiutava
si era nudi come nei sogni
che ti tradiscono il respiro tra le costole.
Eri un atlante le membra sparpagliate
nessuno a ostacolarti il circolo
virtuoso dei pensieri
l’impigliarsi trionfante sempre nello stesso
crocicchio la combustione gioiosa.

* * *

GRAND CENTRAL STATION

Da che mondo è mondo, tutti si cerca un fastidio
un sassolino tra le lenticchie
solo così si scoperchia la solitudine
si getta un piccolo uncino sulla pelle dei passanti.
Chiunque è capace di premere la carne dura
o persino di divaricarla
ma vorrei vedervi alle prese con questa roba molle
insomma l’anima
o come la chiamate.
C’è sempre da qualche parte qualcuno che intubato
sente cedere la lenza
capisce che è finita.

* * *

SOTTO NEW YORK

si dice, c’è la città dei topi.
Io avevo trovato un ingresso
sulla 76esima West, nel muro del ripostiglio.
Dell’ospite ho visto le mani
(una volta) e l’orma dei denti sul biscotto.
Era uno dal sangue veloce
io dormivo radente alle sirene
lui limava la notte attorno alle lenzuola.
Finì che gli otturai la tana
non c’era dialogo possibile
tra la sua fame e la mia.

* * *

Y.M.C.A.

Con tutte quelle persone
il gioco era scivolare sulle vite nel passaggio
dalla terra al grattacielo
assecondare gli spigoli

era affondare in Greenpoint come in una cruna
aspettare l’eco dei rumori
sgominare la matassa cercare l’unica
voce umana.
Un’altra sosta era la curva del corridoio
(the hallway) dove si attraversava l’odore di olio bruciato

anche lì si trattava di cercare l’angolo giusto
che ti avrebbe rivelato la fenditura.
Questo, piuttosto che le liste di appuntamenti (schedule)
o l’euforia della luce piena a Washington Square

(lì molti si sono gettati
dall’ultimo piano fin nel vuoto lucido
e ora tutto è transennato
i vetri puliti i libri a portata di mano

ma ci sono momenti che la carne vive
sotto i tavoli ad esempio
o nel movimento di compressione necessario
a raggiungere gli scaffali più bassi).

Come amavo l’umiltà delle schiene nude
i piedi in fila le maree degli odori.

* * *

EAST HOUSTON STREET


Downtown è già abbastanza triste
senza bisogno di trombe sordinate.
Un mare di piombo sigilla le linee prospettiche.
Rasoterra si smarrisce l’organizzazione formale
e le rette perpendicolari cedono il posto ai detriti.
E allora meglio
la vernice gonfia l’odore stremato del ferro caldo e della gomma
lo stridore paziente delle cremagliere

i tunnel non conducono alle Madri
solo a pozze di pioggia isole di canto

si ha sempre la sensazione di essere più giovani
di quanto si dovrebbe.

* * *

LUNGO BROADWAY

New York, tutto sommato, è stata
una topografia della solitudine.
Vorrei insistere sui luoghi di passaggio
sulle ragazze portoricane che aspettano
con la ringhiera stampata dietro le cosce.
Un giorno probabilmente qualcuno è stato qui
a guardare con la camicia aperta sul petto
la faccia corrosa dal sole
quando l’odore era ancora quello della corda tesa
e del catrame caldo.
Ma è passato molto tempo: chi sospira viene subito nascosto
solo la spazzatura si esibisce
la fermentazione trionfante
la fame futura.
Non riesco a credere ai colori autunnali di Central Park
né ai suoi scoiattoli.

Eppure ci dovrebbe essere ancora qualcuno ad aspettare
per scremare il latte bollito tirare ago e filo tra i denti asciugare il lavello
prima o poi i grattacieli saranno secchi come vecchie ossa

e ci saranno voci snelle corpi trapassati dalla morte
che torneranno ad occupare l’orizzonte
asseconderanno i colori
consumando lenti fuochi nelle gole trasparenti.