mercoledì 29 luglio 2009

profezia

Probabilmente De Andrè si sarebbe messo a ridere.
Quanto a me, l'ultimo mio desiderio è contribuire alla sua riduzione in santino, che mi pare sia già arrivata a uno stadio piuttosto avanzato.
Però, come si fa ad ascoltare questa canzone e a non pensare che quest'uomo, quasi vent'anni fa, ancora sulla soglia di quella discesa nel fango che sono stati gli anni Novanta, aveva già capito tutto?
Perché c'è già tutto: la morte degli ideali, la volgarità imperante, le conversioni e le autoassoluzioni, la tragedia mascherata a festa, la "pace terrificante" che oggi stiamo vivendo.
Una sola cosa è sbagliata: gli ultimi versi. Il cuore d'Italia non si è levato, nessuno ha protestato, e nessuno sembra intenzionato a farlo.



La domenica delle salme
(da "Le Nuvole", 1990)


Tentò la fuga in tram verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata dove galleggia Milano
non fu difficile seguirlo il poeta della Baggina
la sua anima accesa mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba un pettirosso da combattimento

I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta ne era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutti il culo
la piramide di Cheope volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso schiavo per schiavo comunista per comunista

La domenica delle salme non si udirono fucilate
il gas esilarante presidiava le strade
la domenica delle salme si portò via tutti i pensieri
e le regine del "tua culpa" affollarono i parrucchieri

Nell’assolata galera patria il secondo secondino
disse a Baffi di Sego che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l’amputazione della gamba
di Renato Curcio il carbonaro
il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile

La domenica delle salme nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro del defunto ideale
la domenica delle salme si sentiva cantare
quant’è bella giovinezza non vogliamo più invecchiare

Gli ultimi viandanti si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta poi ci mandarono a cagare
voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti e dai padri Maristi
voi avete voci potenti lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti adatte per il vaffanculo

La domenica delle salme gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia
la domenica delle salme fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni di una pace terrificante

mentre il cuore d’Italia da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro di vibrante protesta

4 commenti:

lillo ha detto...

ma se fai attenzione anche gli ultimi versi sono irridenti! quando parla dei cori di protesta che si levano tutto quello che si sente sollevarsi è il canto delle cicale!

sergio pasquandrea ha detto...

Io, più che irridenti, li sento come sottilmente ambigui.
Non so se hai mai sentito il disco originale in vinile, ma lì quel coro di cicale chiudeva il lato A.
Ora, il disco è diviso in maniera abbastanza netta: il lato A è aperto e chiuso da quel suono di cicale ed è cantato interamente in italiano. I personaggi sono farseschi, ridicoli: il commerciante impazzito di "Ottocento", il sordido secondino di "Don Raffaè", l'umanità degradata de "La domenica delle salme". Tutti, in fondo, sono complici delle "nuvole", di quei potenti che "oscurano il cielo".
Contro di loro, la voce della protesta è inutile, ma anche non arginabile, come quella delle cicale in un campo.
Il lato B, invece, è interamente in dialetto, e i protagonisti sono proprio gli oppressi: l'ipocondriaco di "Megu megun", il candido innamorato di "Nova gelusia", il cuoco di "A çimma", i due inverosimili amanti di "Monti di Mola".
Appartengono a una sorta di umanità arcaica, sommersa, incapace di ribellarsi o di concepire la stessa rivolta, ma in fondo ho l'impressione che sia proprio in quelle "cicale", in quei piccoli uomini, che De Andrè vede l'unica luce possibile.

io ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
io ha detto...
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