giovedì 15 ottobre 2015

suonare

Suonare Bach.
Sdoppiamento, anzi moltiplicazione percettiva. Quasi che ogni mano, ogni dito, starei per dire ogni falange, assuma una vita propria, e insieme sia posseduto, guidato dalle meccaniche celesti verso percorsi inevitabili
("Nella musica di Bach non esiste l'ansia", ha detto qualcuno; ed è verissimo).




Suonare Beethoven.
La fatica muscolare, il duro lavoro del pensiero. Le mani che vorrebbero trasformarsi in un'intera orchestra.
(Beethoven era famoso per distruggere pianoforti a catena.)




Suonare Chopin.
I polpastrelli che assumono una vibratilità estrema, sensibili alle minime variazioni di tocco e di colore.
(Chopin faceva ripetere ai suoi allievi certi passaggi - a volte persino certe singole note - decine, centinaia di volte, alla ricerca spasmodica del suono che fosse il suono).




Suonare Mozart.
La purezza delle linee, sulle quali ogni minimo errore risalta quasi intollerabile, come una macchia d'unto su un bicchiere di cristallo lucido.
(Eppure esiste un Mozart drammatico, addirittura luciferino.)


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