Visualizzazione post con etichetta giulio cesare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta giulio cesare. Mostra tutti i post

sabato 28 gennaio 2012

recensioni in pillole 156 - "Giulio Cesare. Il dittatore democratico"

Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza 2009 (prima ed. 1999) (505 pp., € 11)

Uno dei segni più chiari della fama è l'antonomasia. È quel che è successo a personaggi come Cesare, Augusto, Napoleone, il cui nome si è identificato con il ruolo da essi ricoperto. Lo storico che voglia occuparsi di simili figure si trova a dover affrontare, oltre agli usuali problemi della ricerca, anche quello di confrontarsi con la leggenda che le circonda, scegliendo quando e in che misura aderirvi o confutarla.
In un caso come quello di Cesare, poi, si pone un'ulteriore questione: quella della critica delle fonti, ossia quel delicato ma indispensabile lavoro che ogni storico serio deve compiere, consistente nello sceverare le informazioni esatte da quelle errate, le notizie attendibili da quelle (più o meno volontariamente) corrotte. Compito ancor più intricato quando le fonti superstiti provengono in larghissima maggioranza dalla parte del vincitore, cioè Cesare stesso, e le poche voci contrarie, già fioche in origine, sono state ulteriormente affievolite dal tempo e dai guasti della tradizione manoscritta.
Tutto ciò per dire che questa biografia del dittatore è anche e soprattutto un continuo e serrato confronto con il mito di Cesare, da una parte, e con la propaganda di Cesare (e dei suoi eredi) dall'altra. Canfora, del resto, è uno storico di vaglia e sa esimersi dalle due tentazioni opposte: aderire entusiasticamente al mito, o demolirlo per partito preso.
Molti capitoli sono un vero e proprio gioco di fioretto con le fonti, con quel che ci dicono e soprattutto non ci dicono. Penso ad esempio ai capitoli dedicati ad avvenimenti cruciali come la congiura di Catilina (nella quale il giovane Cesare fu con ogni probabilità coinvolto) o la guerra in Gallia (dove la sete di gloria cesariana fu pagata con un numero spaventoso di morti, calcolato intorno al milione, perlopiù civili inermi e innocenti) o le intricate vicende della congiura e della successione.
Ciò che viene fuori, da queste cinquecento pagine, è il ritratto di un uomo intelligente, ambizioso e spregiudicato, capace di servirsi con suprema abilità dei meccanismi politici del suo tempo, nei quali erano moneta corrente la corruzione, lo sfruttamento delle reti clientelari e persino l'assassinio.
Del resto, io non sarei tanto sicuro che molto sia cambiato, da allora. Forse, come diceva Goethe – citato da Canfora stesso – siamo solo diventati “troppo civili”: ci fa senso ammettere quel che invece i Romani avevano, almeno, l'onestà di dire e fare alla luce del sole.

venerdì 13 gennaio 2012

corsi e ricorsi storici (ovvero: la seconda volta è sempre una farsa)


Testimone diretto della battaglia di Farsalo, Asinio [Pollione] [...] ricordava e affidava ai posteri le parole che Cesare aveva pronunciato al cospetto del campo coperto delle migliaia di corpi dell'esercito sconfitto: "Lo hanno voluto loro! Se io, Gaio Cesare, compiute così grandi imprese, non avessi fatto ricorso ai miei soldati, sarei stato trascinato davanti a un tribunale e condannato" [citato in Svetonio, Cesare, 30, 4: "haec eum ad verbum dixisse: Hoc voluerunt; tantis rebus gestis, Gaius Caesar condemnatus essem, nisi ab exercitu auxilium petissem"]. Asinio scrive circa vent'anni dopo Farsalo e registra quelle parole perché esse racchiudono una cruda presa di posizione da parte di Cesare: se non avessi fatto ricorso alla insurrezione, se mi fossi piegato, anziché ricorrere "all'aiuto dei soldati", sarei stato portato - ormai privatus [privato cittadino] - davanti a un tribunale e distrutto per via giudiziaria. Si deve certamente ad Asinio la precisazione, che leggiamo in Svetonio, che quelle erano state esattamente (ad verbum) le parole di Cesare: una precisazione che si spiega con il rilievo che Asinio attribuiva (non a torto) a quella dichiarazione autentica, fatta in un momento solenne e tragico di fronte a un campo disseminato di morti, concittadini. E invero quella dichiarazione così aspra, e così circostanziata, forniva una chiave per interpretare la scelta cesariana di accettare la sfida fino al passo estremo della insurrezione contro la repubblica: era stata, per Cesare, l'unica via per scampare alla certa, e forse distruttiva, persecuzione giudiziaria che i suoi avversari tenacemente tenevano in serbo da quasi dieci anni.

Così Asinio, fonte non sospetta [in quanto di parte cesariana], faceva conoscere, dopo vent'anni, la vera ragione, da Cesare stesso dichiarata, della scelta di rottura compiuta nel gennaio del 49. E smentiva, ovviamente, in questo modo, la propaganda cesariana affidata ai commentarii, dove campeggia - come causa del conflitto - la difesa dei diritti dei tribuni [Svetonio liquida questa versione dei fatti, cara a Cesare, come "praetextum" (Cesare 30, 19)] e la difesa della sua personale dignitas, offesa.
Svetonio, [...] al tempo stesso, fornisce dati di fatto che completano il quadro e aiutano a capire. Ci fa sapere, ad esempio, che Catone aveva ripetutamente promesso, "confermandolo con un giuramento", che avrebbe denunciato Cesare, "non appena questi avesse licenziato le truppe", e lo avrebbe trascinato in giudizio per le illegalità commesse durante il consolato del 59. Allora non era stato possibile: dall'imperium consolare Cesare era passato senza soluzione di continuità ai poteri, a lungo, protratti, di proconsole: e infatti puntava (fino ad un certo momento con l'accordo di Pompeo) ad una elezione in absentia onde passare daccapo, senza interruzioni, dal proconsolato al secondo consolato e così rimanere giudiziariamente inattingibile. "Nel popolo - commenta Svetonio - si diceva che, se fosse ritornato come privato cittadino, avrebbe dovuto [...] difendersi davanti ai giudici, in un tribunale circondato da guardie armate". E qui soggiunge che proprio la testimonianza di Asinio - il quale riferiva quelle schiette e crude parole, dette da Cesare in cerchia ristretta al momento stesso della vittoria - sembra confermare che quella diffusa diagnosi sulla vera causa della guerra civile cogliesse nel segno.

Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza 2009, pp. 149-151