giovedì 30 ottobre 2008
Cossiga l'aveva pur detto...
Devo di nuovo mancare alla parola data, e parlare di politica. Ma, come ho detto, si tratta di sopravvivenza, di salvaguardia dei diritti umani.
Non solo perché la TV continua a disinformare (questa non sarebbe una novità), ma perché in piazza è ricomparso un oggetto sinistro: la spranga.
Il TG ieri ha parlato di "scontri in piazza tra studenti di destra e di sinistra".
E se le cose fossero andate diversamente? E se, mettiamo, dei figuri armati di spranghe fossero arrivati urlando "Duce, duce" e avessero aggredito dei liceali completamente indifesi? E se la polizia avesse fatto finta di non vedere? E se, anzi, li avesse esplicitamente e attivamente aiutati?
Qui c'è un articolo. Della Repubblica, non di un giornale di estrema sinistra.
E qui c'è un video, con la testimonianza di Curzio Maltese:
Che altro aggiungere? Cossiga l'aveva pur detto.
mercoledì 29 ottobre 2008
ricordi victor jara?
Luchin
Fragile come un aquilone
Fra i tetti di Barrancas
Giocava il bimbo Luchin
Con le manine livide
Con la palla di stracci
Con il gatto e con il cane
Il cavallo lo guardava
Nell'acqua dei suoi occhi
Si bagnava il verde chiaro
Giocherellava nella sua breve età
Con il culetto infangato
Con la palla di stracci
Con il gatto e con il cane
Il cavallo lo guardava
Il cavallo era un altro gioco
In quel piccolo spazio
E all'animale sembrava
Piacesse questo lavoro
Con la palla di stracci
Con il cane e con il gatto
E con Luchito tutto bagnato
Se ci sono bambini come Luchin
Che mangiano terra e vermi
Apriamo tutte le gabbie
Perché volino come uccelli
Con la palla di stracci
Con il gatto e con il cane
E anche con il cavallo...
lipogramma
martedì 28 ottobre 2008
pace, pace, pace
Devo confessare di aver odiato, per anni, tutto il tardo Romanticismo musicale: Wagner, Chaikowskij, Mahler, Bruckner.
Anzi, quasi tutto il Romanticismo, con poche ma amatissime eccezioni: Chopin; Schumann; le cose più brevi e fulminanti di Schubert. Brahms, soprattutto.
Del melodramma manco a parlarne: o l'opera barocca, o il Novecento. Odiavo persino Beethoven, cosa di cui oggi un po' mi vergogno. Un bel po'.
Le ragioni sono troppo complicate da spiegare, forse anche perché non sono chiare nemmeno a me stesso. Si sa com’è, da giovani: spesso è più importante avere qualcosa da odiare che qualcosa da amare.
Negli ultimi anni sto facendo pace con questa, come con tante altre cose.
sabato 25 ottobre 2008
riforma Gelmini, ovvero: che ci sia ciascun lo dice...
La prima cosa da precisare, a proposito della riforma Gelmini, è che non esiste.
Una cosa che salta subito all'occhio è che si parla sempre del "decreto Gelmini" come di una "riforma del sistema scolastico".
Una riforma del sistema scolastico presuppone una pianificazione dell'intero sistema (tipo di scuole, materie insegnate, orari, distribuzioni delle classi e delle cattedre, ecc.), supportata da considerazioni di tipo soprattutto didattico e pedagogico (che cosa devono studiare gli alunni? quali materie, quante ore per ciascuna? perché? quali obiettivi ci proponiamo?, ecc.).
In questo senso persino l'esiziale riforma Moratti era una "riforma del sistema scolastico".
Invece la fantomatica "riforma Gelmini" non è che un paragrafo della legge Legge 133/2008, che riporta questo titolo: "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria". In parole povere, si tratta di problemi di bilancio. Sostanzialmente, tagli alle spese.
Ora, che serva una revisione delle risorse finanziarie destinate alla scuola (che oggi vengono concesse in modo del tutto irrazionale e amministrate da cani), siamo d'accordo tutti.
Ma almeno non facciamo passare una revisione delle spese per una "riforma della scuola".
Per carità, un po' di decenza.
però non è scemo. purtroppo
(Francesco Cossiga, intervista su "Libero" dell'11 maggio 2004)
venerdì 24 ottobre 2008
lui dorme tranquillo
Quando Cossiga fu eletto Presidente della Repubblica, nel 1985, io avevo dieci anni. Troppo pochi per ricordare gli anni Settanta, i blindati in piazza contro gli studenti, KoSSiga boia, l'assassinio di Giorgiana Masi, il rapimento e la morte di Moro, le polemiche per il favoreggiamento a Donat Cattin.
Ricordo solo la figura scialba, spenta, democristianamente cinerea, la voce adenoidale. Alla fine del settennato, le “esternazioni” e le “picconate” parvero, a me quindici-sedicenne, una pittoresca pirotecnia di demenza senile.
Oggi Cossiga mi appare come una delle figure più sinistre di quella stagione nera. Uno con, sulla coscienza, non soltanto parecchi cadaveri, ma soprattutto i silenzi, gli occultamenti, il fango delle trame segrete, delle ambigue complicità, dell'omertà, del doppio gioco. Certamente dorme tranquillo, sicuro di aver agito sempre per il bene dello Stato.
Chi lo sa, forse ha ragione lui.
Però a me fa paura.
salvare la pelle
Ma qui non si tratta più di politica, si tratta di salvaguardia dei diritti umani.
Si tratta di sopravvivenza.
KoSSiga boia, il ritorno
L'intervista è stata rilasciata ieri, giovedì 23 ottobre, al Quotidiano Nazionale, è stata rilanciata oggi da Dagospia e sta rimbalzando di blog in blog.
Morale: quello che si diceva negli anni '70 era tutto vero.
Il testo:
Presidente Cossiga, pensa che minacciando l'uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?
«Dipende, se ritiene d'essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché è l'Italia è uno Stato debole, e all'opposizione non c'è il granitico Pci ma l'evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà quantomeno una figuraccia».
Quali fatti dovrebbero seguire?
«A questo punto, Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno».
Ossia?
«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito...».
Gli universitari, invece?
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che?
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che...
«Nel senso che le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti?
«Soprattutto i docenti».
Presidente, il suo è un paradosso, no?
«Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».
E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere?
«"In Italia torna il fascismo", direbbero. Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio».
Quale incendio?
«Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà ad insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate Rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».
E' dunque possibile che la storia si ripeta?
«Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».
Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».
Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente...
«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all'inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com'era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermzza applciata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c'è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».
mercoledì 22 ottobre 2008
Giovanni Allevi, autocritica
Mi sono ricordato di aver recensito, qualche anno fa, un disco di Allevi. Se non ricordo male era "No Concept", del 2005. Era prima dell'esplosione del fenomeno-Allevi alla sua massima magnitudo: lo Schoenberg di Ascoli Piceno era già moderatamente famoso, ma non un fenomeno di massa.
Venendo al dunque, la mia recensione era cautamente positiva. Non ho sottomano il testo, ma se la memoria non mi tradisce dicevo che il disco tutto sommato era gradevole, che c'era qualche scivolata nel kitsch, ma che il ricciolotto nel complesso se la sgamava. Facevo anche qualche considerazione sul suo aspetto da zazzerone della porta accanto e su come potesse aver influito sul suo già incipiente successo.
E allora, mi rimangerei il giudizio? No, questo no.
Però vedere Allevi categorizzato come "pianista jazz" (quando col jazz non c'entra una mazza), accostato a Keith Jarrett (ma per carità...), incensato (e auto-incensato) come genio, invitato su tutti i palcoscenici manco fosse il novello Mozart... beh, dopo un po' rompe.
Per non parlare delle banalità come "l'arte deve emozionare, e lui emoziona", o come "ha riavvicinato la musica contemporanea al grande pubblico".
Insomma: c'è un limite a tutto.
lunedì 20 ottobre 2008
Giovanni Allevi, che palle
Qualche giorno fa pensavo: Giovanni Allevi, il Richard Clayderman degli anni 2000.
Poi mi sono corretto. Perché almeno Clayderman faceva onesta musica da tappezzeria.
Giovanni Allevi è per la musica contemporanea un po' quello che Eric Clapton è per il blues.
Eric Clapton prende la musica potente, ruvida, viscerale, di Robert Johnson, Muddy Waters, Freddie King, Buddy Guy, e la trasforma in un prodotto adatto a un pubblico borghese: educato, risciacquato, smussato, senza spigoli né asprezze. Un compitino corretto e calligrafico. Che ti arriva anche corredato dalla sua edificante storia di caduta e redenzione dalla droga.
Clapton viene invocato come genio della sei corde, molto più di tanti altri chitarristi più bravi e importanti di lui: John Mayall, Jimmy Page, Jeff Beck, Duane Allman. Viene addirittura paragonato a Hendrix (esagerati...).
Giovanni Allevi prende quella che lui crede essere la “musica contemporanea” e la avvolge in una confezione da Baci Perugina. Lo completa con la caricatura del “genio”, così come lo se lo immagina la casalinga di Voghera: uno un po' strambo, scarmigliato, che magari esce di casa con i calzini spaiati e per strada dà di capo nei muri perché guarda gli uccellini e le nuvolette. Però un bravo ragazzo, timido, garbato. Gli daresti una pacca sulla spalla.
E ha successo, pur essendo mediocre. O forse proprio per questo.
Però qualche differenza c'è.
Clapton è un bravo musicista. Allevi una mezzasega.
Clapton il blues, quando vuole, lo sa suonare davvero. Allevi la musica contemporanea non sa manco dove sta di casa.
Clapton fra cinquant'anni sarà ricordato per qualche bel disco. Allevi ce lo dimenticheremo tra cinque anni.
domenica 19 ottobre 2008
che cosa (da non-credente) mi dà fastidio nell'ateismo militante.
La negazione aprioristica di un'intera categoria dell'esperienza umana, che in mancanza di un termine migliore definirei “spirituale”.
Dire che “lo spirito non si vede, quindi non esiste” non è un'obiezione probante, perché allora anche un cieco, nato in un paese di ciechi, potrebbe legittimamente sostenere che un oggetto ha forma, durezza, odore, suono, gusto ma sicuramente non colore.
A me non interessa l'esperienza religiosa, in quanto ipostatizzazione di un fenomeno che per me è solo psicologico. O neurologico che dir si voglia. Insomma, una differenza di potenziale elettrico tra conglomerati di neuroni.
Ma non pretendo che la mia spiegazione sia quella vera. Solo, chiedo il diritto di professarla senza essere oggetto del disprezzo altrui, e senza essere accusato di disprezzare chi crede. Ma su questo tornerò più avanti.
Pretendo invece che non vengano usate categorie spirituali per spiegare fenomeni che con la spiritualità non hanno nulla a che vedere. La fisica, ad esempio, o la biologia, o la teoria dell'evoluzione. Ma questo è un altro discorso.
L'attacco alla Chiesa nella sua interezza.
Sono d'accordissimo con l'attacco alla Chiesa come istituzione politica, economica, insomma temporale.
D'altronde, ritengo che l'attacco sarebbe facilmente condivisibile partendo da posizioni non atee, ma semplicemente evangeliche. In “Mission”, il sacerdote indio espone al cardinale la gestione economica della missione, basata sulla condivisione e sulla proprietà collettiva dei beni. Il cardinale ribatte che quella è una dottrina in odore di eresia, e il sacedote indio obietta: “Veramente, eccellenza, è la dottrina dei primi cristiani”.
Ecco, penso che qualunque (vero) cristiano sarebbe d'accordo nel sostenere che ogni discorso di potere è un discorso che contraddice il Vangelo.
Però poi si entra in un campo minato. La Chiesa ha diritto di interferire in politica? No, assolutamente, per le ragioni che ho esposto sopra, e anche perché la politica la fanno i partiti, e non mi risulta che la Chiesa lo sia. Però può dire a chi crede che una certa legge è contraria alla morale cattolica? Certo, rientra nella libertà di opinione.
E qui mi si obietterà: però la Chiesa dispone di una grancassa mediatica di insostenibile potere. È vero. Ma la colpa di chi è? Della Chiesa, o di chi nei media amplifica ogni parola di Ratzinger manco fosse quella del Presidente della Repubblica? Attaccare la Chiesa significa guardare il dito invece della luna.
Altra obiezione frequente: la Chiesa ha molta voce perché ha molti fedeli. Io direi piuttosto che la Chiesa ha molti fedeli perché ha molta voce, e storicamente l'ha sempre avuta perché ha goduto dell'appoggio dei poteri dominanti, o è stata essa stessa il potere dominante. Però qui si rientra nel problema di cui sopra: la Chiesa come soggetto politico, ossia come snaturamento del Vangelo.
Per il resto, la dottrina morale della Chiesa dovrebbe essere un affare interno dei cattolici. E devo dire che su certi punti a volte mi trovo persino d'accordo. Capita, almeno.
Il disprezzo.
Questo è un punto nevralgico, perché qui si giocano molte discussioni tra credenti e non credenti. Gli atei militanti accusano i cattolici di disprezzare chi non crede. E l'accusa è tutt'altro che falsa: ho sentito con le mie orecchie un frate affermare che “Dio è amore, quindi chi non crede rifiuta l'idea stessa dell'amore, non è capace di amare”. Cioè, io non credo, quindi non amo mia figlia, sono un cattivo padre. Cazzate, pure e semplici.
Però è vero anche che ho sentito un noto scienziato, che appare spesso in TV e che mi è persino simpatico, affermare che non tutti sono atei perché “non tutti sono condannati ad essere intelligenti”. Cioè, che chi crede è automaticamente un cretino. Cazzate, anche queste.
Non si può pretendere di essere rispettati come atei se non si rispetta chi crede. E fare il giochino del chi-ha-cominciato-a-disprezzare-chi mi sembra soltanto infantile. Se il disprezzo è sbagliato, comincia tu a non disprezzare gli altri.
Ho conosciuto cattolici (anzi, diciamolo, preti) che erano persone spregevoli, ma questo non mi dà il diritto di disprezzare i cattolici, più di quanto un carabiniere disonesto mi dia il diritto di disprezzare tutti carabinieri.
Insomma, trovo quello dell'ateismo militante un discorso (in senso foucaultiano) altrettanto totalizzante (e, potenzialmente, totalitario) di quello del fondamentalismo religioso.
Liberarsi dalle pastoie dei discorsi, abbattere gli idola. Insomma, essere uomini liberi. Cattolici o atei, non fa differenza.
venerdì 10 ottobre 2008
internet e la scia di lumaca
Ai primi di settembre ho subito un'intrusione di hacker sul mio computer. Qualcuno mi ha sottratto delle password e ha cercato di usarle per una truffa su un sito di vendite via internet. L'ho bloccato subito, per fortuna, ma ha avuto il tempo di sottrarmi un sacco di dati e di cancellare (per dispetto, suppongo) buona parte della posta nella mia casella e-mail.
Ho dovuto fare una denuncia alla polizia postale, poi mi è toccato cambiare un sacco di password e user-id a diversi siti, chiudere vari account e riaprirne di nuovi, telefonare alla banca perché potrebbero essere stati sottratti dati sui conti bancari o sulla carta di credito. Poi ho dovuto far riformattare il computer, sganciare 150 euri al tecnico, star fermo dieci giorni perchè senza pc non potevo lavorare, e infine reinstallare e reimpostare tutti i programmi che mi servivano.
Ma il punto è che, in tutto ciò, mi sono reso conto di quante tracce ci lasciamo dietro ogni volta che navighiamo il web: password memorizzate, dati personali, numeri di carta di credito, nomi di amici e conoscenti, commenti sui forum, cookies scaricati, foto inviate, informazioni lasciate cadere sbadatamente in un'email che poi chissà dov'è andata a finire. Un'infinità di briciole di Pollicino, solo che non servono a noi per ritrovare la strada, ma ad altri per tallonare noi. Infinite chiavi che possono aprire porte pericolose, porte che danno dritte dritte sulla nostra privacy personale. Un po' come andare in giro con la patta sbottonata.
O, meglio ancora, come lasciarsi dietro una traslucida scia da lumache, una bava appiccicosa di dati e informazioni che poi è quasi impossibile cancellare.
giovedì 9 ottobre 2008
Mina Agossi, "Simple Things"
Sto ascoltando "Simple Things", l'ultimo disco di Mina Agossi.
La tracklist spazia da composizioni originali a standard (il classico degli anni '20 A Good Man Is Hard To Find, un caposaldo del vocalese come Twisted), fino a cover rock (Money dei Pink Floyd, 1983 di Hendrix).
La Agossi è una cantante modernissima senza bisogno di darlo a vedere per forza, capace di rileggere la tradizione senza timori reverenziali. Ha un modo di cantare apparentemente svagato, noncurante, eppure è capace di imporre la sua personalità su qualunque cosa tocchi.
Gli originali, poi, rivelano una penna davvero difficile da incasellare.
Se tanto mi dà tanto, potrebbe diventare una delle figure più interessanti della vocalità jazz del prossimo millennio.
Questa è lei che canta "Voodoo Child".