lunedì 21 febbraio 2011

visioni - 3


Gran Torino (2008), di Clint Eastwood (116')
(DVD, domenica 20 febbraio 2011)

Lo so, ormai è di prammatica osannare l'ultimo Eastwood: di conseguenza, è anche very cool parlarne male. Però a me delle mode me ne frega assai poco, e se un film mi piace, mi piace, sennò ciccia.
Detto questo: io volevo vedere “Gli spietati”, solo che per qualche motivo nel dvd l'audio in italiano non funzionava, e il film era solo in francese o in inglese. Ora, con il francese manco ci provo; con l'inglese me la cavo discretamente, ma devo essere concentrato, ed è difficile concentrarsi mentre si stira (sì, ho passato il pomeriggio di domenica a smaltire un mucchio di panni da stirare, mentre la moglie stava dietro ai marmocchi). Quindi è andata con “Gran Torino”.
Venendo al film: Walt Kowalski (Eastwood) è un reduce dalla guerra di Corea, un uomo invecchiato male, burbero, xenofobo, nemico del mondo, tormentato dai ricordi della guerra. Da poco è rimasto vedovo, il suo quartiere si è riempito di asiatici, che lui disprezza. I suoi unici affetti sono un cane e una macchina sportiva, la Ford "Gran Torino" che dà il titolo al film.
Finché un giorno, per puro caso, Walt salva il figlio dei vicini, un adolescente timido e insicuro, dall'aggressione di un gruppo di teppisti. Diventa, suo malgrado, l'eroe della locale comunità di immigrati (si tratta degli Hmong, un'antichissima etnia diffusa tra la Cina e il Sud-Est asiatico).
Il rapporto tra l'uomo e il ragazzo è quello che ci si può aspettare: il ragazzo impara a diventare uomo, l'uomo esce a poco a poco dalla sua astiosa solitudine. Ma davanti a Walt tornano a pararsi davanti i fantasmi della violenza, imponendogli una scelta: restare schiavo del passato, oppure trovare una strada nuova.
Il finale, ovviamente, non si rivela, ma basti dire che è la più radicale negazione dello stereotipo del duro Callaghan-style, a cui Eastwood è associato. Un finale cristiano, nel senso più alto e più puro del termine.
Il film è asciutto, essenziale: sceneggiatura millimetrica, personaggi perfetti, interpretazioni senza una sbavatura, regia tanto più magistrale in quanto quasi invisibile. Un film morale senza mai essere moralista, commovente senza essere melenso, ricco di una sua sottile e sorniona ironia.
Dicevo che è très chic parlar male di Eastwood, ma io che posso farci? Un capolavoro è un capolavoro.

1 commento:

amanda ha detto...

me lo sono persa al cinema, ogni volta che vado al noleggio è fuori, ora mi è tornata la voglia di tornare alla carica