La mandragola (Italia/Francia,
1965, b/n), regia di Alberto Lattuada; con Philippe Leroy, Rosanna
Schiaffino, Romolo Valli, Nilla Pizzi, Jean-Claude Brialy, Totò; 97 minuti (ma credo ne giri anche una versione con qualche minuto in più di scene tagliate)
E forse lo è, un decamerotico, per gli
standard dell'epoca (il 1965). Perché gli scorci di gambe tornite,
schiene nude, corpi avvolti in panni bagnati, insomma tutto
quell'indagare della telecamera intorno alla sontuosa bellezza di
Rosanna Schiaffino (una bellezza d'altri tempi, di quando la bellezza
si misurava in morbidi rotolini di carne avvolti intorno alle ossa, e
non in ossa a diretto contatto con la pelle), tutto quel voyeurismo,
dicevo, era probabilmente il massimo di malizia che all'epoca ci si potesse
permettere. E del resto la scena iniziale, con i clienti delle terme
che sbirciano la sezione femminile attraverso un tramezzo forato,
sarà replicata infinite volte nel trash anni Settanta, con gli
Alvarovitali e i Linobanfi che sbavano di fronte alla Edvigefenech,
Gloriaguida, Barbarabouchet o Michelamiti di turno.
Scherzi a parte, ciò che salva il film
sono il tocco elegante di Lattuada (e di Luigi Magni,
co-sceneggiatore), una messa in scena molto curata quanto a costumi e
ambientazioni e una sfilata di belle caratterizzazioni: il Callimaco
aitante di Philippe Leroy, il Ligurio simpaticamente canagliesco di
Jean-Claude Brialy, il Nicia tutto sommato bonario di Romolo Valli,
la pepata Lucrezia di Rosanna Schiaffino, e soprattutto lo strepitoso
fra Timoteo di Totò, misuratissimo, sensibile, persino delicato, che in quella manciata di minuti in cui sta
sullo schermo fa letteralmente scomparire tutti gli altri attori.
La trama è sostanzialmente quella della commedia di
Machiavelli, con qualche scena aggiunta, qualche taglio e qualche
aggiustamento indispensabile per passare al grande schermo.
Tutto sommato, una visione più che
gradevole.
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