Roba mia su "Jazz nel pomeriggio".
venerdì 31 agosto 2012
giovedì 30 agosto 2012
il mal petrarchesco
Voglio raccontarti, già che ci sono, quello che mi è accaduto, ancora
uno di questi giorni, con un giovane letterato, persona a te nota, ed a
me carissima.
Ero seduto con lui al Caffè; egli leggeva alcune delle Mediterranee, che avevo appena, con amorosa cura, ordinate e trascritte. Ulisse era una di queste poesie. La poesia, nel suo complesso, gli piacque. Ma ecco che, come ne rileggeva il primo verso, vidi Aldo Borlenghi fermarsi ed arricciare il naso. Il verso dice:
Nella mia giovaneza ho navigato
Gli chiesi il perché del suo visibile disappunto. Mi rispose che il verso non era «bello»; lo trovava anche troppo «scoperto». Ora quel verso (tecnicamente ineccepibile) non è, in sé stesso preso, né bello né brutto; è solo un inizio, che vive in funzione del componimento di cui fa parte, dei dodici versi che lo seguono, ai quali dà e dai quali prende rilievo. Non è né «brutto» né «scoperto»; è semplicemente «immediato», non cioè passato attraverso nessun alambicco di nessuna, più o meno sapiente, più o meno di moda, deformazione letteraria. Dice, con rara spontaneità, quello che deve dire, nel modo più semplice e diretto possibile. Diventa bello (molto bello anche, e felice) quando, nella memoria del lettore, fa corpo col resto della poesia.
Guardavo la faccia del mio interlocutore. Bella era; e, nel senso nobile della parola, mediterranea. Consunta, logorata e segnata da qualche interna difficoltà a vivere; negli occhi — dietro gli occhiali, chiarissimi — un estremo d’intelligenza sembrava unirsi ad un estremo di malinconia. La sua faccia — che mi ricordava uno di quei paesaggi toscani troppo e da troppi secoli elaborati dalla mano dell’uomo, diventati avari — concordava esattamente col suo giudizio. Quell’uomo doveva necessariamente aver paura di un’immediatezza come di una bomba; ammirare — come egli stesso volentieri confessa — assai più Petrarca che Dante. Era, in una parola, un petrarchista. Soffriva di un male, europeo per estensione, ma italiano alle origini; e di questo male almeno, io, nato agli estremi confini della patria, o non ho mai sofferto, o solo, e non in profondità, nella mia prima giovanezza. Attraverso l’innocente verso citato e la disapprovazione che esso suscitava in Aldo Borlenghi, mi sono persuaso una ultima volta che gli italiani (che sono nella loro vita istintiva e — vedi Verdi — nella musica, uno dei popoli più immediati della terra) non sopportano, in poesia, la vita, senza averla preventivamente uccisa e mummificata. Perché poi questo processo (che essi chiamano di «astrazione lirica», ed io di «congelamento» o di «involuzione») sia avvenuto proprio per la poesia, oggi come oggi, o non lo so ancora, o non voglio ancora dirlo. Ma che sia avvenuto è certo; come pure è certo che va cercata in esso una delle ragioni sia, in generale, del loro — sotto la varietà delle apparenze univoco — petrarchismo, sia, in particolare, della, fino a ieri almeno, contrastata fortuna della mia poesia. Altre, per quanto mi riguarda, ve ne furono; ma di queste mi propongo di parlare nel difficile libro che sto per te scrivendo, e che s’intitolerà Storia e cronistoria del “Canzoniere”.
Ti saluto, caro Alberto. E faccio voti che non ti preoccupi troppo della «crisi». Anche questa passerà, la gente ritornerà a comperare libri, e tu venderai perfino Scorciatoie e Raccontini del tuo
aff. Umberto
Milano, maggio 1946.
Ero seduto con lui al Caffè; egli leggeva alcune delle Mediterranee, che avevo appena, con amorosa cura, ordinate e trascritte. Ulisse era una di queste poesie. La poesia, nel suo complesso, gli piacque. Ma ecco che, come ne rileggeva il primo verso, vidi Aldo Borlenghi fermarsi ed arricciare il naso. Il verso dice:
Nella mia giovaneza ho navigato
Gli chiesi il perché del suo visibile disappunto. Mi rispose che il verso non era «bello»; lo trovava anche troppo «scoperto». Ora quel verso (tecnicamente ineccepibile) non è, in sé stesso preso, né bello né brutto; è solo un inizio, che vive in funzione del componimento di cui fa parte, dei dodici versi che lo seguono, ai quali dà e dai quali prende rilievo. Non è né «brutto» né «scoperto»; è semplicemente «immediato», non cioè passato attraverso nessun alambicco di nessuna, più o meno sapiente, più o meno di moda, deformazione letteraria. Dice, con rara spontaneità, quello che deve dire, nel modo più semplice e diretto possibile. Diventa bello (molto bello anche, e felice) quando, nella memoria del lettore, fa corpo col resto della poesia.
Guardavo la faccia del mio interlocutore. Bella era; e, nel senso nobile della parola, mediterranea. Consunta, logorata e segnata da qualche interna difficoltà a vivere; negli occhi — dietro gli occhiali, chiarissimi — un estremo d’intelligenza sembrava unirsi ad un estremo di malinconia. La sua faccia — che mi ricordava uno di quei paesaggi toscani troppo e da troppi secoli elaborati dalla mano dell’uomo, diventati avari — concordava esattamente col suo giudizio. Quell’uomo doveva necessariamente aver paura di un’immediatezza come di una bomba; ammirare — come egli stesso volentieri confessa — assai più Petrarca che Dante. Era, in una parola, un petrarchista. Soffriva di un male, europeo per estensione, ma italiano alle origini; e di questo male almeno, io, nato agli estremi confini della patria, o non ho mai sofferto, o solo, e non in profondità, nella mia prima giovanezza. Attraverso l’innocente verso citato e la disapprovazione che esso suscitava in Aldo Borlenghi, mi sono persuaso una ultima volta che gli italiani (che sono nella loro vita istintiva e — vedi Verdi — nella musica, uno dei popoli più immediati della terra) non sopportano, in poesia, la vita, senza averla preventivamente uccisa e mummificata. Perché poi questo processo (che essi chiamano di «astrazione lirica», ed io di «congelamento» o di «involuzione») sia avvenuto proprio per la poesia, oggi come oggi, o non lo so ancora, o non voglio ancora dirlo. Ma che sia avvenuto è certo; come pure è certo che va cercata in esso una delle ragioni sia, in generale, del loro — sotto la varietà delle apparenze univoco — petrarchismo, sia, in particolare, della, fino a ieri almeno, contrastata fortuna della mia poesia. Altre, per quanto mi riguarda, ve ne furono; ma di queste mi propongo di parlare nel difficile libro che sto per te scrivendo, e che s’intitolerà Storia e cronistoria del “Canzoniere”.
Ti saluto, caro Alberto. E faccio voti che non ti preoccupi troppo della «crisi». Anche questa passerà, la gente ritornerà a comperare libri, e tu venderai perfino Scorciatoie e Raccontini del tuo
aff. Umberto
Milano, maggio 1946.
(da una lettera di Umberto Saba ad Alberto Mondadori)
martedì 28 agosto 2012
la commare secca
REQUIA MATERNA
Ndanne sì ca cia truàvene sembe pe
nnanze
c'a chèpe de morte c'u faveciune
ciu rrecurdàvene ch'amma chiegà u
colle
tal'e quèle accum'i iallucce
u sa u sckande
a sendì a vocca ca ce ndoste
l'arie ca te sciosce jinde pe jinde
a sduacarce accum'e nna checòcce
* * *
REQUIEM AETERNAM
Una volta sì che se la trovavano
sempre davanti
con il teschio con il falcione
se lo ricordavano che piegheremo il
collo
tale e quale come i pollastri
pensa lo spavento
a sentire la bocca indurirsi
l'aria soffiarti da parte a parte
svuotarsi come una zucca
giovedì 16 agosto 2012
it's the real mccoy!
In edicola da sabato 18 agosto, per la serie "Jazz 33 giri" della De Agostini, "The Real McCoy" (1967), il primo disco di Tyner su Blue Note (nonché il primo post-Coltrane).
Musica di McCoy, Joe Henderson, Ron Carter e Elvin Jones.
Commento del vostro umilissimo blogger.
martedì 14 agosto 2012
oniromantica
Se (e ripeto: se) i sogni hanno un
senso, quale sarà il senso del sogno di stanotte?
C., a cui avevo inviato le mie poesie,
è morto; vedo il suo nome su un manifesto funebre. Il mio
dolore è estroverso, quasi teatrale, come non sarebbe mai nella
realtà. Piango, dico: è morto un amico (non è vero: lo
conosco solo di vista, anzi nemmeno, l'ho conosciuto solo sul web),
un poeta (e questo è vero).
Poi la scena cambia, sono in una città
sconosciuta, cerco una scuola elementare dove debbo fare una
supplenza. Quando la raggiungo, l'aula ha una strana forma ad elle,
sotto volte bassissime, ad arco, che sfioro con la testa camminando.
venerdì 10 agosto 2012
boppin' Django
Ultimamente sono in andato in loop per Django Reinhardt. Davvero, sto diventando dipendente.
Allora ho approfittato dell'ospitalità dell'amico Marco Bertoli per propagare un po' il virus.
Mi trovate qui.
giovedì 9 agosto 2012
esercizi di autotraduzione
On A Photograph Seen On
FaceBook
What your hands were
showing
Amidst sleeping and waking
and words stormed at mid-air
Amidst all that came to
light and all that did not break
The eyelids' hard shell
What they were showing was
not much really – Your eyes
Overtaken in the dawning
of an infant's
Face – It was something
Holding Beauty within
And after all you don't need to
remember every single word
You really don't – I
know what is still glimmering
Just as it used – Time
may become
So transparent
Life is all but such instants cut in the
Very core of the Beginning
martedì 7 agosto 2012
raccontino energetico (ovvero: le magnifiche sorti e progressive della privatizzazione)
Sabato, l'una e qualche minuto. La
moglie è in giro per compere last-minute, i bimbi sono in giardino a
giocare. Io ogni tanto butto un occhio dalla finestra, e intanto
friggo le melanzane. Oggi si mangia pasta alla norma.
Bussano. Okay, calma e sangue freddo.
Spegnere il fuoco, raccomandare ai bimbi di aspettare in giardino. Do
un'occhiata dallo spioncino: c'è una ragazza con un badge al collo e
una cartellina in mano. Mora, carina, sui venticinque o giù di lì.
La solita rappresentante, scommetto, ma in fondo non sembra
pericolosa: apro.
Lei sta scrivendo qualcosa:
probabilmente ricopia il mio nome dalla cassetta della posta. La
faccenda comincia già a non piacermi.
- Buongiorno, desidera?
- Il signor Sergio Pasquandrea?
- Sì, sono io.
- Salve!
(Mi porge la mano, automaticamente gliela stringo e
già vorrei non averlo fatto.)
- Sono Katia della GDF Suez.
(NO!! Santo cielo no, ancora questi! Che
minchia vogliono adesso? Valuto l'opportunità di un'azione violenta, ma la buona educazione mi è stata inculcata
troppo in profondità per riuscire a sparare un “vaffanculo” e
chiuderle la porta in faccia, e poi in fondo è meglio lasciarla
parlare, non si sa mai avessero fatto qualche casino a mia insaputa;
stiamo a sentire).
- Passiamo da lei perché non
abbiamo ricevuto la sua richiesta.
- Quale richiesta, scusi?
- Non ha letto gli annunci in
bolletta?
- Quale bolletta? Non sono mica
vostro cliente, io.
(Non che io sappia, almeno. Prova un
po' a dirmi il contrario e sta' a vedere che ti succede, stronza).
- Certo, Signor Pasquandrea, ma
forse lei non sa che ha il diritto di richiedere il passaggio alla
fornitura all'ingrosso dell'energia, che noi possiamo fornirle. In
caso contrario, subirà forti aumenti sulle prossime bollette Enel
ed Enel Gas!
(Ma mi pigliano per scemo? Mi hanno già
recitato questa tiritera, gliel'ho spiegato e rispiegato che non mi
interessa, gli ho anche scritto. E oltretutto, è una truffa).
- Guardi, ho già parlato con un
vostro addetto tempo fa.
- Lo sappiamo, ma stiamo
ricontattando le persone che non hanno aderito per...
(Ma allora siete proprio stronzi. E
anche rompiballe. Vabbè, ormai s'è capito il verso, chiudiamola
qui).
- Mi sono già informato. Le vostre
offerte non mi interessano. Buona giornata.
- Okay, signor Pasquandrea, grazie
lo stesso e buona giornata.
Mi ristringe la mano, si volta e si
allontana nella calura estiva.
Io rimango con un vago senso di
inquietudine: so che il mio nome è lì, da qualche parte nei loro
archivi, e la cosa non mi garba proprio per niente. Mi chiedo di
nuovo se avrei dovuto mandarla a fanculo e basta. Poi penso di no,
magari è una poveraccia mandata allo sbaraglio, i veri pescecani
sono altri.
Però sarebbe stato liberatorio. Cazzo,
quanto sarebbe stato liberatorio.
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lunedì 6 agosto 2012
domenica 5 agosto 2012
sabato 4 agosto 2012
su una fotografia
Mais je ne sais répondre, de par un charme
Qui m'a étreint, de plus loin que l'enfance.
(Yves Bonnefoy, “Ce qui fut sans lumière”)
Quel che la tua mano mi mostrava
fra il sonno e la veglia e le parole assalite a mezz'aria
fra tutto ciò che ha visto la luce e ciò che non ha spezzato
il duro delle palpebre
quel che mi mostrava non era poi molto
....................................... .....................i tuoi occhi
sorpresi nel chiarore di un viso
di bambina
............. .....era qualcosa
che conteneva Bellezza
ma lo sai non è necessario ricordare tutte le parole
davvero non è necessario io lo so bene che cos'è che brilla
adesso come allora – certe volte il tempo
diventa così trasparente
la vita non ha che di questi attimi tagliati
nel vivo dell'origine.
venerdì 3 agosto 2012
giovedì 2 agosto 2012
è quello il messaggio
Chi ha, avrà
E chi non ha, perderà
Così dice la Bibbia
Ed è ancora quello il messaggio
Mamma può averne
Papà può averne
Ma Dio benedica il bambino che ha del
suo
Che ha del suo...
Sì, i forti hanno di più
Mentre i deboli spariscono
Le tasche vuote non danno mai il
successo
Mamma può averne
Papà può averne
Ma Dio benedica il bambino che ha del
suo
Che ha del suo...
Soldi, e hai un sacco di amici
Soldi, e hai un sacco di amici
Che ti si affollano alla porta
Quando sei agli sgoccioli
Non tornano più
Parenti ricchi ti danno
Croste di pane e roba del genere
Te la puoi cavare da solo
Ma non prendere troppo
Mamma può averne
Papà può averne
Ma Dio benedica il bambino che ha del
suo
Che ha del suo...
Non deve preoccuparsi di nulla
Non deve preoccuparsi di nulla
Perché ha del suo
"God Bless the Child" (Billie Holiday / Arthur Herzog, Jr.)
mercoledì 1 agosto 2012
biologia dell'imperfezione
Ecco la Natura è tutto sommato
simmetrica
produce lobi angoli cristalli
biforcazioni
tanto più precisa quanto più si
avvicina alla scala
del micron
quel che fa la vera differenza è lo
scarto bilaterale
che rende vivi il granchio la diatomea
e micidiale
il tuo sorriso. La Natura è simmetrica
ma senza patemi
corteggia l'errore.
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