Paolo Fresu, Musica dentro, Feltrinelli 2009 (185 pp., 14 €)
Uno dei capitoli più interessanti del recente libro di Claudio Sessa “Le età del jazz. I contemporanei” è quello sul jazz italiano. Sessa vi sostiene che i risultati migliori il jazz italiano li ha ottenuti negli anni '70 e soprattutto negli anni '80, quando furono prodotte le opere più interessanti e originali. Il prestigio e la fortuna degli ultimi 10-15 anni - nei quali i nostri jazzisti si sono guadagnati una posizione di indubbio privilegio in Europa, se non nel mondo - non sarebbero altro che l'onda lunga di quegli anni pionieristici, priva però di buona parte del mordente e dell'incisività.
Tra i protagonisti di quel periodo eroico c'è senz'altro Paolo Fresu, il quale, pur non avendo ancora compiuto i 50 anni, può vantare una carriera ormai quasi trentennale, iniziata nei primissimi anni '80. Il trombettista si era già raccontato a Enzo Gravante per "La Sardegna, il jazz" (Condaghes 2004) e a Luigi Onori in “Talkabout” (Stampa Alternativa 2007); ora sceglie di farlo in prima persona con questo “Musica dentro”.
“Una storia normale”, la definisce Fresu con il suo abituale understatement. In realtà è la storia di un ragazzo, figlio di pastori, cresciuto a Berchidda, paesino di tremila anime sperduto nel cuore della Sardegna, e arrivato ad essere uno dei più bravi, osannati e impegnati trombettisti jazz europei, leader di una dozzina di gruppi diversi, costantemente in viaggio, di casa in Francia come in Italia, con all'attivo una discografia imponente e una serie infinita di premi, riconoscimenti e collaborazioni illustri.
Il libro racconta l'infanzia contadina, la scoperta della musica nella banda del paese, l'amore per il jazz, i primi viaggi in continente all'inseguimento dei grandi maestri, i tanti incontri umani e musicali che hanno scandito le tappe della sua carriera. Lo fa in modo semplice, diretto, senza pose o divismi di sorta. La figura che emerge è quella di un uomo di grande intelligenza e apertura, e allo stesso tempo di un sardo profondamente legato alla sua terra (da più di vent'anni dirige a Berchidda “Time in Jazz”, uno dei festival più creativi dell'affollata scena estiva italiana).
Il racconto biografico si alterna a riflessioni sulla musica: l'importanza del suono, la fondamentale esperienza didattica (Fresu è anche fondatore e direttore dei corsi di jazz che si tengono ogni anno a Nuoro), fino a un capitolo – tra i più interessanti del libro – sul rapporto tra jazz e musiche etniche, in cui Fresu, con garbo ma anche con fermezza, stigmatizza la superficialità di tante operazioni di “contaminazione” più o meno modaiole.
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