Giorgio Rimondi, Il suono in figure. Pensare con la musica, Scuola di Cultura Contemporanea Mantova, 2008, € 20Lo confesso: ho un problema.
Il mio problema è il
filosofese, ossia quel gergo che ha come caratteristica essenziale quella di ammantare la realtà con oscure terminologie e metafore astruse, con l'intento di catturarne chissà quali profondità ontologiche; quasi che parlare, non so, di “agonico tendersi verso l'in-verarsi di un'appercezione” volesse davvero dire qualcosa.
Lo dico perché Rimondi, almeno per i miei gusti, spesso sfiora pericolosamente il ciglio del filosofese, ad esempio in passaggi come (parlando dei diari di viaggio): “la loro iscrizione in un dispositivo testuale comporta un riassetto di ordine retorico, che impone di trasformare l'esperienza diretta in una comunicazione attraverso i segni. Sicché il resoconto si costituisce come personale disponibilità a mescolare (e con-fondere) tracce e momenti veridici con effetti mnestici e psichici, poiché chi racconta un accadimento in realtà lo reinventa, innescando un irreversibile processo di alterazione”.
Però la densità e l'interesse di questo libro è tale da farmi vincere persino quest'idiosincrasia (e ammetto che l'esempio non è rappresentativo dello stile dell'intero libro).
Quel che Rimondi vuol fare non è né “critica musicale” nel senso tecnico del termine, né tantomeno “storia del jazz”. Piuttosto, gli interessa rintracciare e delimitare linee di forza, prospettive concettuali, grimaldelli che permettano di gettare luce su quella “singolarità” che il jazz rappresenta nella cultura del Novecento. L'approccio è quindi interdisciplinare: critica musicale e letteraria, filosofia e fotografia, antropologia e psicoanalisi.
I temi vanno dal conflitto tra “colto” e “popolare” (con un ripensamento della celebre stroncatura del jazz da parte di T. W. Adorno) alla la ricezione delle musiche afroamericane nella letteratura italiana, dal rapporto tra voce e corpo alla rappresentazione del jazz nel cinema, dalla concezione jazzistica del tempo (non solo musicale) al mito dell'Africa come “madre primigenia”.
La seconda parte del libro (“Dialoghi”) contiene interviste realizzate negli anni con personaggi disparati: musicisti di vari ambiti (classico, etnico, jazz), filosofi, poeti, musicologi, antropologi, eccetera.
Un libro stimolante, la cui lettura merita anche la fatica di superare certe asprezze stilistiche.
2 commenti:
A
U
G
U
R
I
Altrettanto. Alla prossima.
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