“No him, no me”
(Dizzy Gillespie, parlando di Louis Armstrong)
Il jazz vive di antitesi.
Colto, ma di origine popolare; improvvisato, ma anche scritto; nero, ma anche bianco; sofisticato fino allo stremo, ma viscerale quanto nessun’altra musica.
Ma forse l’antitesi fondamentale è quella fra tradizione e innovazione. Si dice spesso che il jazz ha fatto in cent’anni il cammino che la musica classica ha fatto in cinquecento: la frase è vera solo in parte, però di sicuro esprime bene la tumultuosa evoluzione di questa musica, che ha cambiato faccia almeno una volta per ogni decennio
Eppure, nessun musicista, nemmeno i più sperimentali e avanguardisti, rinuncia mai a citare il passato come la propria fonte di ispirazione più importante (anzi, più il musicista è “d’avanguardia”, più sembra legato al passato: basta pensare a Ornette Coleman o all’Art Ensemble of Chicago). Lo diceva bene Max Roach: “Io vedo il jazz come un grande fiume sempre in movimento, dunque ogni generazione può apportare qualcosa di nuovo. Tuttavia ogni generazione è in un certo senso obbligata a guardarsi alle spalle: quel che conta è la continuità col passato piuttosto che la rottura. Il jazz è una musica democratica, che tiene conto degli apporti individuali per arrivare a una creazione collettiva”.
Pensavo a tutto ciò osservando una foto di Charlie Parker in concerto.
Colto, ma di origine popolare; improvvisato, ma anche scritto; nero, ma anche bianco; sofisticato fino allo stremo, ma viscerale quanto nessun’altra musica.
Ma forse l’antitesi fondamentale è quella fra tradizione e innovazione. Si dice spesso che il jazz ha fatto in cent’anni il cammino che la musica classica ha fatto in cinquecento: la frase è vera solo in parte, però di sicuro esprime bene la tumultuosa evoluzione di questa musica, che ha cambiato faccia almeno una volta per ogni decennio
Eppure, nessun musicista, nemmeno i più sperimentali e avanguardisti, rinuncia mai a citare il passato come la propria fonte di ispirazione più importante (anzi, più il musicista è “d’avanguardia”, più sembra legato al passato: basta pensare a Ornette Coleman o all’Art Ensemble of Chicago). Lo diceva bene Max Roach: “Io vedo il jazz come un grande fiume sempre in movimento, dunque ogni generazione può apportare qualcosa di nuovo. Tuttavia ogni generazione è in un certo senso obbligata a guardarsi alle spalle: quel che conta è la continuità col passato piuttosto che la rottura. Il jazz è una musica democratica, che tiene conto degli apporti individuali per arrivare a una creazione collettiva”.
Pensavo a tutto ciò osservando una foto di Charlie Parker in concerto.
(continua su "La poesia e lo spirito")
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