sabato 14 maggio 2011

tre poesie di milo de angelis


Dire che Milo De Angelis è uno dei maggiori poeti italiani dell'ultimo scorcio di Novecento è dire un truismo. Io, però, non ero mai riuscito ad entrare nella sua (invero ardua) grammatica d'immagini.
Ultimamente sto centellinando un'antologia sua, uscita anni fa da Donzelli (“Dove eravamo già stati”, Roma 2001). Sto cominciando, poco a poco, a tracciare linee, unire punti, decifrare nessi.
Queste tre, ad esempio, tratte dalla sua prima raccolta, “Somiglianze” (1976), mi sembra compongano - al di là della frattura semantica e dalla fulminante rapidità dei nessi associativi - un trittico, con una sua unità narrativa.



All'incrocio di ed...

Si mette nella posizione, nasconde
la ferita, ricomincia (“vienimi ancora dentro”)
e poi ascolta il rumore del fiume
a pochi centimetri dall'acqua
tra elegia e decisione, ha conosciuto qualcosa

sì le cosce
quelle cosce mi stingevano, erano potenti e lunghe
soffocavano, eppure non volevo tirarlo fuori
era durissimo
ma poi dicevo “perdonami questo amore che
è già un'azione”

la pazzia
di una chiarezza, vedere di persona, mettere in comune
queste cose
non sono il luogo di una storia generale, non
si incontreranno mai e non non

la bambina corre con le braccia tese
dentro il lupo
il termometro entra nell'ano, gli scalini sono
sempre di più, il montebianco
ma poi improvvisamente allontana il papà
e nasce la grande quiete, dentro la quiete
dentro la quiete

è immersa nell'aria, non fa nessun movimento
se non si muove l'aria
penetra fino in fondo, tocca la sua parete
lei urla
la precauzione, l'angoscia, l'incredibile
di interrompere
mentre
ma poi la quiete, improvvisamente, diceva
nella quiete miracolosa “lascia che decidano
le stelle”

guardale, fa' ogni cosa, entra, vivi pure

loro
loro perdoneranno.

* * *

La lentezza

“Volevo che tutti si fermassero”
dice
con la sciarpa stretta
mentre attraversiamo le pozzanghere
“non volevo diventare diversa”
e sono confuse le parole, tra i passi, oggi,
ai bordi del marciapiede
“Jiskova è lontana
e non so mai degli altri” e intanto
inizia questa campagna, in fondo al viale
l'odore dei cortili
dopo gli ultimi tram “...quale gioia... di cosa
parli... ti basta questo...
…questo amore pieno di doveri... dove
al massimo si è perdonati... quelli che possono...
...ti accontenti di questo...”
ma c'è troppo vento, e parole piene di consonanti
per dire che finisce
e sillabiamo “nerozumìm, nerozumìm”
nel mattino come biondo pallido
una cosa imprendibile
che scivola sull'asfalto, una volta sola
“...ma ora la prova è per noi...
noi che non possiamo vedere...” i camion
passano lentamente, carichi,
in fondo alla curva
e i muri di queste case, l'odore di cucina
“dove sei” mi chiede, in una lingua
indimostrabile, e non parla.

* * *

La frazione

Eppure era per la gioia.
Le luci tremano, nella vetrina,
e vorrebbero entrare in un significato.
Qui è impossibile
legare i minuti a qualcuno:
il tempo non si accorcia
con un progetto,
tutto ha la sua lunghezza.
Non coincide con ciò che pensa, non può.
Eppure era per la gioia
troppo viva per non crederci. Prendeva
con le mani amori e amori
che si convertivano in uno solo.

Appoggiata al vetro
una fronte gelida
(“farò della mia vita una porcheria”)
mentre una radio parla
lingue sconosciute
e nessuno dice il significato
che forse uscirà, a distanza, controvento.
Fuori c'è Milano. Novembre.

Adesso la diversità oscura tutto. Una porta
si apre, passa gente. Altri
premono senza sbocco. Anche questo questo polso
batte, vuole qualcosa,
una grande risata, vicinissima.

Ma è tempo ormai di non far durare le cose.
Nulla comincerà
prima di questo passo. Ci deve essere una prova,
una caduta senza discorsi, in disordine.

4 commenti:

amanda ha detto...

la prima è così dolorosa, sulle altre due non riesco a sintonizzarmi

sergio pasquandrea ha detto...

su milo de angelis tornerò prossimamente. stay tuned.

amanda ha detto...

contaci :)

lievito ha detto...

se permetti, la prendo e la porto nella mia casa.
grazie di cuore.
d.