Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Garzanti 1976 (prima ed. 1961)
Le poesie che compongono "La religione del mio tempo" furono scritte tra il 1955 e il 1960. Sono anni cruciali per Pasolini: la pubblicazione di "Una vita violenta" (1958), le prime esperienze cinematografiche, l'impegno per la rivista "Officina" (insieme a Roversi, Leonetti, Fortini), il processo per oscenità contro "Ragazzi di vita", la scrittura dei saggi poi confluiti in "Passione e ideologia" (1960).
Ma soprattutto sono gli anni in cui prende forma quella "mutazione antropologica" che diventerà il leitmotiv della sua produzione successiva.
Il libro riflette tutto ciò: un libro denso, quindi, anche contraddittorio, ma singolarmente ricco di fermenti.
Il lungo poema “La ricchezza” (1955-59), insieme a quello eponimo, del 1957-59, suonano come un'approfondimento e insieme una rilettura (auto)critica de “Le ceneri di Gramsci”, un bilancio dei suoi anni romani e un'amara constatazione del fallimento di tutte le speranze che avevano animato la sua generazione nel dopoguerra (“il doloroso stupore / di sapere che tutta quella luce, / per cui vivemmo, fu soltanto un sogno / ingiustificato, inoggettivo, fonte / ora di solitarie, vergognose lacrime.”).
In “A un ragazzo” (1956-57), uno dei vertici lirici del libro, tornano le immagini struggenti del passato friulano e il ricordo del fratello Guido, partito per unirsi ai partigiani e morto il 7 febbraio 1945, nel famigerato eccidio di Porzus.
Gli affilati, irosi versi di “Umiliato e offeso” (1958) e di “Nuovi epigrammi” (1958-59) profilano già il Pasolini degli anni Sessanta, il polemista infuocato e apocalittico, che si rivela appieno nelle cinque “Poesie incivili” (luglio 1960) che chiudono il volume.
L'ultimo verso dell'ultima poesia termina con la parola “rabbia”, ma il senso che aleggia su tutto è quello della tragedia, della sconfitta, del vuoto. Il capitalismo ha trionfato, l'Eden contadino della giovinezza friulana è ormai scomparso, la Resistenza è già dimenticata, il proletariato innocente e pagano vagheggiato negli anni Cinquanta non si è dimostrato diverso dalla borghesia a cui avrebbe dovuto opporsi.
Il fallimento delle ideologie si incrocia e sovrappone al fallimento interiore, privato, e più volte si affaccia un senso di disfatta, un cupio dissolvi che la passione – politica e umana – fa sempre più fatica a combattere.
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