"Una inexplebilis cupiditas me tenet, quam frenare hactenus nec potui certe nec volui; michi enim interblandior honestarum rerum non inhonestam esse cupidinem. Expectas audire morbi genus? libris satiari nequeo. Et habeo plures forte quam oportet; sed sicut in ceteris rebus, sic et in libris accidit: querendi successus avaritie calcar est. uinimo, singulare quiddam in libris est: aurum, argentum, gemme, purpurea vestis, marmorea domus, cultus ager, picte tabule, phaleratus sonipes, ceteraque id genus, mutam habent et superficiariam voluptatem; libri medullitus delectant, colloquuntur, consulunt et viva quadam nobis atque arguta familiaritate iunguntur, neque solum se se lectoribus quisque suis insinuat, sed et aliorum nomen ingerit et alter alterius desiderium facit."
Sono dominato da una passione insaziabile, che fino ad oggi non ho potuto né voluto frenare, convinto come sono che il desiderio di cose oneste non può esser disonesto. Vuoi tu sapere di che malattia si tratti? non mi sazio mai di libri. Eppure, ne ho più del bisogno; ma accade dei libri come delle altre cose: il riuscire a far danaro è sprone all'avarizia. Anzi nei libri c'è qualcosa di singolare: l'oro, l'argento, le gemme, le vesti di porpora, le case adorne di marmi, i campi ben coltivati, i dipinti, i cavalli ben bardati, e le altre cose di questo genere danno un piacere muto e superficiale; i libri dilettano nel fondo dell'animo, parlano con noi, ci consigliano e con noi si uniscono con viva e vivace familiarità; né solamente ciascuno di essi penetra nell'animo del lettore, ma suggerisce il nome di altri; e l'uno gli dà il desiderio dell'altro.
(Petrarca, Familiares, III, 18)
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