L'azzurro restava ad altri due, un uomo e una donna.
Per ora. La macchina andava bene. Dimmi che è così
o faccio qualcosa di imprevedibile, ti penso
o magari mi rimetto a dormire con l'accappatoio
che ci avevano rubato in un vecchio sentimento
davanti al cielo del dopocena. Che buono il latte al buio.
Che freddo almeno da cui non perderti, piangi nella vasca.
Tu sì che sai stare in macchina.
I tavolini vanno ripasssati, non vede?
e non mi parli con quella lingua, o me la invento.
Aspettami dentro, nell'azzurro, sì, se ne resta,
se ti interessa. Quel volto non è giusto, però,
anch'io ho sonno, e ho fatto tutte le telefonate fattibili...
La cena basterà. E l'autunno di una notte,
la notte di sempre che riprende per poco
nel sonno, nell'azzurro, anche noi non più noi,
si avvicinerà da una finestra, aspetta.
Libera la mano da tutto. "Sii contenta".
(da "Le cose non accadono", Atelier, 21, marzo 2001)
* * *
Lu dialètt
"Ardìll' n'ata vòt'", m' sfuttèv'n'
l' guajùn' d'lu paès. I' ci arpruvàv:
"Banchìt". E r'dev'n', p'chè aghèss
i' ci iav sol' dù tre misch l'ann'
e c' tùtt' parlàv' l'italiàn'.
"Nòn; t' dà mbarà: 'bban-ghì-tt'".
E m'arfr'càv'n'. "Arvàtt'n' a Milàn,
cu'". Nu cardill' candàv' dendr'a na gabbja.
Armanèv sul'. Màngh ghì l' sapèv allòr'
ch'i' sòngh su dialètt.
Il dialetto. "Ridillo un'altra volta", mi sfottevano / i bambini del paese. Riprovavo: / "Panchetta". E ridevano, perché lì / andavo solo due tre mesi l'anno / e con tutti parlavo italiano. / "Noo; devi imparare: 'Pan-chet-ta'" / E mi rifacevano il verso. "Tornatene a Milano, / corri". Un uccellino cantava in una gabbia. / Restavo solo. Neanch'io lo sapevo allora / che io sono quel dialetto.
(dialetto di Petacciato, Campobasso)
(da "Nind", Edizioni Atelier, 2002)
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