martedì 8 settembre 2015

diario inglese_secondo giorno

Lunedì 31 agosto

Piove, in silenzio. Starei quasi per dire: “con discrezione”.

Una volta si faceva così: aprire la Bibbia e leggere una pagina a caso per trarne un oracolo.
E dunque ci provo, con l'immancabile Bibbia trovata nella mia camera d'albergo (che poi non è un albergo, sono le camere degli studenti nel campus dell'università, in un cottage di pietra immerso tra aiuole e prati).
Davide e Golia. Il gigantesco filisteo che sfida gli israeliti, il pastorello David che accetta la sfida “in nome del Dio vivente”, i fratelli di David che lo scacciano sprezzanti, David che rifiuta l'armatura e la spada di Saul e affronta il filisteo armato di fionda e di ciottoli raccolti al fiume. Saul che prima lo protegge, poi è invidioso di lui (perché le donne israelite hannmo cantato: “Saul ne ha uccisi migliaia, David decine di migliaia”).
Tutto ciò deve avere un senso, ma non so quale.

E le università. Quelle italiane sono vetusti, venerandi edifici che all'interno nascondono aule muffite, dall'intonaco a bolle, banchi consunti nei cui angoli si annida la polvere dei decenni. Oppure tristi esempi di cementificazione selvaggia, nati già vecchi, deturpati da murales e graffiti osceni.
Qui i campus sono sempre curatissimi; quasi mai antichi, anzi perlopiù moderni (o finto-antichi), ma immersi nel verde, disseminati di cottage dove vivono studenti e professori.
All'arrivo mi accoglie un volo di anatre, che si alzano da uno stagno circondato da prati verdissimi, salici, canneti, cespugli in fiore.





"You are not supposed to chew pasta!”
(La pasta, non devi mica masticarla!).
Risposta di un inglese a un italiano che gli aveva cucinato la pasta al dente.

Dopo una giornata di convegno, seduto ad ascoltare presentazioni; dopo la decima presentazione di fila, in nove ore; comincio a capire meglio i miei studenti.

Il pensiero dominante dell'italiano all'estero:
"Siamo l'ultima provincia, all'estrema periferia dell'impero. Siamo irredimibili. Siamo fottuti."

“Thank you very much for this interesting talk”.
Dopo ogni talk. Anche più volte.


Mi hai chiesto di non ascoltare.
Ma guardare (guardarti) mi dispiace
non posso fare a meno: perciò
misuro l'inspirazione
che ti solleva il petto a un ritmo
troppo frequente – regolo
il tempo dei miei respiri
sul basso continuo che il tuo piede
marca sulla moquette grigia.
Chiamala osmosi – contatto
a distanza (ormai lo sai).
Io però lo sento
la tensione delle mie spalle
è quella delle tue
– intendo: esattamente quella
né più né meno. Lo so
il sorriso tende gli zigomi
senza gioia.
Ogni tanto mi guardi. Mi sorridi.
Sorridi sul serio – almeno spero.
Io mi sento allargare il petto
e spero sia lo stesso per te.


Ele (side-glancing), pennarelli, settembre 2015

Secondo ristorante italiano. E questo è davvero buono. Giuro: farebbe la sua figura anche in Italia.
(E infatti è gestito da italiani).

1 commento:

amanda ha detto...

il problema degli atenei italiani non è la muffa dei muri, è la muffa dei sederoni che fingono di insegnare, che spesso non hanno più nulla da insegnare, che molto spesso non hanno mai avuto nulla da insegnare, solo l'arroganza del potere che riempie le loro tasche e le loro misere menti