1.
A ondate, ricordata dalla luce,
l’età dell’oro filtra nel presente
domenicale, a muovere la vita
come frusciando. Fedele, questa torcia
remota sempre accesa, che fa il giro
del mondo insieme a me
fissata con la cera su una spalla,
e che non ho mai visto per davvero,
se non riflessa nei carboni ardenti
e nei lampi degli occhi nella notte
e nelle labbra rosse che ho cercato,
fedele questa torcia mi sovrasta.
Porta l’età dell’oro nella pece
che cola lentamente, con tenacia
vischiosa, sulla schiena del tedoforo
ignaro che ha il mio volto; non ha effetti
sui mali della terra, ma lo stesso
fa profumo di resina e lambisce
vivi, morti e malati come uguali.
4.
Guardando le verdure,
il loro disfacimento composto
di fronte alle procedure,
mi chiedo se si può
dire di no alla morte:
se piano, se più forte,
se solo per amore.
6.
Come il cane che ha strappato il guinzaglio
il palloncino che si è strappato dal filo
se ne vanno nell’atmosfera corrono via
nella dissoluzione irrimediabile
e il bambinetto si è strappato il cuore
suonano male anche nei versi queste cose
non sono musicali da scrivere o dire
accadono per il male ed è incredibile
l’attimo, solo un attimo, e il prato è verde
uguale, il cielo è dipinto uguale eppure
la morte ha morsicato e quello
avrà sì e no cinque anni e non guarirà mai più
ha i pantaloni corti, è per mano a suo padre,
è una bambina, piange all’asilo, è molto bella,
è orfano, è musone, si picchia con tutti,
sono gli anni Sessanta, gli anni Settanta, gli anni Ottanta
si srotolano in eterno le fratellanze invisibili
stagliate nella pietra degli incidenti da niente
ti ricomprano il palloncino, riprendono il cane
tutto va a posto tranne il dolore-terrore
il cuore resta crepato non combacia più bene
e infine siamo qui grandi, a recitare fra la gente.
(da Poetarum Silva: per leggere altro,
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