venerdì 1 ottobre 2010

powerhouse - part 5


Ora tutti i neri che stavano a guardare si accalcano docilmente, sulla porta, con gli occhi accesi, tanti quanti ce n'entrano. Uno è un ragazzino con un sombrero di paglia, tutto rivestito di pittura color alluminio.
Powerhouse, Valentine, Scott e Little Brother bevono birra, e le loro palpebre si toccano come tendaggi. Li circondano il muro e la pioggia e la cameriera bella e umile che li serve e gli altri neri che li scrutano.
“Ascoltate!”, mormora Powerhouse, guardando la bottiglia di ketchup e stendendo lentamente le mani da uomo di spettacolo sull'umida, stropicciata tovaglia a scacchi rossi. “Ascoltate come stanno le cose. Mia moglie comincia a sentire la mia mancanza. Gipsy. Va alla finestra. Guarda fuori e vede voi-sapete-cosa. La strada. Insegne che dicono Albergo. La gente che cammina. Qualcuno guarda in alto. Un vecchio. Lei guarda in basso, fuori dalla finestra. Beh?... Sssss! Sploch! Che cosa fa? Salta e si sparge le cervella tutto in giro”.
Apre gli occhi.
“È così”, concorda Valentine. “Hai ricevuto un telegramma”.
“Certo che sente la tua mancanza”, aggiunge Little Brother.
“No, è la notte”. Con che dolcezza glielo dice! “Certo, è la notte. Lei dice, Che cosa sento? Passi che arrivano dall'atrio? È lui? I passi si allontanano. Non sono io. Io sono ad Alligator, Mississippi, lei è fuori di sé. Trema tutta. Ascolta finché le orecchie e tutto il resto le diventano come un vecchio corno da grammofono ma non riesce a sentire niente. Dice, hm hm, bene, e salta dalla finestra. È infuriata con me! È fuori di sé! Non si lascia niente dietro!.
“Sì! Ha!”.
“Cervello e budella dappertutto, o Signore, o Signore”.
Ma tutti i neri che lo guardano gongolano di piacere, e per il loro maggior piacere dice teneramente, “Li sentite? Ratti!”.
“Dev'essere andata proprio così, capo”.
“Solo che, no, Powerhouse, non è vero. Sarebbe troppo brutto”.
“Davvero? So persino chi l'ha trovata”, grida Powerhouse. “ Quel buono a nulla vigliacco di un viscido cantantucolo, quel viscido che mi viene dietro, che mi spunta dietro come l'erbaccia, che mi segue qualunque cosa faccia e si mette a cazzeggiare dove poco prima c'ero io. Si gioca i miei numeri, canta le mie canzoni, gira intorno al mio agente come un moscone; quando esco io entra lui. Ma ora l'ho beccato! Lo tengo d'occhio!”.
“Sai chi è?”
“Beh, è quel solito Uranus Knockwood!”.
“Sì! Ha!”.
“Sì, e ora arriva e trova Gipsy. Eccolo lì, che gira quell'angolo, e Gipsy che piroetta giù, oh-oh, guarda un po'! Ssss! Sploch! Guarda, è proprio lì con la sua solita camicina da notte, e le budella e il cervello tutti sparsi intorno!”.
Un sospiro riempie la stanza.
“Basta parlare del suo cervello. Basta parlare delle sue budella”.
“Sì! Ha! Parli del suo cervello e delle sue budella... vecchio Uranus Knockwood”, dice Powerhouse, “guardi giù e dici Gesù! Guarda un po' su che cosa sono andato a mettere i piedi!”.
Tutti scoppiano in una cagnara di risate. La faccia di Powerhouse sembra una grossa caldaia arroventata.
“Beh, lui la prende e la porta via!”, dice.
“Sì! Ha!”.
“Se la riporta dietro l'angolo...”.
“Oh, Powerhouse!”.
“Lo conoscete”.
“Uranus Knockwood!”.
“Sììììì!”
“Si porta via le nostre mogli quando noi siamo via”.
“Lui entra quando noi usciamo!”.
“Uh-huh!”.
“Lui esce quando noi entriamo!”.
“Sììììì!”.
“Lui se ne sta dietro la porta!”.
“Il vecchio Uranus Knockwood”.
“Lo conoscete”.
“Uno di taglia media”.
“Porta un cappello”.
“È lui”.
Tutti nella stanza gemono di piacere. Il ragazzino con il bel cappello argentato apre un involto e divide un dolcetto tra i suoi seguaci.
E dal cerchio col fiato sospeso qualcuno si fa avanti come uno schiavo, trascinando un nero grosso e tardo con gli occhi sbarrati, e dice, “Questo qui è Sugar-Stick Thompson, che si è tuffato fino in fondo al July Creek e ha tirato su tutti quei bianchi annegati caduti giù da una barca. L'estate scorsa, ne ha tirati su quattordici”.
“Salve”, dice Powerhouse, girandosi a guardarli tutti con la sua grossa faccia sfrontata, fin quasi a toglier loro il respiro.
Sugar-Stick, il loro strumento, non può parlare; può solo guardare gli altri, dietro di sé.
“Non sa nemmeno nuotare. Ci è riuscito trattenendo il fiato”, dice il tizio con l'eroe.
Powerhouse lo guarda.
“Io sono il suo fratellastro”, aggiunge il tizio.
Si rifanno indietro.
“Gipsy dice”, Powerhouse ricomincia a borbottare dolcemente, guardandoli, “ 'A che serve? Salterò così lontano – così lontano.....' Ssss...!”.
“No, capo, non lo rifare”, dice Little Brother.
“È orribile”, dice la cameriera. “Odio quel Mr. Knockwood. È tutto vero?”.
“Vuoi vedere il telegramma che ho ricevuto da lui?”. La mano di Powerhouse va verso la grande tasca.
“Aspetta, aspetta capo”. Tutti lo guardano.
“Dev'essere proprio la verità”, dice la cameriera, succhiandosi il labbro inferiore, gli occhi lucenti che si girano tristemente, in cerca delle finestre.
“No, piccola, non è vero”. Le sopracciglia gli si sollevano, e comincia a sussurrare verso di lei con la sua grande bocca a forno. La sua mano rimane in tasca. “La verità è qualcosa di peggio, non l'ho ancora detto. È qualcosa che non mi è ancora venuto in mente, ma non dico che non mi verrà in mente prima o poi. E quando lo farà, vuoi proprio che te lo dica?”. Di colpo tira su col naso, i suoi occhi si aprono e si girano verso l'alto, quasi troppo velocemente. Ha un sorriso sognante.
“No, capo, no, Powerhouse!”.
“Oh!”, urla la cameriera.
“Forza usciamo di qui!”, ruggisce Powerhouse, tirando la mano fuori dalla tasca e dando una pacca sul retro del suo vestito rosso.
L'anello di spettatori si rompe e si disperde.
“Guardate! L'intervallo è finito”, dice Powerhouse.
Arrotola il denaro sotto un bicchiere, e dopo che escono, Valentine si sporge all'indietro e lascia cadere un nichelino nel juke-box dietro di loro, che si illumina e comincia a suonare “The Goona Goo”. La piuma sta ancora dondolando.

(... continua)

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