Agata Spinelli* mi ha intervistato su Facebook.
Per chi non ha Facebook, ecco qui sotto l'intervista.
(* Voi non sapete chi sia Agata Spinelli perché si rifiuta di pubblicare le cose - secondo me molto belle, da quel che ho letto - che scrive.)
* * *
Sergio Pasquandrea, tu chi sei?
Chi sono per chi?,
sarebbe la domanda giusta da fare. Perché, a seconda dell'occasione,
della compagnia, del giorno e dell'ora, io sono un professore di
lettere, un critico musicale, un pianista dilettante, uno a cui ogni
tanto capita di scrivere poesie ("poeta" mi pare un parolone), un papà,
un marito, uno che si diverte a disegnare, un ex-ricercatore
universitario... e potrei andare avanti a lungo. Si potrebbe dire che
coltivo una sana forma di schizofrenia con personalità multiple. Oppure
che, come ogni essere umano, sono un aggregato di identità diverse, la
cui convivenza si regge su equilibri precari, sempre pronti a slittare e
a mescidarsi.
Se poi vuoi una descrizione oggettiva: 43 anni,
maschio, pugliese di nascita, umbro d'adozione ormai da un quarto di
secolo, 1 metro e 89 per 95 chili, occhi e capelli color castano scuro;
segni particolari: fossetta sul mento. Professione: insegnante, stato
civile: coniugato. Potrei aggiungere codice fiscale, indirizzo e numero
di carta d'identità, volendo. L'oggettività si ferma qui.
E la soggettività? Ne esiste ancora una? La tua dove si è annidata? C'è un comune denominatore in tutta questa molteplicità?
"Je est un autre", diceva Rimbaud. Il Buddha affermava che non esiste
alcun Sé, alcuna personalità, perché si tratta semplicemente di
interazione tra fenomeni effimeri, di equilibri dinamici. Non credo che
ci sia un comune denominatore, ci sono solo infinite contraddizioni che
coesistono.
"Io" chi sono? La mia mente, che può partorire pensieri
opposti? La mia coscienza, che è solo una minima parte della mia mente?
I miei ricordi, che sono più effimeri dei sogni? Il mio corpo, che muta
nel tempo? Nessuna di queste cose. E allora:
“Sono Nessuno! E tu? /
Nessuno – anche tu? / Allora siamo in due! / Non dirlo! Spargerebbero
la voce! // Com'è banale – essere Qualcuno! / Volgare – come una Rana – /
Che dice il proprio nome – per tutto Giugno – / A un pantano di
ammiratori!” (Emily Dickinson)
Da quello che dici a me sembra -
e spero di non sbagliare - che lo spazio dell'esistenza è praticamente
quello della relazione. E quindi della comunicazione. Quanta fiducia hai
ancora nel linguaggio?
Io ho fiducia nel silenzio. Anche perché
il mio scopo, il mio desiderio segreto, non è esistere, ma sparire.
Lathe biosas. Vivere a bassa intensità. Fare meno rumore possibile.
Parlare solo se è strettamente necessario e non dire una parola in più
dell'indispensabile.
Cosa ritieni indispensabile che vuoi dire, che vuoi far sapere, che vuoi sia chiaro?
Indispensabile è il contrario di banale, risaputo, già sentito. Per
esempio: non scrivo nulla da mesi, perché mi sono accorto che tutto ciò
che scrivevo in realtà l'avevo già scritto, quindi perché ripetersi?
Quando sono in compagnia sto quasi sempre zitto, perché sono totalmente
inadatto alla comunicazione fàtica, non riesco a pronunciare frasi di
circostanza, complimenti,
flatus vocis. Mi pare di sprecare fiato. Dico qualcosa solo se davvero
lo penso e se sono sicuro di averci pensato bene, a lungo. È una regola
d'igiene. Anche a costo di sembrare antipatico, o scontroso.
C'è più esattezza in quello che si può esprimere con la musica o con i colori rispetto al linguaggio verbale oppure no?
Sono linguaggi totalmente diversi, non comparabili l'uno con l'altro.
Io li frequento tutti e tre, ma tendo a tenerli separati; anzi, per
meglio dire: ho difficoltà ad unirli.
Per rispondere alla tua
domanda: bisognerebbe prima intendersi su che cosa significhi
"esattezza". Una parola non è mai perfettamente esatta perché è, per sua
natura, frutto di convenzioni, in quanto unione arbitraria di segno e
significato: e quindi rimarrà sempre un margine di indeterminatezza, che
però è anche la sua forza. Un'immagine è forse più immediata, e quindi
in questo senso più "esatta", perché dà l'impressione di essere più
vicina al suo oggetto; ma anche qui andrei cauto, perché anche le
immagini sono soggette a codifiche culturali, quindi diranno cose
diverse a diversi spettatori (noi non vediamo un'icona bizantina con gli
stessi occhi con cui la guardava un uomo del Medioevo; tutta la nostra
nozione di prospettiva è in realtà una convenzione; e così via). La
musica non ha, per sua natura, un referente esterno a sé stessa, quindi
non credo le si possa applicare la nozione di "esattezza" (a meno che
non la si intenda in modo radicalmente diverso: la musica di Bach, ad
esempio, per me è "esatta" in quanto risponde a una perfezione di tipo
matematico, quasi mistico, a una sua necessità interna).
Insomma:
"esatto" rispetto a cosa? Rispetto a ciò che si voleva esprimere? Ma i
libri li fanno i lettori, non gli autori, così come le immagini le fanno
gli spettatori e le musiche gli ascotatori. L'autore è padrone della
sua opera solo finché non la pubblica, poi appartiene al mondo. "Esatto"
rispetto a un canone, a una norma imposta? Oppure "esatto" perché -
come capita spesso con i capolavori - dà l'impressione di non poterne
cambiare un singolo elemento senza che tutto crolli?
A seconda di come si considera la domanda, cambia la risposta.
Se poi vogliamo metterla sul soggettivo, direi che quanto a "esattezza"
rispetto ai risultati che mi attendo, il medium con cui ho più
difficoltà, al momento, è proprio quello linguistico, in particolare la
poesia, che infatti sto frequentando sempre meno, sia come autore che
come lettore.