sabato 6 giugno 2009

la vendetta di priapo


D'accordo, il senso dell'umorismo dei Romani era un po' diverso dal nostro, e ciò che li faceva ridere a noi sembra una comicità un tantino grassoccia.
Però io questa la adoro.
(Tanto per informazione, Canidia era probabilmente una fattucchiera napoletana e il suo vero nome pare fosse Gratidia; compare anche in due Epodi, il V e il XVII).

* * *

Satire, I, VIII

Una volta ero un tronco di fico, legno inutile,
quando il falegname, incerto se fare uno sgabello o un Priapo,
preferì il dio. E da allora sono un dio, gran terrore
di uccelli e ladri: i ladri li tengono a bada la mia destra
e il palo rosso che mi sporge dall'inguine osceno,
gli uccelli importuni li spaventa la canna piantata
sulla mia testa, e impedisce che si fermino nei nuovi giardini.
Qui prima gli schiavi portavano i cadaveri dei compagni, scacciati
dalle tombe anguste, e li ponevano in misere casse,
questa era la fossa comune della plebe più povera,
del buffone Pantolabo e di Nomentano scialacquatore;
un cippo prescriveva al cimitero mille piedi in larghezza,
trecento in lunghezza, e agli eredi non spettavano diritti sulla tomba.
Ora si può frequentare il salubre Esquilino, passeggiare
nella campagna soleggiata, dove prima si offriva lo spettacolo
triste di un campo incolto di ossa bianche.
Ma chi mi dà noia e mi affatica non sono tanto i ladri
o le bestie che infestano questo luogo,
ma quelle donne che rivoltano con filtri e incantesimi
l'animo umano: non ho modo di scacciarle,
né di impedire che, appena la luna vagante mostra il bel volto,
vengano in cerca di ossa e di erbe malefiche.
Io stesso ho visto Canidia aggirarsi, vestita
di un nero mantello, a piedi nudi, scarmigliata,
con Sàgana Maggiore che urlava: entrambe il pallore
faceva orrende a vedersi. Con le unghie scavarono
la terra, e sbranarono a morsi un'agnella scura,
sparsero il sangue nella fossa, per trarne
le ombre dei morti e ricevere responsi.
C'era un fantoccio di lana e un altro di cera: il più grande
era quello di lana, che ricevette meno tormenti,
ma quello di cera era in atto servile, come di chi
sta per morire. Una invoca Ecate, l'altra
la crudele Tisifone: avresti visto vagare
serpenti e cani infernali, e la luna celare il volto rosso
dietro i grandi sepolcri, per non assistere allo sconcio,
e se mento, i corvi mi imbrattino la testa
di merda bianca, e su di me vengano a pisciare e cacare
il sozzo Giulio, la molle Pediatia e Vorano il ladro.
Perché ricordare tutto? Come prima tristi poi acute
risuonarono le voci delle ombre che parlavano con Sàgana,
e come seppellirono una barba di lupo e un dente di serpe screziata
di nascosto nella terra, e come l'immagine di cera
bruciò di fiamme più grandi, e come non volli assistere
senza vendetta alle parole e agli atti delle due Furie?
E così, come una vescica che scoppia schiacciata, scorreggiai
con le mie natiche di fico, e le feci scappare fino in città.
A Canidia i denti, a Sàgana l'alta parrucca
caddero, e le erbe, e i lacci incantati.

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