Ivo Milazzo/Fabrizio Càlzia, Uomo Faber, La Repubblica-L'Espresso, 2010 (pp. 107 + 12 non num., € 9,90)
De Andrè, De Andrè, De Andrè, tutti lo cercano, tutti lo vogliono, tutti lo rivendicano, persino quelli a cui lui in vita avrebbe sputato in faccia. Libri, tesi di laurea, dvd, raccolte, dischi di cover: ormai gli omaggi non si contano più.
È un bene? È un male? Certo, ormai De Andrè sembra trasformato in un santino laico (e forse nemmeno tanto laico), ma in fondo non è questo lo scotto da pagare per la grandezza?
Detto questo: Fabrizio Càlzia e Ivo Milazzo sono genovesi come De Andrè. Il primo è uno scrittore che (a quanto apprendo da una rapida ricerca sul web) finora si è occupato soprattutto di calcio. Il secondo è uno dei maestri del fumetto italiano (vi dice niente il nome “Ken Parker”?).
Per fortuna, questo “Uomo Faber” non è una biografia. Dico "per fortuna" perché, per motivi che sarebbe lungo spiegare, ho sempre avuto in forte sospetto le biografie romanzate (o, in questo caso, "fumettate").
La narrazione parte con De Andrè che, alla vigilia di una delle sue ultime tournée, parte all'improvviso per tornare sui luoghi della sua infanzia: e lì, ospite di Nina, la sua vecchia amica degli anni d'infanzia (quella di “Ho visto Nina volare”, per intenderci) parte un viaggio onirico all'interno della sua vita e della sua musica.
C'è la Genova degli anni Cinquanta, l'attrazione per i reietti, ci sono gli amici di gioventù, il rapporto tormentato con la famiglia, c'è Mauro Pagani, c'è il rapimento in Sardegna, il tutto impastato con il lievito surreale del sogno.
Qualche tono un po' agiografico di tanto in tanto scappa, e in certi punti il testo è fin troppo didascalico, ma i disegni di Milazzo valgono da soli la spesa, e tutto sommato il ritratto di De Andrè che ne esce è molto più accurato, sfaccettato e riuscito di tante altre cose che si leggono in giro.
(L'introduzione, purtroppo, è di Vincenzo Mollica, ma si può sopravvivere a ben altro).
Potrà bastare…
6 ore fa
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