giovedì 27 novembre 2014

Patrick Modiano, appunti di lettura

Quasi le undici di sera. Quando si trovava da solo a casa, a quell'ora, si sentiva spesso arrivare quel che si chiama “un magone”. Allora, se ne andava in un caffè dei paraggi, aperto fino a tardi. La luce viva, il brusio, l'andirivieni, le conversazioni a cui aveva l'illusione di partecipare, tutto ciò gli faceva superare, poco a poco, la sua depressione. Ma dopo un po' non aveva più bisogno di quell'espediente. Gli bastava guardare dalla finestra del suo ufficio l'albero piantato nel cortile dell'edificio accanto, che conservava il fogliame ben più tardi degli altri, fino a novembre. Gli avevano detto che era un carpine, o un pioppo, non si ricordava più. Rimpiangeva tutti gli anni perduti, nei quali non aveva fatto gran caso agli alberi né ai fiori. Lui, che non leggeva più altri libri se non la Storia naturale di Buffon, si ricordò bruscamente delle memorie di una filosofa francese. Costei era rimasta sconvolta da ciò che le aveva detto una donna durante la guerra: “Che volete, la guerra non modifica i miei rapporti con un filo d'erba”. Ella riteneva senza dubbio che quella donna fosse frivola o indifferente. Ma per lui, Daragane, la frase aveva un altro senso: nei periodi di cataclisma o di sofferenza morale, non c'era altro mezzo se non cercare un punto fisso per conservare l'equilibrio e non cadere a mare. Lo sguardo si ferma su un filo d'erba, su un albero, sui petali di un fiore, come se ci si aggrappasse a una boa. Quel carpine – o quel pioppo – al di là del vetro della sua finestra lo rassicurava. E benché fossero quasi le undici di sera, era confortato dalla sua presenza silenziosa.

Il brano è tratto da Pour que tu ne te perds pas dans le quartier di Patrick Modiano. La traduzione è mia, perché non credo sia ancora stato tradotto in italiano.
Ho visto il libro esposto in un chiosco alla stazione ferroviaria di Ginevra e l'ho comprato, senza un preciso motivo. Forse perché, come la maggior parte dei lettori non francofoni, non avevo mai sentito nominare Modiano fino a prima del Nobel. Il libro mi sta piacendo (mentre scrivo, sono a pagina 83 su 145).
Il protagonista, Jean Daragane, è un uomo che si è isolato dal mondo e vive nel suo ufficio, senza mai vedere nessuno. Finché un giorno il telefono squilla: è uno sconosciuto che dice di aver ritrovato un'agendina che lui, Daragane, aveva perso mesi prima. Gli chiede un appuntamento per restituirgliela. In realtà, all'appuntamento l'uomo comincia a insistere per avere notizie su un nome menzionato sull'agendina: un nome di cui Daragane non ricorda assolutamente nulla. Da qui partirà una vicenda che lo porterà a scavare nel suo passato, riportando alla luce fatti e persone che credeva sepolti per sempre.
Modiano ha uno stile limpido, lineare, molto gradevole. Di seguito un altro breve estratto (sempre nella mia traduzione).

Aveva scritto quel libro per la sola speranza che lei gli desse un cenno. Scrivere un libro era anche, per lui, lanciare segnali di fumo o messaggi Morse verso certe persone delle quali ignorava che cosa ne fosse stato. Bastava seminare i loro nomi sull'azzardo delle pagine e aspettare che essi infine gli dessero notizie. Ma nel caso di Annie Astrand, non aveva citato il suo nome e si era sforzato di confondere le piste. Ella non poteva riconoscersi in alcuno dei personaggi. Non aveva mai capito come si potesse introdurre in un romanzo un essere che avesse contato per lui. Una volta che fosse scivolato nel romanzo come attraverso uno specchio, era sfuggito per sempre. Non sarebbe mai esistito nella vita reale. Lo si sarebbe ridotto a nulla... Bisognava procedere in maniera più sottile. Così, ne Il Nero d'estate, la sola pagina del libro che potesse attirare l'attenzione di Annie Astrand era la scena in cui la donna e il bambino entrano nella cabina fotografica del viale del Palais. Lui non comprende perché lei lo spinga lì dentro. Lei gli dice di guardare fisso lo schermo e di non muovere la testa. Lei tira la tenda nera. Lui è seduto sullo sgabello. Un lampo lo abbaglia e gli fa chiudere gi occhi. Aspettano che le foto cadano nella fessura. E lui deve ricominciare perché sulle foto ha gli occhi chiusi. Poi, lei l'aveva portato a bere una granatina nel caffè lì vicino. Era andata proprio così. Aveva descritto la scena con esattezza e sapeva che quel passo non corrispondeva al resto del romanzo. Era un pezzo di realtà che aveva fatto passare di sotterfugio, uno di quei messaggi personali che si lanciano nei piccoli annunci dei giornali e che non possono essere decifrati se non da una sola persona.

Nessun commento: