«Oh se tu
capissi:
chi soffre
chi soffre non è profondo».
chi soffre
chi soffre non è profondo».
(Milo De
Angelis)
È come quando afferravi
la falda
perché l'areola era
impigliata all'occhio
quando la palpebra cadeva
a picco
su ciò che il corpo aveva
già negato.
Come ogni volta che
qualcuno arriva
a riconoscere la forma
vera
e poi torna a perderla
nella stasi.
Come tutte le volte che lo
specchio
piomba a interromperti a
metà del passo.
Non chiamarlo destino: è
solo carne
inchiodata per sempre al
proprio corso.
Dovrei aver imparato ormai
– da un pezzo
ad accettare ciò che è
inevitabile
non credi? Dovrebbe essere
superfluo
persino dirlo – e ancora
di più scriverlo.
(Se non sono bastati
quarant'anni
quand'è mai che arriverà
la saggezza?)
Solo una cosa è certa: la
poesia
non chiede svolgimento o
evoluzione
è un attimo immobile la
poesia
e i labbri della ferita
rifiutano
di accostarsi. (Quanto
sbaglia chi ha detto
che la Bellezza redimerà
il mondo:
la Bellezza è il dolore
più crudele
quello che agisce alla
radice stessa
del nervo). Tutto potrei
accettare
ma non questo lanciarsi
sulla soglia
soltanto per saperla
invalicabile
questa distanza che separa
i petti
e rende così inutile
l'abbraccio.
Ciò che possiedo è ciò
che più mi manca
ciò che ho intravisto
premere la stoffa
senza poter mai completare
il gesto.
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