Nelle mie intenzioni originarie, questo blog doveva parlare soprattutto di musica, e soprattutto di jazz. Poi le cose hanno preso un'altra piega, e in fondo è anche giusto così.
Però adesso è ora di tornare a parlare un po' di jazz.
Leggo sul "Giornale della Musica" di questo mese che la Dejavu ha ripubblicato due dischi del quintetto di Gianni Basso e Oscar Valdambrini ("Basso-Valdambrini Quintet" e "Basso-Valdambrini Quintet plus Dino Piana").
Applausi alliniziativa: Basso e Valdambrini non furono certo i primi jazzisti italiani (basta leggere il fondamentale "Il jazz in Italia" di Adriano Mazzoletti, uscito nel 2004 per EDT, per scoprire che le nuove sonorità nere arrivarono in Italia prestissimo, già negli anni '20, e nel decennio successivo c'erano orchestre capaci di cavarsela egregiamente anche in confronto con le contemporanee formazioni americane: la benemerita Riviera Records ristampa da anni molto di quel materiale), ma sicuramente il loro gruppo fu uno dei primi a proporre jazz moderno, confrontandosi direttamente con i musicisti americani, sui dischi ma anche dal vivo, rielaborando la lezione del bebop, del cool e dell'hardbop ed eseguendola con una perizia strumentale sulla quale ancor oggi c'è ben poco da eccepire.
Gianni Basso suonava il sax, Oscar Valdambrini la tromba, al pianoforte c'era Renato Sellani, al contrabbasso Giorgio Azzolini e alla batteria Gianni Cazzola. Successivamente, si aggiunse il trombone di Dino Piana, portando il gruppo a sestetto. Tutti ancora vivi e attivi, tranne Valdambrini che è scomparso una decina d'anni fa.
Insieme a loro c'era tutta una generazione di pionieri: Franco Cerri, Piero Piccioni, Umberto Cesàri, Gil Cuppini, Nunzio Rotondo, Carlo Loffredo, Gegè Munari, Armando Trovajoli, Flavio Ambrosetti, Giampiero Boneschi, Eraldo Volontè.
Nomi che rischiano di essere dimenticati, nonostante molti di loro siano ancora in attività.
Siano benedette le ristampe.
sulla Lettura
4 ore fa
2 commenti:
ma mi raccomando, parla anche d'altro, scrivi troppo bene ed io di jazz ne capisco poco..ma quando lo sento lo sento molto..allora, quasi quasi leggo pure su jazz..
Ed è straordinario rilevare,ascoltando le riedizioni RJR,come il jazz italiano di quegli anni non avesse nulla da invidiare alle migliori produzioni americane.Quella di Mazzoletti è una grande operazione culturale ed a lui bisognerà,prima o dopo,rendere il giusto merito.
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