mercoledì 23 aprile 2014

questo è l'esilio


 
«Oh se tu capissi:
chi soffre
chi soffre non è profondo».
(Milo De Angelis)



È come quando afferravi la falda
perché l'areola era impigliata all'occhio
quando la palpebra cadeva a picco
su ciò che il corpo aveva già negato.
Come ogni volta che qualcuno arriva
a riconoscere la forma vera
e poi torna a perderla nella stasi.
Come tutte le volte che lo specchio
piomba a interromperti a metà del passo.
Non chiamarlo destino: è solo carne
inchiodata per sempre al proprio corso.

Dovrei aver imparato ormai – da un pezzo
ad accettare ciò che è inevitabile
non credi? Dovrebbe essere superfluo
persino dirlo – e ancora di più scriverlo.
(Se non sono bastati quarant'anni
quand'è mai che arriverà la saggezza?)
Solo una cosa è certa: la poesia
non chiede svolgimento o evoluzione
è un attimo immobile la poesia
e i labbri della ferita rifiutano
di accostarsi. (Quanto sbaglia chi ha detto
che la Bellezza redimerà il mondo:
la Bellezza è il dolore più crudele
quello che agisce alla radice stessa
del nervo). Tutto potrei accettare
ma non questo lanciarsi sulla soglia
soltanto per saperla invalicabile
questa distanza che separa i petti
e rende così inutile l'abbraccio.

Ciò che possiedo è ciò che più mi manca
ciò che ho intravisto premere la stoffa
senza poter mai completare il gesto.

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