Chiunque frequenti gli ambienti letterari, reali o virtuali, si sarà imbattuto in Gilda Policastro.Critica letteraria, romanziera, poetessa, ma soprattutto professionista della provocazione. Secondo alcuni, voce lucida della nuova letteratura italiana; secondo altri, un bluff su tutti i fronti.Io ne sentii parlare per la prima volta un paio d'anni fa, su Nazione Indiana, dove un suo pezzo (secondo me, pura polemica da parrocchietta letteraria, condita da uno stile atrocemente contorto e da una spocchia ai limiti del tollerabile; ma questa, ovviamente, è la mia privata opinione, e lascia esattamente il tempo che trova) scatenò un dibattito alquanto ferocetto. Dibattito che, come quasi tutti i dibattiti webbici, aveva per argomento, sostanzialmente, il Nulla, e che quindi raggiungeva punte quasi sublimi di ridicolo. Oltretutto, ci furono pure degli strascichi.Non ho letto il romanzo che la Policastro ha pubblicato l'anno scorso, per ragioni mie che non sto qui a spiegare, e quindi non ne parlo. Per chi fosse interessato, sul web si trovano parecchie recensioni e interviste, tutte a portata di Google.
Da tempo cercavo un esempio della sua poesia. Eccolo (da qui). Giudicate da soli. HoraE chi si muove da terra Si sta così bene Non si sente dolore,
non si sente niente
Così vivono quegli altri, strisciando Senza illusioni Già pronti al
Ritorno
È bello qui Non si deve andare da nessuna parte Si può
rimanere fermi, e aspettare
Oppure anche solo rimanere fermi Stare così Insomma, senza
Attività
Quale sarebbe poi l’alternativa Andare in ospedale, oppure a
quella cena di amici
No, rimanere è senz’altro meglio Rimanere senza aspettare, senza
andare,
rimanere col dolore, e a poco a poco sperare, sperare che vada via,
ricominciare a respirare, ma senza la pretesa di alzarsi Rimanere
fermi, sdraiati
Ha una sua logica, è ordinato, risponde a uno schema
Lo schema dello stare, del rimanere Senza agitarsi, senza smanie
Quanti ora, a parte quegli altri, sono lì, in questa posizione
a fare questa cosa che non è un’attività, è solo stare
Probabilmente non tanti, ma qualcuno sì, qualcuno è a terra, così,
steso
coi palmi delle mani che aderiscono al pavimento Stare qui
perché nessuno te lo chiede, nessuno se lo aspetta, anzi,
qualcuno vuole che ti alzi, e, se stai male davvero, in ospedale
Ma se non stai male, allora, c’è quella festa
a cui bisogna subito andare Cambiarsi d’abito, mettersi il trucco
giusto,
le scarpe abbinate, il cappotto figo Andare, andare subito,
guardare gli altri con la faccia opportuna,
con le parole intonate, la rilassatezza domenicale Sorridere, sorridere
anche col dolore allo stomaco, che se era un dolore serio
a quest’ora ti trovavi in ospedale, invece sei lì,
e allora puoi rilassarti, goderti il vino, che al tuo stomaco
è come un colpo di frusta sulla schiena di un cavallo Le tartine,
mangia le tartine, hai ancora mal di stomaco, poi passa Ma no,
sento come un tappo, una puntura, non va giù nulla,
nemmeno l’acqua Mangia, guarda che poi i vestiti ti cadono di dosso
e non è normale Devi mangiare, dice così,
vuole che mangi, mangia E tu
rimani sdraiato, disteso
coi palmi a terra, dove non devi mangiare, non devi ridere,
non devi essere alla festa, non devi Puoi rimanere così,
sdraiato E chi si muove da terra
Si sta così bene:
non si sente dolore, non si sente niente
Senza illusioni, già pronti al ritorno È bello qui:
non si deve andare da nessuna parte
Si può rimanere fermi, e aspettare
oppure anche solo rimanere fermi
Stare così Già pronti al ritorno
È bello qui
Non si deve andare
da nessuna parte Si può rimanere fermi,
e aspettare
Si sta così bene
Non si sente dolore,
non si sente niente
(da "Antiprodigi e passi falsi", Transeuropa, Inaudita, 2011)