Poi arrivò il giorno. Uomo fin troppo fornito di talenti sviluppati a metà, Jones aveva sempre strimpellato uno o due strumenti, e una volta tirò fuori il suo vecchio clarinetto metallico e lo suonò con insistenza per uno o due pomeriggi all'orso in via di sviluppo. Suonò un po' di Sousa, una specie di blues, un quasi-klezmer, un'impressione di musica da danza del ventre, un sacco di spizzichi di questo e di quello che conosceva. Forse ti posso insegnare a ballare, gli disse. Suono piuttosto bene, vero? Nonostante qualche occasionale fischio e squittio? L'ancia è una rottura di palle da controllare certe volte. Forse è questo che possiamo fare noi due da grandi. Io suonerò, tu ballerai, ci guadagneremo il pane e ce ne andremo in pensione in campagna come due gran signori. Che ne dici? So che sembra uno scherzo, ma come sarebbe se fosse un vero progetto di vita? Pensi che potrei insegnarti a suonare con me? Perché, amico, sono stufo di servire ai tavoli. Te lo dico, orso, io ho un cuore da artista. L'ho sempre avuto. Jones suonò un altro mozzicone di brano sul clarinetto e terminò il fraseggio su un acuto interrogativo. Che ne pensi? Che ne pensi davvero?
Il cucciolo d'orso si alzò sulle zampe
posteriori, barcollò fino a Jones, gli strappò lo strumento dalle
mani e disse, “Penso che se devo sentirti torturare questo povero
oggetto per altri cinque minuti finisce che impazzisco”.
Jones boccheggiò e fu sul punto di
cadere. “Acc”, disse.
“Vuoi dirmi che non l'avevi mai
capito?”, gli chiese l'Orso, esaminando tranquillamente l'ancia del
clarinetto.
“C'erano stati degli indizi”, fu
tutto ciò che Jones riuscì a dire con la gola strozzata. Era la
conversazione più strana che avesse mai avuto, e non sapeva quale
tono adottare. La civile indignazione chiaramente non stava
funzionando. Rimescolò il suo mazzo di ruoli e di voci e non trovò
una carta da giocare. “Indizi”, ripetè in una voce che riconobbe
a malapena come la sua.
“Già”, disse l'Orso. “Ne ho
seminati un po' per te ma tu sembravi un tantino, ehm, tardo a
coglierli”.
“Un tantino cosa?”
disse Jones, sbalordito per l'insulto, l'offesa, l'affronto alla
sua...
“So
che è un grosso salto concettuale e così via ma pensavo che tu fossi
un po', come dire, duro di comprendonio, e stavo per lasciar perdere.
Voglio dire, forse non eri all'altezza”.
“Oh
grazie mille”.
“Ma
il clarinetto è stata l'ultima goccia”, disse l'Orso. “Dovevi
essere fermato. Ed eccoci qui, felici e contenti”, parafrasò uno
dei dischi di Lord Buckley di Jones, rifacendone la voce, “vero
o no?”
“C-che
cosa sei tu?”, protestò assurdamente Jones, con la mano che gli
fluttuava alla fine di un ridicolo braccio. “Una specie di esperto
di clarinetti?”
“Esperto
sarebbe una parola troppo forte”, disse l'Orso. Si inumidì
l'estremità del grugno, poi suonò le battute iniziali del
clarinetto nel quintetto K.581 di Mozart, fino al primo arpeggio, con
il ritmo sottolineato graziosamente e il respiro ben controllato ma
con qualche incoerenza nella produzione sonora fra i diversi registri
dello strumento: Mozart non era semplice come sembrava. Alla fine
dell'arpeggio proseguì con “Au Privave” di Charlie Parker e
improvvisò due giri niente male prima di abbassare il clarinetto
dalle labbra distese color nero e porpora. “Quando tu esci a fare
il cameriere sposto il divano e strappo le tende per dare un tocco di
realismo. Ma per la maggior parte del tempo leggo libri o mi esercito
sullo strumento. Preferirei un sax, sai. Probabilmente un contralto
sarebbe più adatto a me, ma è difficile dirlo senza provarne uno”.
“Ti
sei esercitato mentre io ero fuori”, riuscì a dire coerentemente
Jones con la sua voce.
“Te
l'ho appena detto”.
“Mi
sa che ho bisogno di un drink”, disse Jones.
“Siediti
e te ne preparo uno. C'è rimasto abbastanza scotch per farne uno
secco. Il solito mezzo cubetto di ghiaccio e uno spruzzo di soda? Il
whisky è già annacquato. Ogni tanto ne prendo un po' e rimetto la
differenza dal rubinetto. Non mi sembra che tu ne sia mai accorto.
Non sei un grande intenditore, a quanto pare. Sei sicuro di volere un
drink? Non hai una costituzione molto forte e questa roba non va bene
per te”.
Non
molto più di un cucciolo, aveva pensato di dire Jones ma rimase in
silenzio, e già questa cazzo di arroganza.
“Guarda”,
disse l'Orso quando tornò con il drink, come se avesse letto nel
pensiero di Jones, “se non mi piacessi non starei a parlare con te,
per prima cosa. Anch'io sono nervoso al riguardo. Sto cercando di
compensare un po' troppo. Non sono tanto sicuro di me come sembro. Anche
per me è un grosso salto. Una rottura delle tradizioni familiari.
Voglio dire, è ovvio che dal punto di vista pratico sei un cazzo di
casino, ma hai un cuore buono, ed è a questo che reagisco”.
“Io
ti piaccio?”
“Perché
non dovrei? Sei uno dei pochi veri gentiluomini nella razza umana”.
“Lo
sono?”
“Fidati.
Per generazioni la mia gente ha conosciuto ogni sorta di crudeltà
umana. Tu non sei uno di Loro. Sei un brav'uomo. Non faresti male a
una mosca".
“Sono
un brav'uomo”, ripetè Jones in una sorta di stupore.
“Bevici
sopra e abituati all'idea. Adesso sei L'Uomo Che Possiede Un Orso
Parlante”.
“Possedere?
Come potrei mai possederti?”
“Come
volevasi dimostrare”, gli disse l'Orso, “ma la tua vita è
comunque decisa. Perciò dimmi, che cosa facciamo adesso?”
Jones
si sveglio anni dopo sul divano, guardando il libro non letto sul
grembo. Che libro è questo? Perché sento così potentemente il tuo
odore oggi? Mi sono già seduto su questo divano. Sei ancora da
qualche parte lì fuori? È possibile che tu sia ancora vivo? È
possibile che tu stia cercando di dirmi qualcosa?
Signore benedetto, si rese conto, sono in ritardo per il lavoro.
Signore benedetto, si rese conto, sono in ritardo per il lavoro.
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