sabato 11 giugno 2016

new book on the way

Dunque, cominciamo come di prammatica: dal principio.
Il mio primo libro di poesia fu una plaquette, Topografia della solitudine, uscita nel 2010 in un volume collettaneo per Fara Editore. Raccontava di un viaggio a New York che feci nel 2004, ma fu scritta in realtà un paio d'anni dopo, tra il 2006 e il 2008 circa.
Poi, nel 2011, uscì un'altra plaquette, intitolata Parole agli assenti, nel volume "Contatti" (Edizioni Smasher). Si trattava di poesie composte nel biennio precedente, con qualche repêchage un po' più datato.
Nel 2014, fu la volta della mia prima silloge autonoma, Approssimazioni (Pietre Vive), che conteneva testi del 2011-2013. L'anno scorso c'è stato Oltre il margine (Fara Editore), scritto subito dopo il precedente.

Perché vi racconto tutto ciò? Perchè in realtà c'era un altro libro, che continuava ad ossessionarmi come lo spettro di Banquo. 
Si chiamava Un posto per la buona stagione e avrebbe dovuto essere il mio primo. Raccoglieva il fior fiore di ciò che avevo scritto in gioventù, perché il nucleo comprendeva testi del 2006-2010, ma alcuni risalivano ancora più indietro, fino al 2001-2002 circa.
Quel libro lo misi insieme tra il 2011 e il 2012; nell'ottobre 2012 lo spedii a un editore, de cuyo nombre no quiero acordarme, del quale all'epoca mi fidavo. Dopo un'attesa piuttosto lunghetta, nella primavera del 2013 mi comunicarono che era stato accettato e sarebbe uscito "a breve".
E qui comincian le dolenti note: perché "a breve" cominciò a durare piuttosto a lungo. Ogni tanto, l'editore spariva per mesi, poi si rifaceva vivo con le bozze da correggere. Sempre le stesse, che avevo già corretto mesi prima. Glielo facevo notare, si scusava. Poi spariva di nuovo. Poi riappariva, inventando ogni volta bugie sempre più fantasiose.
Dopo un annetto o due di questa solfa, cominciai a subodorare il marcio (lo so, sono lento di comprendonio) e mi informai in giro. Scoprii che quella era la sua politica: lo faceva con tutti. Il perché, non sono tuttora riuscito a spiegarmelo, ma tant'è.
A quel punto, rescissi il contratto, d'altra parte ormai scaduto, e lo mandai educatamente a sfogare i propri bisogni fisiologici altrove.

Rimaneva il problema del libro. Ormai eravamo nel 2015 e io mi trovavo in mano un testo assemblato quattro anni prima, con poesie ormai vecchie anche di dieci anni e più. Cose in cui non mi riconoscevo affatto ("non son chi fui, perì di noi gran parte...").
Che farne? Lasciarlo nel cassetto o riprovarci? La prima tentazione era forte, ma un po' c'era la ripicca, un po' quelle liriche avevano (e hanno), per tutta una serie di ragioni, un forte valore affettivo.
A quel punto lessi l'avviso di un premio di poesia; che, a differenza di tanti altri, era serio, e lo dimostrava la giuria, composta da nomi di assoluto prestigio. Insomma, to make a long story short, decisi di proporglielo: e glielo mandai così com'era, senza quasi cambiare una virgola, perché sapevo che, se avessi cercato di rimaneggiarlo, avrei finito per riscriverlo da cima a fondo.

Ieri sera, mentre ero a cena fuori con moglie e figli perché era il nostro decimo anniversario di matrimonio*, mi arriva una telefonata. Come ormai avrete capito, il premio l'ho vinto e il libro, il mio Sorgenkind, uscirà per i tipi di Qudu.
Qui tutti i dettagli.
All is well that ends well.



* P.S.: che la notizia mi sia stata comunicata proprio in quella circostanza, ha una sua bellezza poetica, dato che il libro è dedicato a mia moglie e ai miei figli.

1 commento:

amanda ha detto...

congratulazioni e auguri