giovedì 19 maggio 2011

stop please



Ecco, io non vorrei dire. Però.
A gennaio erano dieci anni dalla morte del mio miglior amico. Tumore, a venticinque anni. Io non credo nei presagi. Però.

Appena dopo le vacanze di Natale, una ragazza della mia scuola (non alunna mia, ma che cambia?) finite le lezioni si butta da una finestra del quinto piano. Un paio di settimane dopo, un'altra ragazza (neanche lei alunna mia, ma di nuovo...) ripete lo stesso gesto, stavolta a casa sua. Entrambe sopravvivono: non sempre le cose vanno proprio così male. Però.

Poco più di un mese fa, un amico di mio cognato - amico d'infanzia, praticamente cresciuti insieme - quarantacinque anni, divorziato, due figli, un'esistenza alle spalle che definire sfigata è poco, muore di cancro, dopo mesi di terapie e di agonia attaccato a macchine e antidolorifici. Da poco si era trovato una ragazza, si stava rifacendo pian piano una vita. Sì, io lo conoscevo solo di vista. Però.

Lo scorso fine settimana un ragazzo della mia scuola, un giovanottone dai capelli rasta, sedici anni, famiglia disastrata, va a una festa ad un centro sociale, prende qualche pasticca di troppo, si sente male. Muore. No, non conoscevo direttamente neanche lui. Però.

Poi ci sono i problemi minori, minimi. Gestire contemporaneamente la scuola, la collaborazione con l'università, il lavoro di giornalista, la famiglia. A rimetterci è il sonno. E la salute. E l'equilibrio psichico.
E poi da mesi sto aspettando una soluzione che mi permetterebbe di riprendere con l'università a tempo pieno, che arriva, no non arriva, sì forse arriva ma non si sa quando, e invece no non arriva perché tutti i finanziamenti sono bloccati, boh nessuno ne sa niente. Io intanto rimango lì, appeso all'ordinaria follia dell'accademia italiana. A chiedermi se davvero ne vale la pena, o se magari è meglio darci un taglio, una volta per tutte.
D'accordo, sono tutte cose che ho scelto io. Però.

Insomma: niente di così grave, direte voi. Però io direi che magari basta, no?



(Ecco, visto che ci siamo, sentiamoci Chet Baker, che quello almeno male non fa. O, se fa male, lo fa bene).

4 commenti:

lazard ha detto...

La morte di solito bussa in una casa, ma bussa talmente forte che chi ci abita diventa sorda... ma proprio sorda, Sergio, davvero. Gli altri, i vicini di casa, nell'isolato, sentono qualcosa, dei rumori dello stomaco, oppure come dei clacson fastidiosi, o delle cose che stridono. Ma solo la casa sa, solo la casa è un vuoto inghiottito da un altro vuoto. Il resto, attorno, dorme, piscia, ride, mangia, gioca a morra cinese, rotola nella doccia, parte...

Anonimo ha detto...

Coraggio Ser, cambierà ...
aL

amanda ha detto...

per bastare basta eccome per chi non chiude le porte, per chi ha la pelle sottile per natura o per empatia e la puzza che aleggia in questi anni pesanti, in questo "stivaletto" di merda, non migliora certo il quadro, ma un abbraccio affettuosissimo perchè ho imparato a volerti bene te lo lasci fare?

sergio pasquandrea ha detto...

grazie a tutti.
e un abbraccio webbico anche a te, amanda.