Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza 2009 (prima ed. 1999) (505 pp., € 11)
Uno dei segni più chiari della fama è l'antonomasia. È quel che è successo a personaggi come Cesare, Augusto, Napoleone, il cui nome si è identificato con il ruolo da essi ricoperto. Lo storico che voglia occuparsi di simili figure si trova a dover affrontare, oltre agli usuali problemi della ricerca, anche quello di confrontarsi con la leggenda che le circonda, scegliendo quando e in che misura aderirvi o confutarla.
In un caso come quello di Cesare, poi, si pone un'ulteriore questione: quella della critica delle fonti, ossia quel delicato ma indispensabile lavoro che ogni storico serio deve compiere, consistente nello sceverare le informazioni esatte da quelle errate, le notizie attendibili da quelle (più o meno volontariamente) corrotte. Compito ancor più intricato quando le fonti superstiti provengono in larghissima maggioranza dalla parte del vincitore, cioè Cesare stesso, e le poche voci contrarie, già fioche in origine, sono state ulteriormente affievolite dal tempo e dai guasti della tradizione manoscritta.
Tutto ciò per dire che questa biografia del dittatore è anche e soprattutto un continuo e serrato confronto con il mito di Cesare, da una parte, e con la propaganda di Cesare (e dei suoi eredi) dall'altra. Canfora, del resto, è uno storico di vaglia e sa esimersi dalle due tentazioni opposte: aderire entusiasticamente al mito, o demolirlo per partito preso.
Molti capitoli sono un vero e proprio gioco di fioretto con le fonti, con quel che ci dicono e soprattutto non ci dicono. Penso ad esempio ai capitoli dedicati ad avvenimenti cruciali come la congiura di Catilina (nella quale il giovane Cesare fu con ogni probabilità coinvolto) o la guerra in Gallia (dove la sete di gloria cesariana fu pagata con un numero spaventoso di morti, calcolato intorno al milione, perlopiù civili inermi e innocenti) o le intricate vicende della congiura e della successione.
Ciò che viene fuori, da queste cinquecento pagine, è il ritratto di un uomo intelligente, ambizioso e spregiudicato, capace di servirsi con suprema abilità dei meccanismi politici del suo tempo, nei quali erano moneta corrente la corruzione, lo sfruttamento delle reti clientelari e persino l'assassinio.
Del resto, io non sarei tanto sicuro che molto sia cambiato, da allora. Forse, come diceva Goethe – citato da Canfora stesso – siamo solo diventati “troppo civili”: ci fa senso ammettere quel che invece i Romani avevano, almeno, l'onestà di dire e fare alla luce del sole.
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