giovedì 12 dicembre 2013

appunti di viaggio (Salerno, 8-10 dicembre 2013) - parte prima



Sei e trenta del mattino, nebbia gelata. L'interno del taxi afoso per l'aria condizionata.

Mi affido alla clemenza della sorte.

Il pensiero assillante: non se, ma che cosa ho dimenticato.

Viaggiare senza lasciar tracce. Passare per il mondo leggeri.

Quelle ragazze bellissime, che incontri solo in viaggio. E ti chiedi: sarebbero altrettanto belle, per strada o nella fila di un ufficio postale?

Il nécessaire per un viaggio: una buona scelta di libri.

“Was bleibet aber, stiften die Dichter” (Hölderlin)
(Ma quel che resta, è dono dei poeti.)

Tre signore sulla cinquantina salgono insieme, a Trevi. Tutte e tre tinte di biondo, jeans, scarponi beige, piumone nero. Stessa corporatura, persino.
Una tira fuori le 50 sfumature di qualcosa; le altre la guardano ammirate. “Ah, vedi, io mica ci ho pensato”.

Nove e quaranta, Stazione Termini. Due ore di attesa per la coincidenza.
Esco alla ricerca di uno spuntino. Qualcosa di leggero, ipocalorico. Dopo aver gironzolato un po', scelgo un locale che si presenta come “pizza-tavola calda-kebab-ristorante indiano-halal”. Ordino un kebab.
“Con cosa?”
“Con tutto”.
“Tranne le cipolle”, aggiungo poi, preso da un tardivo scrupolo sociale.
(Oh, sentite: ho trentott'anni, sono in perfetta forma, non un filo di grasso, non un chilo di troppo, non fumo, sono astemio, non bevo nemmeno il caffè. Potrò pure farmi male, in qualche modo?).
Mi serve – con molta calma – un cameriere dall'aria decisamente indiana, che nel frattempo consegna mucchi di monetine da venti centesimi ad un connazionale. Dietro il bancone, un ragazzo dalla fisionomia mediorientale si prepara un espresso e guarda alla TV “Fashion Style”, dove la Marcuzzi giudica il lavoro di aspiranti make-up artists (il modello estetico sembra oscillare tra la zoccola e la mannequin di stilista punk-provocatore-chic).
Dalla stazione esce, scortato dalla polizia, un corteo di tifosi di non so quale squadra; arrivano brandelli di cori, coperti dal traffico e dall'acciottolio delle posate.
Finito il kebab, mentre mi assicuro (a tatto) di avere ancora la lingua in bocca, chiedo al cameriere se posso usare il bagno (è nel seminterrato, c'è stato un viavai di gente fino a poco prima).
“Eh, il bagno”, fa lui, guardando non me, ma il soffitto, “è un problema.”
Vado via senza chiedere altro.

1 commento:

amanda ha detto...

parlo a nome della catgoria 50enni: non tutte leggono le sfumature e non tutte sono bionde

il kebab è uno stupendo modo di farsi del male
il viavai probabilmente era dovuto ad una sala giochi illegale e non al bisogno di andare ai bagni