Moira Egan, Botanica arcana (Strange Botany), traduzione di Damiano Abeni, Pequod, 2014
In genere, per la poesia, sono un
lettore lentissimo. Quindi è assolutamente eccezionale che mi sia
spolpato (e la metafora non è casuale, come spiegherò fra poco)
questo libretto di Moira Egan in un'oretta.
Va bene che è un libretto sul serio,
diciannove poesie inglesi con altrettante traduzioni italiane, per un
totale di una novantina scarsa di pagine. E va bene che alcune poesie
le avevo già lette sul web, però ripeto non è normale. Ma il
piacere della lettura era tanto che non potevo letteralmente
staccarmi.
Ora, la domanda è: in quanti modi si
può raccontare una storia d'amore? Risposta: tantissimi, forse
infiniti. Moira Egan sceglie di farlo attraverso le piante, con
particolare attenzione a quelle commestibili.
E la soluzione non è tanto peregrina,
se si pensa che la storia in questione è quella fra una lei poetessa
americana, trapiantata in Italia per amore, il cui modello principale
è Marianne Moore; e un lui (Damiano Abeni), per professione medico, per passione traduttore, nonché botanico dilettante (e manco tanto dilettante, direi). E se –
a quanto si capisce – entrambi sono intenditori di buona cucina, oltre che di poesia.
Moira Egan ha una dote che
me la fa adorare: un tono apparentemente casuale, a volte quasi
frivolo, quasi sempre frastagliato da una leggera ironia, che parte
dall'osservazione di dettagli insignificanti, o dalla narrazione di
fatti quotidiani, per trapassare in maniera quasi insensibile alla
riflessione.
Ogni sua poesia possiede quella qualità
che gli inglesi chiamano wit,
e che non credo abbia un preciso equivalente italiano:
un'intelligenza sottile e acuta, spesso divertente ma mai scontata né banale, anzi
sempre ricca di piacevoli sorprese.
Un
libro carnale e brillante.
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