domenica 28 febbraio 2010
sabato 27 febbraio 2010
"Libero"? Sì, di sparare balle...
Il 22 novembre scorso il fogliaccio di carta (igienica) stampata intitolato "Libero", che usurpa il nome di "giornale", pubblicava un'intervista a Philip Roth, firmata Tommaso Debenedetti.
Nell'intervista il grande scrittore, più volte candidato al Premio Nobel, e le cui simpatie per il Partito Democratico sono ben note, criticava pesantemente Barack Obama definendolo "una delusione", perché "non ha fatto nulla, in questo primo anno, nulla di rilevante, nulla di diverso da quello che la banale quotidianità del potere lo portava a fare". Persino la riforma sanitaria veniva definita "una bandiera sventolata per mascherare il nulla, perché i risultati di questa presidenza per ora sono il nulla".
L'intervista continuava con Roth che giudicava negativamente i discorsi di Obama ("hanno preso a girare a vuoto, sempre uguali, accompagnati da gesti, sguardi e sorrisi ormai ripetuti ossessivamente, che prima lo hanno reso simpatico e ora lo rendono fastidioso, quasi antipatico"), la sua politica interna ed estera e addirittura additava nell' "estremismo religioso e sanguinario, il terrorismo soprattutto di matrice islamica" il vero nemico dell'America. Anche l'Europa veniva biasimata per non aver saputo difendere la propria identità e la propria cultura.
Insomma, un Roth convertito al pensiero "teocon"?
Addirittura, quella perla di giornalismo che risponde al nome di Pierlugi Battista ci aveva costruito sopra un editoriale sul "Corriere della Sera".
Peccato che Roth, intervistato recentemente per il "Venerdì" di Repubblica, abbia clamorosamente sconfessato tutto, affermando di non aver mai rilasciato quelle dichiarazioni, e addirittura di non aver mai parlato con nessun giornalista di "Libero".
La storia viene raccontata qui.
Pare anche che dal sito di "Libero" sia misteriosamente sparita la pagina con l'intervista. Qualcuno, però, è riuscito a recuperarla. Il testo si può leggere qui.
Buon divertimento.
le sorelle della misericordia
http://www.youtube.com/watch?v=oBFQg7P5YKw
Sisters of Mercy
Oh, le sorelle della misericordia
non sono partite né andate via.
Mi aspettavano
quando pensavo di non farcela più.
E mi hanno portato conforto
e poi mi hanno portato questa canzone.
Oh, spero che tu le incontri,
tu che hai viaggiato tanto.
Sì, tu che devi lasciare tutto ciò
che non puoi controllare.
Comincia con la tua famiglia,
ma ben presto arriva alla tua anima.
Beh, io sono stato dove tu ti aggiri
penso di capire come ti sei bloccato:
quando non ti senti santo,
la sua solitudine ti dice che hai peccato.
Beh, loro giacciono al mio fianco
e a loro ho fatto la mia confessione.
Mi hanno toccato entrambi gli occhi
e io ho toccato la rugiada sul loro bavero.
Se la tua vita è una foglia che le stagioni
strappano via e condannano
loro ti legheranno con un amore
che è grazioso e verde come uno stelo.
Quando sono partito stavano dormendo,
spero che tu le incontri presto.
Non accendere le luci,
il loro indirizzo puoi leggerlo alla luce della luna.
E non sarò geloso
se sentirò che hanno addolcito la tua notte:
non è in questo modo che siamo stati amanti
e comunque anche così andrebbe tutto bene.
venerdì 26 febbraio 2010
soddisfazione
Contrariamente a quel che il vostro direttore ha voluto che voi diceste, l'avvocato David Mills non è stato assolto.
E' stato riconosciuto colpevole, ma il reato è prescritto grazie a una legge fatta approvare dal suo (e vostro) padrone.
Non è la stessa cosa. Non è per niente la stessa cosa.
Per favore, una volta nella vita dite la verità.
Siate giornalisti.
Siate uomini.
Sergio Pasquandrea
Questa mail l'ho appena spedita alla redazione del TG1 (tg1.sdr@rai.it).
Il TG1, il telegiornale nazionale, che noi paghiamo con i nostri soldi.
Quello stesso TG1 che oggi, nell'edizione delle 13,30, per due volte ha mentito, dando la notizia che David Mills era stato assolto.
Questa mail non servirà a niente, ma mi sono tolto una soddisfazione.
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verità
i vecchi e i giovani (ovvero: del diritto di fare i propri errori)
http://www.youtube.com/watch?v=OceR46ao9YQ
giovedì 25 febbraio 2010
chelsea hotel
http://www.youtube.com/watch?v=3YDb1mZxQRk
Chelsea Hotel # 2
Mi ricordo bene di te al Chelsea Hotel
parlavi così audace e così dolce
mi facevi un pompino sul letto disfatto
con le Limousine che aspettavano in strada.
Quelle erano le ragioni
e quella era New York
correvamo dietro al denaro e alla carne.
E quello si chiamava amore
per chi lavorava nella canzone.
Probabilmente è ancora così per quelli rimasti.
Ah, ma tu te ne sei andata
vero tesoro?
hai voltato le spalle alla folla.
Te ne sei andata
non ti ho più sentito dire
“ho bisogno di te, non ho bisogno di te”
e tutte quelle chiacchiere inutili.
Mi ricordo bene di te al Chelsea Hotel
eri famosa il tuo cuore era una leggenda.
Mi dicevi un’altra volta
che preferivi gli uomini belli
ma che per me avresti fatto un’eccezione.
E stringendo il pugno
per quelli come noi
che sono oppressi dalle figure della bellezza
ti concentravi
dicevi: “beh, non preoccuparti,
siamo brutti ma abbiamo la musica”.
E poi te ne sei andata
vero tesoro?
hai voltato le spalle alla folla.
Te ne sei andata
non ti ho più sentito dire
“ho bisogno di te, non ho bisogno di te”
e tutte quelle chiacchiere inutili.
Non voglio suggerire che io ti abbia amato al meglio
non posso tener traccia di ogni pettirosso caduto.
Mi ricordo di te al Chelsea Hotel
e questo è tutto
non penso neanche a te tanto spesso.
Leonard Cohen
mercoledì 24 febbraio 2010
una ragazza piena di sorprese
Tempo fa, per ragioni che non sto a spiegare, cercavo su internet delle fotografie di paesaggi urbani.
Grazie a Google Images, sono finito su un sito dove ho trovato queste foto.
Non me ne intendo, ma mi sembrano belle. Ci sono anche immagini di animali (perlopiù gatti e insetti), piante fiori, alberi. Tutte in bianco e nero. In nessuna ci sono esseri umani.
Mi hanno dato un'impressione di grande poesia, e insieme di una semplicità ed eleganza quasi zen. Infatti, guardando bene, il sito era gestito da una ragazza giapponese che si firmava Cotorich e che, presumibilmente, era l'autrice delle fotografie.
Incuriosito, ho fatto una piccola ricerca e sono finito su un canale di YouTube dove questa ragazza posta video (è lei di sicuro, perché i link ad alcuni video sono anche sul sito). Sostanzialmente, si tratta di lei che parla in giapponese davanti alla telecamera. Non ho la minima idea di che accidenti dica, ma devo confessare un debole per le belle donne orientali, specialmente se hanno quell'aria da bambolina di porcellana.
Sempre più incuriosito, ho continuato la ricerca e ho scoperto che Cotorich ha un passato... beh, diciamo abbastanza movimentato, con il nome d'arte di Hikaru Koto. Per chi ne vuol sapere di più, questa è la pagina di Wikipedia che parla di lei.
Comunque, le foto sono belle, niente da dire.
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martedì 23 febbraio 2010
lampi - 44
lunedì 22 febbraio 2010
recensioni in pillole 55 - "L'improvvisatore"
Sualzo, L'improvvisatore, Rizzoli/Lizard 2009 (110 pp, 15 €)
Elia Sabaz è un jazzista. Ma non uno dei grandi: Sabaz è uno di quei musicisti che sembrano destinati a rimanere nell'ombra a vita.
Elia ha una caratteristica abbastanza letale: è sempre in ritardo. E' in ritardo a scuola, dato che per mantenersi fa il maestro elementare. E' in ritardo sul tempo quando suona (o forse, come dice lui, è solo lo swing). Se deve suonare in una villa sull'Isola Maggiore, arriva in ritardo e perde il traghetto, salvo ritrovarsi a suonare con un'orchestrina di liscio (e, al termine del concerto, riflettere: "Ho mai avuto tanto pubblico come stasera? Sono stato mai pagato tanto per suonare? Sto sbagliando qualcosa?"). Se ci prova con una ragazza, scopre che è già sposata o fidanzata.
Eppure quella che sembra una tragicommedia a un certo punto svolta: e chissà, forse anche per Elia Sabaz prima o poi arriverà la grande occasione, nella musica e nella vita.
Antonio Vincenti, in arte Sualzo, è perugino e vive sul Lago Trasimeno, ma devo confessare che, colpevolmente, non lo conoscevo.
Questa storia ha il merito (il grosso merito, per me) di non raccontare del solito jazzista alcoolizzato, drogato e pseudo-filosofo, ma di declinare il jazz nella normale vita quotidiana di un gruppo di persone qualunque, con un'unica particolarità: amano alla follia questa musica e vorrebbero vivere suonandola.
Elia e i suoi compagni non si muovono per il Greenwich Village o per Harlem, ma in un'Umbria resa con un adorabile segno naïf. Non si drogano, al massimo alzano un po' il gomito (splendida quella del batterista che, al loro primo concerto importante, chiede: "Cerchiamo un bar, ho bisogno di una camomilla", e il chitarrista, alzando gli occhi al cielo: "Camomilla? Ma perché non si droga come tutti i jazzisti?").
E forse è proprio vero che, alla fin fine, la vita, così come la musica, viene bene solo improvvisando.
* * *
Vi ho chiesto di suonare per me perché io delle incisioni mi fido poco. Quando investo in qualcuno devo essere perfettamente conscio di quello che riesce o non riesce a fare.
Ci sono musicisti che non riescono proprio a suonare lo stesso pezzo due volte nella stessa maniera.
Come voi.
Per fortuna.
Seguitemi nel mio ufficio.
Il jazz mi affascina perché non mi dà due volte la stessa sensazione. L'improvvisazione dà un'ebbrezza senza pari. L'improvvisatore ogni volta si sorprende di sapere cosa fare... Non è magnifico? Una vera sfida alla dispersione! Il jazz è l'epica dei nostri giorni.
((accendendosi un sigaro)) Puff... puff... mmmh... Vi voglio raccontare una storia.
Puff... Dunque... C'era uno scrittore che scrisse un romanzo di successo e il suo agente lo portò in giro per mezzo mondo a fare presentazioni e dediche.
Lo scrittore non amava molto questo genere di cose ma ubbidì docilmente al suo agente.
Quando si spostavano tra una città e l'altra l'agente gli diceva: "Perché non cominci a pensare al prossimo libro? Potresti usare questo tempo per scrivere qualcosa... Così quando finiamo il tour potremmo fare uscire il libro nuovo. Che te ne pare?".
Lo scrittore non rispondeva e il tour proseguiva con l'agente che continuava a ripetergli la stessa cosa.
Quando lo scrittore incontrava i lettori era molto cortese e si impegnava a scrivere delle dediche originali, una diversa dall'altra. A dire il vero qualche volta erano un po' oscure, non si capiva bene cosa volesse dire. Ma era così cortese che nessuno gli disse mai niente.
Passava il tempo e le tappe si moltiplicavano. L'agente continuava con la sua richiesta che rimaneva però senza risposta.
Finché un giorno lo scrittore fece una dedica più strana del solito... Scrisse solo la parola "Fine", poi mise il luogo, la data e la firma. Poi si voltò verso l'agente che era dietro di lui, gli dette il libro e disse: "Ecco finito il tuo romanzo. Ora non ti resta che andare a ricercare tutti gli altri pezzi e metterli in ordine. Buona fortuna!".
Ah, ah! Ragazzi! Ecco cosa intendo io per jazz!
Bene, allora ci vediamo giovedì per la prima incisione.
Ah... dimenticavo...
Naturalmente, ragazzo mio, quando si accetta di giocare in questo modo... quando ci si frammenta e si mandano in giro così tanti pezzi di se stesso... bisogna mettere in conto che qualche pezzo magari lo perderemo per sempre e non tornerà più.
E' il minimo, no?
Elia Sabaz è un jazzista. Ma non uno dei grandi: Sabaz è uno di quei musicisti che sembrano destinati a rimanere nell'ombra a vita.
Elia ha una caratteristica abbastanza letale: è sempre in ritardo. E' in ritardo a scuola, dato che per mantenersi fa il maestro elementare. E' in ritardo sul tempo quando suona (o forse, come dice lui, è solo lo swing). Se deve suonare in una villa sull'Isola Maggiore, arriva in ritardo e perde il traghetto, salvo ritrovarsi a suonare con un'orchestrina di liscio (e, al termine del concerto, riflettere: "Ho mai avuto tanto pubblico come stasera? Sono stato mai pagato tanto per suonare? Sto sbagliando qualcosa?"). Se ci prova con una ragazza, scopre che è già sposata o fidanzata.
Eppure quella che sembra una tragicommedia a un certo punto svolta: e chissà, forse anche per Elia Sabaz prima o poi arriverà la grande occasione, nella musica e nella vita.
Antonio Vincenti, in arte Sualzo, è perugino e vive sul Lago Trasimeno, ma devo confessare che, colpevolmente, non lo conoscevo.
Questa storia ha il merito (il grosso merito, per me) di non raccontare del solito jazzista alcoolizzato, drogato e pseudo-filosofo, ma di declinare il jazz nella normale vita quotidiana di un gruppo di persone qualunque, con un'unica particolarità: amano alla follia questa musica e vorrebbero vivere suonandola.
Elia e i suoi compagni non si muovono per il Greenwich Village o per Harlem, ma in un'Umbria resa con un adorabile segno naïf. Non si drogano, al massimo alzano un po' il gomito (splendida quella del batterista che, al loro primo concerto importante, chiede: "Cerchiamo un bar, ho bisogno di una camomilla", e il chitarrista, alzando gli occhi al cielo: "Camomilla? Ma perché non si droga come tutti i jazzisti?").
E forse è proprio vero che, alla fin fine, la vita, così come la musica, viene bene solo improvvisando.
* * *
Vi ho chiesto di suonare per me perché io delle incisioni mi fido poco. Quando investo in qualcuno devo essere perfettamente conscio di quello che riesce o non riesce a fare.
Ci sono musicisti che non riescono proprio a suonare lo stesso pezzo due volte nella stessa maniera.
Come voi.
Per fortuna.
Seguitemi nel mio ufficio.
Il jazz mi affascina perché non mi dà due volte la stessa sensazione. L'improvvisazione dà un'ebbrezza senza pari. L'improvvisatore ogni volta si sorprende di sapere cosa fare... Non è magnifico? Una vera sfida alla dispersione! Il jazz è l'epica dei nostri giorni.
((accendendosi un sigaro)) Puff... puff... mmmh... Vi voglio raccontare una storia.
Puff... Dunque... C'era uno scrittore che scrisse un romanzo di successo e il suo agente lo portò in giro per mezzo mondo a fare presentazioni e dediche.
Lo scrittore non amava molto questo genere di cose ma ubbidì docilmente al suo agente.
Quando si spostavano tra una città e l'altra l'agente gli diceva: "Perché non cominci a pensare al prossimo libro? Potresti usare questo tempo per scrivere qualcosa... Così quando finiamo il tour potremmo fare uscire il libro nuovo. Che te ne pare?".
Lo scrittore non rispondeva e il tour proseguiva con l'agente che continuava a ripetergli la stessa cosa.
Quando lo scrittore incontrava i lettori era molto cortese e si impegnava a scrivere delle dediche originali, una diversa dall'altra. A dire il vero qualche volta erano un po' oscure, non si capiva bene cosa volesse dire. Ma era così cortese che nessuno gli disse mai niente.
Passava il tempo e le tappe si moltiplicavano. L'agente continuava con la sua richiesta che rimaneva però senza risposta.
Finché un giorno lo scrittore fece una dedica più strana del solito... Scrisse solo la parola "Fine", poi mise il luogo, la data e la firma. Poi si voltò verso l'agente che era dietro di lui, gli dette il libro e disse: "Ecco finito il tuo romanzo. Ora non ti resta che andare a ricercare tutti gli altri pezzi e metterli in ordine. Buona fortuna!".
Ah, ah! Ragazzi! Ecco cosa intendo io per jazz!
Bene, allora ci vediamo giovedì per la prima incisione.
Ah... dimenticavo...
Naturalmente, ragazzo mio, quando si accetta di giocare in questo modo... quando ci si frammenta e si mandano in giro così tanti pezzi di se stesso... bisogna mettere in conto che qualche pezzo magari lo perderemo per sempre e non tornerà più.
E' il minimo, no?
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domenica 21 febbraio 2010
recensioni in pillole 54 - "Uno zoo d'inverno"
Jiro Taniguchi, Uno zoo d'inverno, Rizzoli/Lizard 2010 (231 pp., 17 €)
Nonostante io possa vantare una lunga militanza da lettore di fumetti (cominciata praticamente appena imparato a leggere, con Topolino, Geppo e Braccio di Ferro, proseguita con Tex e poi dilagata in maniera incontrollabile), devo confessare la mia profonda ignoranza in fatto di manga.
A malapena arrivo a qualche classico di Otomo, Tetsuka o Miyazaki, integrato da qualche Ken il guerriero scroccato ai compagni di classe durante le inutili e interminabili ore di storia e filosofia (inutili non per via delle materie, ovvio, ma per via dell'idiota che avrebbe dovuto insegnarcele). Ah, già, e un mio compagno d'università era fan de La clinica dell'amore, ma qui mi fermo per motivi di pudicizia...
Insomma, nella mia ignoranza apprezzo molto Jiro Taniguchi. E di certo non è casuale, dato che Taniguchi è, tra tutti i mangaka, quello più vicino al fumetto occidentale e lontano dagli stereotipi dei manga. Tanto per dire: stile realistico, ispirato soprattutto a modelli franco-belgi, niente occhi formato-fanale, niente linee cinetiche, niente esasperazioni grottesche, niente virtuosismi nella composizione delle tavole, eccetera eccetera.
Allo stesso tempo, il modo di narrare di Taniguchi, così lento e posato, ha quel tanto di "giapponesità" che affascina il lettore occidentale sprovveduto come me. Le sue storie sono fatte di quasi-nulla: personaggi che osservano la vita, piccoli fatti quotidiani, ambienti e paesaggi descritti con amorevole minuzia (Taniguchi è capace, letteralmente, di disegnare tutti gli alberi di un bosco foglia per foglia o di soffermarsi su ogni finestra e ogni tegola di un palazzo nello sfondo).
Questo "Lo zoo d'inverno" è una storia fortemente autobiografica. Il protagonista, Hamaguchi, condivide con l'autore molti tratti caratteriali e biografici: all'inizio è un giovane timido e introverso, che lavora come impiegato a Tottori, presso Kyoto; lascia tutto per trasferirsi a Tokyo e tentare la carriera di fumettista; entra come assistente presso lo studio di un famoso disegnatore e pian piano riesce a farsi strada. La storia è ambientata alla fine degli anni Sessanta e ricostruisce con affetto l'atmosfera un po' bohèmienne in cui vivevano i fumettisti di quel periodo.
Alla storia di Hamaguchi si intrecciano tante vicende parallele, tanti personaggi più o meno importanti, ognuno con la sua fisionomia, la sua psicologia, la sua verità.
Un'opera incantevole.
NERD NOTE: come purtroppo succede spesso per i manga, le tavole sono rovesciate per adattarle al senso di lettura occidentale. Questo spiega l'abbondanza di mancini...
Nonostante io possa vantare una lunga militanza da lettore di fumetti (cominciata praticamente appena imparato a leggere, con Topolino, Geppo e Braccio di Ferro, proseguita con Tex e poi dilagata in maniera incontrollabile), devo confessare la mia profonda ignoranza in fatto di manga.
A malapena arrivo a qualche classico di Otomo, Tetsuka o Miyazaki, integrato da qualche Ken il guerriero scroccato ai compagni di classe durante le inutili e interminabili ore di storia e filosofia (inutili non per via delle materie, ovvio, ma per via dell'idiota che avrebbe dovuto insegnarcele). Ah, già, e un mio compagno d'università era fan de La clinica dell'amore, ma qui mi fermo per motivi di pudicizia...
Insomma, nella mia ignoranza apprezzo molto Jiro Taniguchi. E di certo non è casuale, dato che Taniguchi è, tra tutti i mangaka, quello più vicino al fumetto occidentale e lontano dagli stereotipi dei manga. Tanto per dire: stile realistico, ispirato soprattutto a modelli franco-belgi, niente occhi formato-fanale, niente linee cinetiche, niente esasperazioni grottesche, niente virtuosismi nella composizione delle tavole, eccetera eccetera.
Allo stesso tempo, il modo di narrare di Taniguchi, così lento e posato, ha quel tanto di "giapponesità" che affascina il lettore occidentale sprovveduto come me. Le sue storie sono fatte di quasi-nulla: personaggi che osservano la vita, piccoli fatti quotidiani, ambienti e paesaggi descritti con amorevole minuzia (Taniguchi è capace, letteralmente, di disegnare tutti gli alberi di un bosco foglia per foglia o di soffermarsi su ogni finestra e ogni tegola di un palazzo nello sfondo).
Questo "Lo zoo d'inverno" è una storia fortemente autobiografica. Il protagonista, Hamaguchi, condivide con l'autore molti tratti caratteriali e biografici: all'inizio è un giovane timido e introverso, che lavora come impiegato a Tottori, presso Kyoto; lascia tutto per trasferirsi a Tokyo e tentare la carriera di fumettista; entra come assistente presso lo studio di un famoso disegnatore e pian piano riesce a farsi strada. La storia è ambientata alla fine degli anni Sessanta e ricostruisce con affetto l'atmosfera un po' bohèmienne in cui vivevano i fumettisti di quel periodo.
Alla storia di Hamaguchi si intrecciano tante vicende parallele, tanti personaggi più o meno importanti, ognuno con la sua fisionomia, la sua psicologia, la sua verità.
Un'opera incantevole.
NERD NOTE: come purtroppo succede spesso per i manga, le tavole sono rovesciate per adattarle al senso di lettura occidentale. Questo spiega l'abbondanza di mancini...
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sabato 20 febbraio 2010
ancora ossessioni
Signore e signori, ecco a voi un nuovo post della serie "ossessioni".
Questa volta, a ossessionarmi è I Loves You Porgy, uno dei brani più belli dell'opera "Porgy and Bess", musicata da George Gershwin nel 1935 su testi del fratello Ira e di DuBose Heyward.
E' la terza scena del secondo atto: Bess, che è fidanzata con il cattivo Crown, dichiara il suo amore a Porgy e gli chiede di proteggerla e di tenerla con sé, per sempre - o almeno finché è possibile, finché Crown non tornerà a reclamarla.
I loves you, Porgy,
Don't let him take me,
Don't let him handle me
And drive me mad.
If you can keep me
I wanna stay here
With you forever
And I'll be glad.
Yes I loves you, Porgy,
Don't let him take me,
Don't let him handle me
With his hot hands.
If you can keep me
I wants to stay here
With you forever
I've got my man.
Someday I know he's coming to call me,
He's going to handle me and hold me.
So, it' going to be like dying, Porgy
When he calls me
But when he comes I know I'll have to go.
I loves you, Porgy,
Don't let him take me,
Honey, don't let him handle me
And drive me mad.
If you can keep me
I wanna stay here
With you forever:
I've got my man...
(Per la cronaca: alla fine il povero Porgy ammazzerà in duello Crown, ma Bess lo pianterà per scappare a New York con l'ambiguo Sportin' Life, contrabbandiere e spacciatore di cocaina. Così va la vita...).
Billie Holiday
http://www.youtube.com/watch?v=jpxfZKeqw48
Bill Evans
http://www.youtube.com/watch?v=qBqdxjHg4C0
Nina Simone
http://www.youtube.com/watch?v=zvq9-sFC6a8
Assalto in Jazz
http://www.youtube.com/watch?v=TYWVbg6HQQU
Keith Jarrett
http://www.youtube.com/watch?v=o3D8Ri84hmw
Barbra Streisand
http://www.youtube.com/watch?v=PnPzLWIdS4w
...e per finire, Christina Aguilera (ebbene sì: ascoltare per credere).
http://www.youtube.com/watch?v=20ktqsKuVI4
venerdì 19 febbraio 2010
doveva succedere...
Sì, prima o poi doveva succedere.
Una fan di Giovanni Allevi ha detto che io ne parlo male perché "sono invidioso" (qui il commento).
Ebbene sì, lo confesso: sono invidioso.
Per quanto ci abbia provato, non sono mai riuscito ad ottenere una chioma come la sua.
Da tutta una vita, è questo il mio tarlo segreto.
Una fan di Giovanni Allevi ha detto che io ne parlo male perché "sono invidioso" (qui il commento).
Ebbene sì, lo confesso: sono invidioso.
Per quanto ci abbia provato, non sono mai riuscito ad ottenere una chioma come la sua.
Da tutta una vita, è questo il mio tarlo segreto.
l'universo (s)conosciuto
Ovvero: nasciamo, copuliamo e moriamo su un palloncino azzurro sospeso in fondo a uno spaventoso abisso nero, freddo e buio.
Meditate, gente, meditate.
Meditate, gente, meditate.
http://www.youtube.com/watch?v=17jymDn0W6U
giovedì 18 febbraio 2010
lampi - 43
mercoledì 17 febbraio 2010
lampi - 42
martedì 16 febbraio 2010
carnevale
Claudio Arrau esegue il "Carnaval" di Schumann (1961).
http://www.youtube.com/watch?v=dC0JAWQsZwM
http://www.youtube.com/watch?v=ny73Xq-XXlE
http://www.youtube.com/watch?v=c1e5eLVpSEk
http://www.youtube.com/watch?v=qDCsYHjtQpU
lunedì 15 febbraio 2010
domenica 14 febbraio 2010
valentine #3 - la donna d'inverno
http://www.youtube.com/watch?v=sj_ChchqRoo
Perché d'inverno è meglio
la donna è tutta più segreta e sola
tutta più morbida e pelosa
e bianca afgana algebrica e pensosa
dolce e squisita è tutta un'altra cosa
chi vuole andare in gita
non sa
non sa
non sa.
Quando la neve attenua
ogni rumore e in strada gli autocarri
non hanno più motore
è questo il tempo di lasciarsi sprofondare
nel medioevo delle sue frasi amare
dice non vuol peccare
però
si sa
lo fa.
Sto trafficando beato me
sotto un fruscio di taffetà
e mi domando in fondo se
mentre lei splende sul sofà
d'inverno
d'inverno
non sia anche più intelligente.
Sì sì d'inverno è meglio
dopo è più facile dormire andare
oltre i pensieri con un libro di Lucrezio
aperto tra le dita
così è la vita
tra una vestaglia e un mare
chi vuole andare in gita
non sa
non sa
non sa.
valentine #2
Una poesia del poeta rumeno-francese Gherasim Luca (1913-1994).
La riprendo da qui (dove si può anche leggere l’originale e ascoltare la voce dell'autore che la recita).
Il suo corpo leggero
è la fine del mondo?
È un errore
è una delizia che scivola
tra le mie labbra
vicino al ghiaccio
ma l’altro pensava:
non è che una colomba che respira
comunque sia
là dove io sono
avviene qualcosa
in una posizione delimitata dalla tempesta
Vicino al ghiaccio è un errore
là dove io sono non è che una colomba
ma l’altro pensava:
avviene qualcosa
in una posizione delimitata
scivolando tra le mie labbra
è la fine del mondo?
È una delizia comunque sia
il suo corpo leggero respira con la tempesta
In una posizione delimitata
vicino al ghiaccio che respira
il suo corpo leggero che scivola tra le mie labbra
è la fine del mondo?
ma l’altro pensava: è una delizia
avviene qualcosa comunque sia
per la tempesta è soltanto una colomba
là dove io sono è un errore
È la fine del mondo che respira
il suo corpo leggero? ma l’altro pensava:
là dove io sono vicino al ghiaccio
è una delizia in una posizione delimitata
comunque sia è un errore
avviene qualcosa per la tempesta
non è che una colomba
che scivola fra le mie labbra
Non è che una colomba
in una posizione delimitata
là dove io sono con la tempesta
ma l’altro pensava:
chi respira vicino al ghiaccio?
è la fine del mondo?
comunque sia è una delizia
avviene qualcosa
è un errore
che scivola fra le mie labbra
il suo corpo leggero
da La Fin Du Monde, in “Paralipomènes”, Paris, 1969
[traduzione di orsola puecher]
[traduzione di orsola puecher]
Un altro testo dello stesso autore si può leggere qui.
Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea liberale. Scampato al nazismo grazie ad anni di clandestinità, è arrestato dai comunisti nel 1947. La sua unica possibilità di uscire dalla Romania è chiedere un visto per il neonato Israele. Lo ottiene nel 1952. In Israele, per sfuggire alla leva militare obbligatoria, sopravvive alcuni mesi nascosto in una grotta senza mai uscirne – si faceva luce con uno specchio con cui catturava i raggi del sole. Dopodiché riesce a partire per la Francia, dove vivrà da apolide per il resto della sua vita. Verso la fine degli anni Ottanta, una procedura burocratica legata all’assegnazione delle case popolari lo costringe ad assumere la cittadinanza francese. Vedendo in questo gesto una risorgenza delle antiche vessazioni, nonché di comportamenti razzisti ed antisemiti, la notte del 9 febbraio 1994 si getta nella Senna. Nella sua ultima lettera, dice di voler abbandonare “un mondo in cui non c’è più posto per i poeti”.
(biografia redatta da Andrea Raos)
valentine #1
NUOVA STAGIONE
La mia donna ha raccolto
tutte le foglie,
si è avvolta le mani nei riccioli,
è andata nei boschi
dove io le ho insegnato
il linguaggio di queste foglie di bosco,
e i rossi alberi di prugno.
È un compendio
di me che prendo queste foglie con fame;
è un amore che lei capisce.
Dal mio odore di legno
ha cosparso la sua pelle color d’uvetta
ed è tornata
addolcita in musica brillante:
Il suo canto è la nostra nuova stagione.
per Shirl
* * *
NEW SEASON
My woman has picked all the leaves,
rolled her hands into locks,
gone into the woods
where I have taught her
the language of these wood leaves,
and the red sand plum trees.
It is a digest
of my taking these leaves with hunger;
it is love she understands.
From my own wooden smell
she has shed her raisin skin
and come back
sweetened into brilliant music:
Her song is our new season.
for Shirl
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sabato 13 febbraio 2010
blues power 12 - washington phillips
Nessuno sa con precisione con che razza di strumento Washington Phillips incise una serie di matrici per la Columbia a Dallas, nel dicembre 1927. Pare si tratti della dolceola, uno strumento simile alla cetra.
Ad ogni modo, il risultato è straordinario.
http://www.youtube.com/watch?v=SBpfdjpBniM
Ad ogni modo, il risultato è straordinario.
http://www.youtube.com/watch?v=SBpfdjpBniM
venerdì 12 febbraio 2010
blues power 11 - peetie wheatstraw
Credete che Robert Johnson fosse l'unico bluesman a raccontare di aver venduto l'anima al diavolo in cambio della musica? Sbagliato.
La storia circolava, e ancor prima di Johnson la raccontava Peetie Wheatstraw (1902-1941), "the Devil's Son-in-Law", straordinario pianista e cantante originario del Tennessee (*).
La storia circolava, e ancor prima di Johnson la raccontava Peetie Wheatstraw (1902-1941), "the Devil's Son-in-Law", straordinario pianista e cantante originario del Tennessee (*).
http://www.youtube.com/watch?v=EqY03NHDMNo
(*) E lo raccontava anche Tommy Johnson, di cui parlavo qualche giorno fa.
giovedì 11 febbraio 2010
bruciarli tutti
Vedo soltanto adesso questa brevissima, fulminante storia a fumetti in due sole tavole, pubblicata sul blog di Luca Boschi il 27 gennaio scorso, in occasione del Giorno della Memoria.
Gli autori sono Giancarlo Malagutti e Manlio Tuscia, e il post originale si può leggere qui.
Gli autori sono Giancarlo Malagutti e Manlio Tuscia, e il post originale si può leggere qui.
(Cliccare sulle immagini per ingrandirle)
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mercoledì 10 febbraio 2010
parlar chiaro
Oooh... finalmente uno che parla chiaro e tondo!
Marcello dell'Utri sul Fatto Quotidiano di oggi:
FQ: Non sente una responsabilità visto il suo ruolo politico?
D: Io sono politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto ... mi candidai alle elezioni del 1996 per proteggermi, infatti, subito dopo, è arrivato il mandato d'arresto ...
FQ: Perchè non si difende solo fuori dal Parlamento?
D: Mi difendo anche fuori, ma non sono mica cretino!
Marcello dell'Utri sul Fatto Quotidiano di oggi:
FQ: Non sente una responsabilità visto il suo ruolo politico?
D: Io sono politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto ... mi candidai alle elezioni del 1996 per proteggermi, infatti, subito dopo, è arrivato il mandato d'arresto ...
FQ: Perchè non si difende solo fuori dal Parlamento?
D: Mi difendo anche fuori, ma non sono mica cretino!
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blues power 9 - memphis minnie & kansas joe
When the Levee Breaks, un vecchio blues di Memphis Minnie e Kansas Joe McCoy, datato 1929.
(... e se vi sembra di averlo già sentito, cliccate un po' qui).
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(... e se vi sembra di averlo già sentito, cliccate un po' qui).
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martedì 9 febbraio 2010
blues power 8 - henry "ragtime texas" thomas
http://www.youtube.com/watch?v=jKvbrGOkUIA
Sì, quello che sentite è proprio un flauto di Pan. A differenza di quel che si crede di solito, non è affatto uno strumento legato solo alla musica andina: esiste anche nel Sud degli Stati Uniti, dove viene chiamato quills.
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lunedì 8 febbraio 2010
domenica 7 febbraio 2010
questo è un uomo?
Piero Buscaroli è un musicologo, che ha scritto libri su Bach, Beethoven, Mozart. E fin qui tutto a posto.
Ma Piero Buscaroli è anche un nostalgico del fascismo. E qui va già meno bene.
Nel 1994, in un'intervista al Corriere della Sera, Piero Buscaroli affermò che gli omosessuali andrebbero chiamati "correttamente froci o checche" e andrebbero spediti nei campi di concentramento.
Su "Tuttolibri", il supplemento culturale della Stampa in edicola ieri, sabato 6 febbraio 2010, Piero Buscaroli ha rilasciato un'intervista in cui afferma cose come queste:
E qui va già molto, molto meno bene.
Questa gentaglia viene lasciata parlare, in nome della "libertà d'opinione".
Io, onestamente, non so più che cosa pensare.
Ma Piero Buscaroli è anche un nostalgico del fascismo. E qui va già meno bene.
Nel 1994, in un'intervista al Corriere della Sera, Piero Buscaroli affermò che gli omosessuali andrebbero chiamati "correttamente froci o checche" e andrebbero spediti nei campi di concentramento.
Su "Tuttolibri", il supplemento culturale della Stampa in edicola ieri, sabato 6 febbraio 2010, Piero Buscaroli ha rilasciato un'intervista in cui afferma cose come queste:
Lei si sofferma a lungo sull’«Olocausto dell’aria», come chiama i bombardamenti angloamericani. Ma l’olocausto di terra?
«Ritengo che Hitler non sapesse. Ma non mi si annoveri fra i negazionisti. Non voglio approfondire, non voglio credere».
E dire che basterebbe aprire «Se questo è un uomo», Primo Levi...
«Non l’ho letto».
Ha frequentato almeno la letteratura dei «vinti», il Mazzantini di «A cercar la bella morte», per esempio?
«Neanche... Mazzantini credo fosse un candido. Mentre odio il Roberto Vivarelli di Fascismo estoria d’Italia, che rievoca la giovinezza nell’uniforme di Salò. Neanche lui ho letto. Non ho voluto leggere nulla per non inquinare le mie idee e la mia lingua».
[...]
Lei definisce la nostra «guerra civile» la «guerra dei comunisti». Ma dall’altra parte non c’erano solo comunisti. Non era un garibaldino «Il partigiano Johnny» di Beppe Fenoglio...
«Non l’ho letto. Credo di avere spiegato esaurientemente il motivo».
E qui va già molto, molto meno bene.
Questa gentaglia viene lasciata parlare, in nome della "libertà d'opinione".
Io, onestamente, non so più che cosa pensare.
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sabato 6 febbraio 2010
bues power 5 - the roots of rock'n'roll
Se questo non è rock'n'roll, allora ditemi voi cos'è.
Canta il grande Charley Patton e siamo nel 1929. Bill Haley portava ancora i pannolini ed Elvis non era ancora nemmeno un'idea tra le anche di Dio.
E che mi dite di questo? Georgia Tom e Tampa Red, "Tight Like That". Siamo addirittura a un anno prima (1928).
(Per la cronaca, Georgia Tom si chiamava in realtà Thomas Dorsey; qualche anno dopo abbandonò il blues e si mise a comporre musica religiosa; oggi è consdierato l'inventore del gospel moderno e i suoi brani sono nel repertorio di ogni coro gospel).
E per finire, un'ultima chicca: Hank Williams, "Move It On Over" (1947).
Blues e country non sono poi così distanti, e il rock'n'roll è ormai alle porte.
Canta il grande Charley Patton e siamo nel 1929. Bill Haley portava ancora i pannolini ed Elvis non era ancora nemmeno un'idea tra le anche di Dio.
http://www.youtube.com/watch?v=UuY6NROhCQw
E che mi dite di questo? Georgia Tom e Tampa Red, "Tight Like That". Siamo addirittura a un anno prima (1928).
http://www.youtube.com/watch?v=qI0LfdDGO9A
(Per la cronaca, Georgia Tom si chiamava in realtà Thomas Dorsey; qualche anno dopo abbandonò il blues e si mise a comporre musica religiosa; oggi è consdierato l'inventore del gospel moderno e i suoi brani sono nel repertorio di ogni coro gospel).
E per finire, un'ultima chicca: Hank Williams, "Move It On Over" (1947).
Blues e country non sono poi così distanti, e il rock'n'roll è ormai alle porte.
http://www.youtube.com/watch?v=-Lza3NVH6Ig
Perdenti Dentro
Che il PD fosse in stato confusionale, lo si era capito da un pezzo.
Gli ultimi manifesti elettorali sono solo l'ennesima conferma.
Leggetevi questo commento di Gipi sul suo blog. Lo dice meglio di quanto potrei fare io.
Gli ultimi manifesti elettorali sono solo l'ennesima conferma.
Leggetevi questo commento di Gipi sul suo blog. Lo dice meglio di quanto potrei fare io.
venerdì 5 febbraio 2010
giovedì 4 febbraio 2010
blues power 3 - deford bailey
Ovvero, che cosa può fare un uomo solo, con un'armonica in mano.
http://www.youtube.com/watch?v=_e7VBJTHWxo
mercoledì 3 febbraio 2010
recensioni in pillole 53 - "To Be or Not To Bop"
Dizzy Gillespie (con Al Fraser), To be or not to bop. L'autobiografia, minimum fax 2009 (680 pp., 20 euro)
Vi è mai capitato di starvene in salotto a fare quattro chiacchere con Dizzy Gillespie? Neanche a me, a dire il vero, ma questo libro ci si avvicina moltissimo.
Dizzy lo scrisse nel 1979 con l'aiuto del giornalista Al Fraser, ed è un autoritratto schietto ed esuberante, arricchito dalle testimonianze di colleghi musicisti, impresari, amici, familiari, fino alla moglie Lorraine, compagna fedele per più di mezzo secolo.
Se vi interessa l'argomento, è un libro assolutamente insostituibile, perché riesce a rendere in modo vivo e tangibile mezzo secolo di storia del jazz, dai primi anni Trenta agli anni Settanta. La parte più consistente (oltre trecento pagine) è dedicata alla nascita del bebop e contiene una miriade di aneddoti e informazioni su Thelonious Monk, Charlie Parker, Bud Powell e su tutti i personaggi che popolavano quegli anni eroici.
Gillespie ne esce fuori in tutte le sue sfaccettature: intelligente, ironico, comico, serio, arguto, a volte anche drammatico. Insomma, non solo il clown che gonfiava le gote e faceva ridere il pubblico, ma anche un uomo acuto, capace di giudizi sferzanti, un organizzatore ferreo e un professionista impeccabile (alla faccia dello stereotipo dei jazzisti svaccati, drogati e fuori di testa).
Ciò non toglie che il libro sia spesso esilarante, e il capitolo sulla sua candidatura a Presidente degli Stati Uniti, nel 1964, ne è uno degli esempi migliori.
Contiene anche una guida discografica, utile per orientarsi nella vastissima produzione di Dizzy.
Vi è mai capitato di starvene in salotto a fare quattro chiacchere con Dizzy Gillespie? Neanche a me, a dire il vero, ma questo libro ci si avvicina moltissimo.
Dizzy lo scrisse nel 1979 con l'aiuto del giornalista Al Fraser, ed è un autoritratto schietto ed esuberante, arricchito dalle testimonianze di colleghi musicisti, impresari, amici, familiari, fino alla moglie Lorraine, compagna fedele per più di mezzo secolo.
Se vi interessa l'argomento, è un libro assolutamente insostituibile, perché riesce a rendere in modo vivo e tangibile mezzo secolo di storia del jazz, dai primi anni Trenta agli anni Settanta. La parte più consistente (oltre trecento pagine) è dedicata alla nascita del bebop e contiene una miriade di aneddoti e informazioni su Thelonious Monk, Charlie Parker, Bud Powell e su tutti i personaggi che popolavano quegli anni eroici.
Gillespie ne esce fuori in tutte le sue sfaccettature: intelligente, ironico, comico, serio, arguto, a volte anche drammatico. Insomma, non solo il clown che gonfiava le gote e faceva ridere il pubblico, ma anche un uomo acuto, capace di giudizi sferzanti, un organizzatore ferreo e un professionista impeccabile (alla faccia dello stereotipo dei jazzisti svaccati, drogati e fuori di testa).
Ciò non toglie che il libro sia spesso esilarante, e il capitolo sulla sua candidatura a Presidente degli Stati Uniti, nel 1964, ne è uno degli esempi migliori.
Contiene anche una guida discografica, utile per orientarsi nella vastissima produzione di Dizzy.
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blues power 2 - alberta hunter
Questa donna ha 83 (dico: ottantatré) anni.
P.S.: chi conoscesse, di questo pezzo, l'insulsa versione incisa da Eric Clapton su "Unplugged", è pregato di cancellarla e sostituirla con questa, oppure (a scelta) con quest'altra.
http://www.youtube.com/watch?v=YdaNlZhmHoM
P.S.: chi conoscesse, di questo pezzo, l'insulsa versione incisa da Eric Clapton su "Unplugged", è pregato di cancellarla e sostituirla con questa, oppure (a scelta) con quest'altra.
martedì 2 febbraio 2010
blues power 1 - willie brown
Direttamente dal passato, il blues del futuro.
http://www.youtube.com/watch?v=U9152PPuY2I
orbite
Trovo qui questa suggestiva (e un po' inquietante) mappa stellare della blogosfera italiana.
Da quel che posso capire, l'autore ha mappato i 500 blog più citati e li ha rappresentati come una sorta di ammasso di corpi celesti, evidenziandone le orbite e i reciproci legami gravitazionali. Se volete vedere i dettagli, andate sul sito e cliccate sull'immagine in basso.
C'è persino, in alto a sinistra, il minuscolo asteroide di questo blog. Per trovarmi, triangolate, tra i pianeti maggiori, "la poesia e lo spirito", "un tocco di zenzero" e "absolute poetry". Ecco, io sono lì, più o meno al centro.
lunedì 1 febbraio 2010
paternità (due poesie di michael s. harper)
Avere un figlio ti insegna l'incommensurabilità tra esperienza e parola.
Ad esempio: si dice che avere un figlio ti cambia la vita. Sbagliato: avere un figlio ti rivolta come un guanto, ti mette di fronte a una sorta di te stesso cubista, dove tutti i piani vengono sfalsati nella direzione e nella prominenza.
Amare un figlio, poi, è cosa ben diversa dall'amare un amico, o un amante, che sono entità separate da te, con una loro volontà, un loro passato, un loro destino, un loro humus di ricordi ed esperienze dalle quali tu sei, del tutto o in parte, escluso. Un figlio è – non saprei bene come spiegarlo – un pezzo della tua stessa carne estratto e posto lì fuori, nel mondo, a camminare da solo. E l'amore che gli si porta è qualcosa di definitivo, pre-razionale, torrentizio: una forza soverchiante, dalla quale si viene travolti senza scampo.
Avere un figlio può essere un'esperienza di puro terrore. Il pensiero che qualcosa – qualunque cosa – possa arrivare a ferire quella minuscola concrezione di vita – un germe, un intoppo nel respiro, un boccone andato storto, una qualsiasi delle infinite manifestazioni del Male – è in assoluto il più angoscioso che io abbia mai provato.
Queste due poesie sono tratte da “Dear John, Dear Coltrane” (1970), il primo libro di poesie di Michael S. Harper, uno dei più importanti poeti afroamericani contemporanei.
* * *
DIAMO PER INTESO: SULLA MORTE DI NOSTRO FIGLIO, REUBEN MASAI HARPER
Diamo per inteso
che in 28 ore,
vissute in un'incubatrice pieghevole,
tu abbia imparato ad accettare l'ossigeno puro
come cielo naturale;
gli scarsi stenti respiri
che hanno riempito quelle ore
non hanno potuto, non ti hanno fatto volare –
ma i sogni c'erano
come tortuose impronte di palmi sugli
spessi doppi vetri della nursery –
nelle ghiandole di tua madre.
Diamo per inteso
che mani sterili
abbiano aspirato sostanze chimiche
dentro e fuori dei tuoi polmoni opachi di muco,
abbiano pompato il tuo stomaco,
spinto bicarbonato dentro
tortuose vene alate di verde,
fuori nella maschera di plastica.
Una donna che aveva perso il suo primo figlio
ci consolava con un angelo andato avanti
a pregare per la nostra famiglia –
andato in quel cielo
in cerca di ossigeno,
andato nell'autopsia,
finissima polvere di zucchero bruno,
cremazione usa-e-getta.
Diamo per inteso
che non hai saputo che ti amavamo.
* * *
ANCORA INCUBI
Ancora incubi:
l'utero contratto,
una noce o una prugna schiacciata;
i seni trasudano
latte inutile
nel dolore del figlio perduto
fuori del suo corpo
fuori del mondo
in polvere finissima.
La nascita inflitta sui denti
ogni notte si trascina
a un'infinita, digrignante conclusione.
Ancora incubi:
Ancora incubi.
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