
"Je veux que tu connaisses ce frisson de froidure qui inquiète la peau, quand l'ombre d'un regard l'isole du soleil".
(François Bourgeon)






Martino prese su un lume e mi condusse al mio nuovo domicilio per quei lunghissimi giri di scale e di corritoio che mi parvero in quella sera non dover piú finire. Egli mi raccomodò il letticciuolo in un angolo di quello stanzino che era nulla piú d'un sottoscala; m'aiutò a svestirmi e mi compose le coltri intorno al collo perché non pigliassi freddo. Io lo lasciava fare, come appunto se fossi un morto; ma quando poi fu partito, e al lume della lucernetta deposta da lui in un cantone vidi le muraglie sgretolate e il soffittaccio sghembato in quel buco da gatti, la disperazione di non essere nella stanza bianca ed allegra della Pisana mi riprese con tal violenza che mi dava pugni e unghiate nella fronte e non fui contento se prima non mi vidi le mani rosse di sangue. In mezzo a quelle smanie sentii grattare pian piano all'uscio, e, cosa naturalissima in un ragazzo, la disperazione cesse pel momento il luogo alla paura.


La fede a' suoi tempi era almeno una idealità una forza un conforto; e chi non aveva il coraggio di soffrire cercando e aspettando, avea la fortuna di sopportare credendo. Ora la fede se ne va, e la scienza viva e completa non è venuta ancora. Perché dunque glorificar tanto questi tempi che i piú ottimisti chiamano di transizione? Onorate il passato ed affrettate il futuro; ma vivete nel presente coll'umiltà e coll'attività di chi sente la propria impotenza e insieme il bisogno di trovare una virtù. Educato senza le credenze del passato e senza la fede nel futuro, io cercai indarno nel mondo un luogo di riposo pei miei pensieri. Dopo molti anni strappai al mio cuore un brano sanguinoso sul quale era scritto giustizia, e conobbi che la vita umana è un ministero di giustizia, e l'uomo un sacerdote di essa, e la storia un'espiatrice che ne registra i sagrifici a vantaggio dell'umanità che sempre cangia e sempre vive. Antico d'anni piego il mio capo sul guanciale della tomba: e addito questa parola di fede a norma di coloro che non credono piú e pur vogliono ancora pensare in questo secolo di transizione. La fede non si comanda; neppur da noi a noi. A chi compiange la mia cecità, e lagrima nella mia vita uno sforzo virtuoso ma inutile che non avrà ricompensa nei secoli eterni, io rispondo: Io sono padrone in faccia agli altri uomini del mio essere temporale ed eterno. Nei conti fra me e Dio a voi non tocca intromettervi. Invidio la vostra fede, ma non posso impormela. Credete adunque, siate felici, e lasciatemi in pace.