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sabato 17 maggio 2014

viene la prima




«Oh se tu capissi:
chi soffre
chi soffre non è profondo».
Sobborghi di Milano. Estate. Ormai
c’è poca acqua nel fiume, l’edicola è chiusa.
«Cambia, non aspettare più».
Vicino al muro c’è solo qualche macchina.
Non passa nessuno. Restiamo seduti
sopra il parapetto. «Forse puoi ancora
diventare solo, puoi
ancora sentire senza pagare, puoi entrare
in una profondità che non
commemora: non aspettare nessuno
non aspettarmi, se soffro, non aspettarmi».
E fissiamo l’acqua scura, questo poco vento
che la muove
e le dà piccole venature, come un legno.
Mi tocca il viso.
«Quando uscirai, quando non avrai
alternative? Non aggrapparti, accetta
accetta
di perdere qualcosa».

Milo De Angelis

giovedì 3 gennaio 2013

mentre interi popoli guardano



Nel cuore della trasmissione

Di sera ti sanguina la bocca
e ti aggiri frenetico
nel cerchio della tua necessità
nel dormitorio senza finestre
mentre interi popoli guardano
i bei quadri, tu
rivedi i passi giovanili
con gli occhi sbarrati della fine:
non l’idea reggente, ma quell’immobile
raffica che ti esige fino all’ultimo,
ti chiede l’esatta versione e l’esatto
andare a capo, te lo chiede interamente
mentre ti aggiravi a un centimetro
dai corpi ed eri ciò che resta muto
quando due si lasceranno presto
quanta poca vita rimane in un saluto
tu eri questo.

(Milo De Angelis, da "Biografia sommaria", 1998)

sabato 6 agosto 2011

milo de angelis, ancora lui


L'ora legale

"Mio figlio sbanda agli angoli della stanza".
Quella che abbiamo visto ubriaca in una
spiaggia dell'adriatico
con la sua eternità di vita e balbuzie
dentro di noi che non possiamo
toccare senza contagio
e camminiamo verso Santa Rita della Croce
... con una minuscola ...
con una pura minuscola si ricomincia.

Ricordo il cielo
degli amici e la paura del papavero: ogni
debito è rimesso
in campo e in canizie, in
piombo, in cecità.

Ma quel volo compatto e fissato al lampo
come una testa di fronte a sé, come un dubbio
rallentò da un solo lato. Il cardiogramma
fu disegnato a matita
da qualche dio consenziente, e le donne,
le donne felici.

* * *

Telegramma

La finestra è rimasta come prima. Il freddo
ripete quell'essenza idiota di roccia
proprio mentre tremano le lettere di ogni parola.
Con un mezzo sorriso indichi
una via d'uscita, una scala qualunque.
Nemmeno adesso hai simboli per chi muore.
Ti parlavo del mare, ma il mare è pochi metri quadrati,
un trapano, appena fuori. Era anche, per noi,
l'intuito di una figlia che respira
nei primi attimi di una cosa. Carta per dire
brodo e riso, mesi per dire cuscino. Gli azzurri mi chiamano
congelato in una stella fissa.

(da "Distante un padre", 1989)

* * *

Idroscalo

Il ragazzo che si tuffa
in un crawl potente e urta un sasso...
... la ciocca insanguinata...
... la giovinezza prese la forma
di un passo oscuro, di una rosa
appesa alla finestra
"salvami, padre, da quest'ora dolorosa"
la gente saliva, scendeva, cercava
una fune, una cosa
qualsiasi, sputava, gettava in acqua
il suo fazzoletto, ciascuno
parlava all'orecchio
di un altro, diceva
Dio non ha più desiderio,
una volta aveva freddo, Dio, tendeva
le mani per indossare
un cappotto, il primo, anche questo
che è vecchio, guarda,
toccalo, tienilo pure...
un cappotto, capisci, non i velluti
scesi dal cielo, ma questo,
il mio, persino il mio cappotto.

* * *

Per quell'innato scatto

Nel superotto girato al ginnasio
è già lei: la ragazza guerriera
sempre all'attacco.
Faceva segnali di fumo, fuochi di bivacco,
gettava in pattumiera i profumi ottocenteschi.
Ragazza dei baratri e dei bar, dei giochi
di destrezza, dei campionati studenteschi
vinti in scioltezza: nove secondi
con sei metri di distacco.
E io, in classe, quando mi accorsi che volava
("Nove netti sugli ottanta,
a quindici anni, ragazzi!")
l'ho chiamata subito Atalanta.
Stefania Annovazzi
si chiamava veramente
più spesso Stefanella.
Ma per tutti noi era quella
divina falcata adolescente.

(da "Biografia sommaria", 1999)

sabato 9 luglio 2011

giunge luglio


Giunge luglio per i morti
che sentono nell'assedio
di ogni fiore
una giustizia remota. E un
cappio di carta
rinasce a più non posso
nella storia
della terra, vasta, ripida,
cose e cose, vesti bianche e tarlate,
contadini nascosti
nel frumento. O ancora
più dentro, dovunque urlino
i crisantemi. Facendo la spola
tra i muri della testa e
una chiamata interurbana, questo minuto
viene contato;
e l'urna - delizia anch'essa
dei mescolati magnanimi -
ha detto basta.

Milo De Angelis (da "Millimetri", 1983)

venerdì 8 luglio 2011

ancora su milo de angelis


Rimanendo

Per Franco Fortini

Alcuni, a turno, tracciano figure.
Tu puoi correggerle con il gesso
o cancellarle subito.
Essi hanno denti purissimi, sono giovani.
Puoi osservarli di netto. E puoi - se è giusto -
salvare dei feriti: ogni piaga
e ogni slavina, ogni minimo grammo. E' strana
questa bontà. Tu sarai visto tra molti anni.

Stanno scavando
una buca per il più vile. Con l'occhio
spaventato da sempre, egli implora. E' grasso,
tra poco riceverà la spinta. Ora
tu chiedi che nessuno sputi.
Ogni cosa
avverrà in lealtà e in silenzio.

Ora entri, ancora,
nella palestra, partecipi
alle gare solitarie. Non puoi
più rendere testimonianza;
e i capelli. I vostri diversi capelli. Sicuramente
non puoi. Alcuni ti hanno rimproverato. Alcuni
ti hanno detto: "vieni pure; ma continua
a disegnare, come prima, due colori".
Altri ti hanno detto: "finalmente
sei tra noi". Altri ti hanno detto: "sempre
sei stato tra noi".

Tu sai. Lo sai a bruciapelo: nessuno
completerà il tuo quaderno, né il suo. Forse
le pagine non bastano e l'errore
è straziante. O forse no. Deciderà un cestino,
un preside mai conosciuto. Tu scendi
ancora una volta gli scalini. Guardi
la rete, le finestre alte.

(da "Terra del viso", 1985)

* * *

Semifinale

La Doxa mi chiede per chi voterò. La voce
è di un ragazzo che, dall'altra parte, respira. Non so
quale chiarezza dentro la rovina. Tutto
ritorna qui, confine del luogo. Quel non parlato
di chiodi per terra. Il Professor D'Amato spiegava
un pronome... nemo: nessuno, non nemo: qualcuno.
Nessuno giungerà oltre le vene, è semplice, ragazzi. Qualcuno
è scomparso o comunque non dà notizie. Il postino
mi consiglia di guardare meglio nella buca,
anche in quelle vicine. Guarderò. Neminem
excipi diem: per nessuno giorno ho fatto eccezione.
Morire è dunque perdere anche la morte, infinito
presente, nessun appello, nessuna musica
di una chiamata personale. Oltre le vene che furono rito
e dimora, milligrammo e annuncio, grido infinito
di gioia o di soccorso, nessuno mai
oltre queste vene. E' semplice, ragazzi, nessuno.

(da "Biografia sommaria", 1999)

mercoledì 18 maggio 2011

milo de angelis 3 - "fuori c'è la storia"


Come ho già detto, sto tendendo dei fili, tracciando corrispondenze.
Un'altra, piuttosto evidente, è fra queste quattro poesie, tutte tratte da "Somiglianze" (1976).


Le sentinelle

Compiendo il gesto dove il fiume è profondo
nemmeno così, con i sonniferi
e il panico, si potrà far vedere qualcosa
a quelli che non l'hanno mai vista
durante la loro, lontana, e questa notte
che stanno guardando

in una lingua imprestata,
senza un solo atto imperativo,
si tengono in disparte
con parole, simboli di seconda mano,

parlano senza svelare l'inizio
hanno fatto dell'altrove un tempio abitabile
nella penombra lungo i burroni
si ritraggono dalla morte per scortarla.

* * *

Bisognava

Non c'erano tram e si tornava tacendo:
ecco, sorrisi
si ripetono alla stazione e il tempo
ritorna ed è sottratto. Poi
come credersi autori?
non ero tutto lì discorrendo, eppure ero assolutamente
lì: è difficile
un gesto sentimentale
vedi, odia se stessa la coscienza infelice
ma guai
se in un clclo nascita e morte si congiungessero
confutato l'occidente. Perciò tutto
è povero, dandosi a metà
tra azioni piccole, distruzioni piccole
e comiche, in un paesino di pietra
visitato dalle crociate
e ancora cattolico
ogni cosa è sottratta, ogni cosa

eppure
con ideologia
viene difesa
pensavi: baciami (tanto
non potrai vivere senza secondi fini) baciami
il grande oggettivo
è cinico come il grande io. Resta. Ma un'ultima cosa
non mettere lo strano dove non c'è
ma ancora, senti, un'ultima cosa: non toglierlo
se c'è: prova adesso e con
dolcezza, prova
prova, amore, prova. Fari, strade del porto, sentimenti
ingarbugliati perché non detti
ma tu prova. Vedi, questa sera cede
alla conclusione, all'indugio e all'insistenza
di esserci: bisognava gridarlo a voce alta
il male
per vincerlo: invece noi...

* * *

Ogni metafora

Lo stesso cielo basso
di ambulanze e di pioggia, nel turbamento
e le mani sull'inguine, chiamate dal corpo
per opporre
uno stupore minimo alle cose
mentre fuori, tra i semafori, l'europa
che ha inventato il finito
resiste
lontana dall'animale, difende
concetti reali e irrilevanti
lungo le autostrade, nel tempo lineare
verso un punto
e gli occhi non si chiudono contro le cose, fermi
dove un millennio oggi ha esitato
tra cedere e non cedere
perdendosi sempre tardi, e con intelligenza

* * *

Un perdente

Fuori c'è la storia,
le classi che lottano.
Cosa fare dunque una volta per tutte
rifiutando il mondo
accettandolo al mattino
("Era vero, sai, era profondo
il litigio con lei. Ma c'era un solo letto
e prevalsero i corpi").
C'erano i confini
biologici e le grandi leggi del profitto.
Perciò inventò gli dei e l'interiore.
Alla sera, durante l'erezione
pretese anche un destino
("dove sei stata per tutta la mia vita?").

martedì 17 maggio 2011

ancora su milo de angelis


Capita spesso che il dialetto costringa la poesia a un salutare bagno di concretezza. Succede anche al lirico, vertiginoso Milo De Angelis, in queste tre belle liriche milanesi (da "Distante un padre", 1989).


Na storia di A.

An t'al tram pien, as guarda mal la gent
pronta a scatà se quaicadün la tucca.
Ma 'vzin a mì na dona l'arman longament
sperdua, piega mara l'angul 'd la bucca.

Dròlo ...ades m'ciaimo gnanca
parchè ch'a piang e a piang
sa dona veja ...forsi ...e bianca
...povra o sniura ...so pü nen.

...Veg machi 's piansi mut e parfond
che, adnan a mì, da tant distant a ven,
's piansi ch'a ven dai sorgìs dal mond.

Una storia di A. Si guarda male, nel tram affollato, la gente / pronta a reagire appena qualcuno la tocca. / Ma c'è una donna, vicino a me, sembra assente, / sperduta... una piega amara sulla bocca. // Strano... adesso non mi chiedo neppure / perché piange e piage ancora, / questa donna forse vecchia... non so... povera o signora... // Vedo solamente questo pianto muto e profondo / che, accanto a me, viene da tanto lontano, / questo pianto che viene dalle origini del mondo.


Cansò dal genar süc

L'è stacc quand che na machina l'a 'nvestì cme na foija
cul giögadur, Gigi Meroni, col so dribling strecc, in poc sbilenco.
L'è stacc anlur, a m'smia, 'nt al cantinó dal Savoia
al medesim nom, n'autra erba dventaja mutta, Luigi Tenco.

Parlavu 'd Cassine, 'd l'eua anfeta e po a l'è sparì
dríara na maniglia, valt'a'svei, 'nt'an dì ad mercà.
Am viz ch'a në scrivìa: veira núacc, mi serc sënsa pietà
quaidün ch'al fassa in tentativ par mì.

Canzone del gennaio asciutto.
È stato quando una macchina investì come una foglia / quel giocatore, Luigi Meroni, dribbling stretto, un po' sblilenco... / ...è stato allora, mi sembra, nel cantinone del Savoia / lo stesso nome, un'altra erba che si fa muta, Luigi Tenco. // Parlavamo di Cassine, dell'acqua guasta, e poi è sparito / dietro una maniglia, chi sa come, un giorno di mercato. / Ricordo che ci scrisse: vera notte, io cerco senza pietà / qualcuno che faccia un tentativo per me.



Staseira


A sent doe vos ch'as sercu e besbìu
- doe vos d'na man ch'a so bianca
staseira cen avzin: "s'it vije, mi viju".

Le masnà, con doe miseire, son cuntente,
i son volasne via. A sent che la poesia
l'è tüta li: fà l'univers con gnente.

Stasera. Sento due voci che si cercano e bisbigliano / due voci di una mano che so bianca / stasera vengono vicino: "se tu vegli, io veglio". // Le bambine con due miserie sono contente, / sono volate via. Forse la poesia / è tutta lì: fare l'universo con niente.

sabato 14 maggio 2011

tre poesie di milo de angelis


Dire che Milo De Angelis è uno dei maggiori poeti italiani dell'ultimo scorcio di Novecento è dire un truismo. Io, però, non ero mai riuscito ad entrare nella sua (invero ardua) grammatica d'immagini.
Ultimamente sto centellinando un'antologia sua, uscita anni fa da Donzelli (“Dove eravamo già stati”, Roma 2001). Sto cominciando, poco a poco, a tracciare linee, unire punti, decifrare nessi.
Queste tre, ad esempio, tratte dalla sua prima raccolta, “Somiglianze” (1976), mi sembra compongano - al di là della frattura semantica e dalla fulminante rapidità dei nessi associativi - un trittico, con una sua unità narrativa.



All'incrocio di ed...

Si mette nella posizione, nasconde
la ferita, ricomincia (“vienimi ancora dentro”)
e poi ascolta il rumore del fiume
a pochi centimetri dall'acqua
tra elegia e decisione, ha conosciuto qualcosa

sì le cosce
quelle cosce mi stingevano, erano potenti e lunghe
soffocavano, eppure non volevo tirarlo fuori
era durissimo
ma poi dicevo “perdonami questo amore che
è già un'azione”

la pazzia
di una chiarezza, vedere di persona, mettere in comune
queste cose
non sono il luogo di una storia generale, non
si incontreranno mai e non non

la bambina corre con le braccia tese
dentro il lupo
il termometro entra nell'ano, gli scalini sono
sempre di più, il montebianco
ma poi improvvisamente allontana il papà
e nasce la grande quiete, dentro la quiete
dentro la quiete

è immersa nell'aria, non fa nessun movimento
se non si muove l'aria
penetra fino in fondo, tocca la sua parete
lei urla
la precauzione, l'angoscia, l'incredibile
di interrompere
mentre
ma poi la quiete, improvvisamente, diceva
nella quiete miracolosa “lascia che decidano
le stelle”

guardale, fa' ogni cosa, entra, vivi pure

loro
loro perdoneranno.

* * *

La lentezza

“Volevo che tutti si fermassero”
dice
con la sciarpa stretta
mentre attraversiamo le pozzanghere
“non volevo diventare diversa”
e sono confuse le parole, tra i passi, oggi,
ai bordi del marciapiede
“Jiskova è lontana
e non so mai degli altri” e intanto
inizia questa campagna, in fondo al viale
l'odore dei cortili
dopo gli ultimi tram “...quale gioia... di cosa
parli... ti basta questo...
…questo amore pieno di doveri... dove
al massimo si è perdonati... quelli che possono...
...ti accontenti di questo...”
ma c'è troppo vento, e parole piene di consonanti
per dire che finisce
e sillabiamo “nerozumìm, nerozumìm”
nel mattino come biondo pallido
una cosa imprendibile
che scivola sull'asfalto, una volta sola
“...ma ora la prova è per noi...
noi che non possiamo vedere...” i camion
passano lentamente, carichi,
in fondo alla curva
e i muri di queste case, l'odore di cucina
“dove sei” mi chiede, in una lingua
indimostrabile, e non parla.

* * *

La frazione

Eppure era per la gioia.
Le luci tremano, nella vetrina,
e vorrebbero entrare in un significato.
Qui è impossibile
legare i minuti a qualcuno:
il tempo non si accorcia
con un progetto,
tutto ha la sua lunghezza.
Non coincide con ciò che pensa, non può.
Eppure era per la gioia
troppo viva per non crederci. Prendeva
con le mani amori e amori
che si convertivano in uno solo.

Appoggiata al vetro
una fronte gelida
(“farò della mia vita una porcheria”)
mentre una radio parla
lingue sconosciute
e nessuno dice il significato
che forse uscirà, a distanza, controvento.
Fuori c'è Milano. Novembre.

Adesso la diversità oscura tutto. Una porta
si apre, passa gente. Altri
premono senza sbocco. Anche questo questo polso
batte, vuole qualcosa,
una grande risata, vicinissima.

Ma è tempo ormai di non far durare le cose.
Nulla comincerà
prima di questo passo. Ci deve essere una prova,
una caduta senza discorsi, in disordine.

giovedì 24 febbraio 2011

noi qui


Noi qui, separati dai nostri gesti. Tu blocchi
il flusso dei secondi con un gemito. Componiamo
l’antica rima e subito cadiamo. Le pareti
restano lì, macchiate di rimmel.
L’angelus dell’alba ti guarda, nuda e taciturna.
Oscilla nel respiro la chiave. Ogni porta,
ogni lampadina, ogni spruzzo della doccia dicono
che si è rotta l’alleanza.

Milo De Angelis
(da "Tema dell'addio", Mondadori 2005)

lunedì 26 luglio 2010

su una poesia di milo de angelis


Segnalo un bel post sul blog di Daniele Barbieri, a proposito di questa bellissima (e oscurissima) poesia del grande Milo De Angelis.



Questi succhi
del paradiso che urla ancora
nutrono un’intera ciurma e anche
il più decrepito, pozzanghera della
propria valle, si farà giustizia
nessuno declina
l’invito
sono nati
per tutto l’inverno, con una bocca
in guerra e una bocca perfetta, vicinissime
al pane
e
nei pazzi giungerà l’universo,
quel silenzio frontale dove erano
già stati.

Milo De Angelis (da "Millimetri", 1983)

venerdì 27 marzo 2009

"T.S."


I

Ognuno di voi avrà sentito
il morbido sonno, il vortice dolcissimo
che si adagia sul letto
e poi l'albero, la scorza, l'alga
gli occhi non resistono
e i flaconi non sono più minacciosi
nella luce chiaroscura del pomeriggio
mentre mille animali
circondano la lettiga, frenano gli infermieri
il disastro del respiro sempre più assopito
nei vetri zigrinati
dell'autombulanza, appare
il davanzale di un piano, il tempo
che sprigiona i vivi
e li fa correre con la corrente nelle pupille,
l'attimo dell'offerta, per scintillarle.
E improvvisa, la quiete
della vigna e del pozzo, con la pietra levigata
dividendo la carne
una calma sprofondata dentro il grano
mentre la donna sul prato partorisce
sempre più lentamente,
finché il figlio ritorna nella fecondazione
e prima ancora, nel bacio e nel chiarore
di una camera, il grande specchio,
il desiderio che nasce, il gesto.

II

E poi avrete sentito, almeno una volta
quando il liquido, delicatissimo,
esce dalla bocca, scorre giallo nel lavandino
e la sonda e le sirene sempre più lontane.
Il respiro si affanna, finisce, riprende
quanta pace nella spiaggia gelata dal temporale:
una canoa va verso l'isola corallina
e sotto l'oceano si accoppiano le cellule sessuali
non ci sono eventi irreparabili
ma solo le spugne cicliche,
gli insetti che hanno coperto l'aria:
ecco un colore di madreperla, una roccia nella sabbia,
l'accappatoio che toglie con un solo gesto
solennità della luce, la meraviglia, la prima
e la femmina del pellicano
chiama la nidiata sparsa nella tempesta
e forse vede qualcosa, tra gli scogli,
qualcosa che si muove
domani correrà con i suoi bambini
mescolata, per respirare
nel turchese profondo della marea
che sale in superficie, sta rinascendo adesso
e trova una terra diversa, un'altra voce.
Milo De Angelis