Sualzo, L'improvvisatore, Rizzoli/Lizard 2009 (110 pp, 15 €)
Elia Sabaz è un jazzista. Ma non uno dei grandi: Sabaz è uno di quei musicisti che sembrano destinati a rimanere nell'ombra a vita.
Elia ha una caratteristica abbastanza letale: è sempre in ritardo. E' in ritardo a scuola, dato che per mantenersi fa il maestro elementare. E' in ritardo sul tempo quando suona (o forse, come dice lui, è solo lo swing). Se deve suonare in una villa sull'Isola Maggiore, arriva in ritardo e perde il traghetto, salvo ritrovarsi a suonare con un'orchestrina di liscio (e, al termine del concerto, riflettere: "Ho mai avuto tanto pubblico come stasera? Sono stato mai pagato tanto per suonare? Sto sbagliando qualcosa?"). Se ci prova con una ragazza, scopre che è già sposata o fidanzata.
Eppure quella che sembra una tragicommedia a un certo punto svolta: e chissà, forse anche per Elia Sabaz prima o poi arriverà la grande occasione, nella musica e nella vita.
Antonio Vincenti, in arte Sualzo, è perugino e vive sul Lago Trasimeno, ma devo confessare che, colpevolmente, non lo conoscevo.
Questa storia ha il merito (il grosso merito, per me) di non raccontare del solito jazzista alcoolizzato, drogato e pseudo-filosofo, ma di declinare il jazz nella normale vita quotidiana di un gruppo di persone qualunque, con un'unica particolarità: amano alla follia questa musica e vorrebbero vivere suonandola.
Elia e i suoi compagni non si muovono per il Greenwich Village o per Harlem, ma in un'Umbria resa con un adorabile segno naïf. Non si drogano, al massimo alzano un po' il gomito (splendida quella del batterista che, al loro primo concerto importante, chiede: "Cerchiamo un bar, ho bisogno di una camomilla", e il chitarrista, alzando gli occhi al cielo: "Camomilla? Ma perché non si droga come tutti i jazzisti?").
E forse è proprio vero che, alla fin fine, la vita, così come la musica, viene bene solo improvvisando.
* * *
Vi ho chiesto di suonare per me perché io delle incisioni mi fido poco. Quando investo in qualcuno devo essere perfettamente conscio di quello che riesce o non riesce a fare.
Ci sono musicisti che non riescono proprio a suonare lo stesso pezzo due volte nella stessa maniera.
Come voi.
Per fortuna.
Seguitemi nel mio ufficio.
Il jazz mi affascina perché non mi dà due volte la stessa sensazione. L'improvvisazione dà un'ebbrezza senza pari. L'improvvisatore ogni volta si sorprende di sapere cosa fare... Non è magnifico? Una vera sfida alla dispersione! Il jazz è l'epica dei nostri giorni.
((accendendosi un sigaro)) Puff... puff... mmmh... Vi voglio raccontare una storia.
Puff... Dunque... C'era uno scrittore che scrisse un romanzo di successo e il suo agente lo portò in giro per mezzo mondo a fare presentazioni e dediche.
Lo scrittore non amava molto questo genere di cose ma ubbidì docilmente al suo agente.
Quando si spostavano tra una città e l'altra l'agente gli diceva: "Perché non cominci a pensare al prossimo libro? Potresti usare questo tempo per scrivere qualcosa... Così quando finiamo il tour potremmo fare uscire il libro nuovo. Che te ne pare?".
Lo scrittore non rispondeva e il tour proseguiva con l'agente che continuava a ripetergli la stessa cosa.
Quando lo scrittore incontrava i lettori era molto cortese e si impegnava a scrivere delle dediche originali, una diversa dall'altra. A dire il vero qualche volta erano un po' oscure, non si capiva bene cosa volesse dire. Ma era così cortese che nessuno gli disse mai niente.
Passava il tempo e le tappe si moltiplicavano. L'agente continuava con la sua richiesta che rimaneva però senza risposta.
Finché un giorno lo scrittore fece una dedica più strana del solito... Scrisse solo la parola "Fine", poi mise il luogo, la data e la firma. Poi si voltò verso l'agente che era dietro di lui, gli dette il libro e disse: "Ecco finito il tuo romanzo. Ora non ti resta che andare a ricercare tutti gli altri pezzi e metterli in ordine. Buona fortuna!".
Ah, ah! Ragazzi! Ecco cosa intendo io per jazz!
Bene, allora ci vediamo giovedì per la prima incisione.
Ah... dimenticavo...
Naturalmente, ragazzo mio, quando si accetta di giocare in questo modo... quando ci si frammenta e si mandano in giro così tanti pezzi di se stesso... bisogna mettere in conto che qualche pezzo magari lo perderemo per sempre e non tornerà più.
E' il minimo, no?
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento