Preferisco questa parola rispetto a quella, più usurata, di “ispirazione”. “Urgenza” indica un moto, una pressione che spinge il poeta a scrivere in un dato momento piuttosto che in un altro. Forse a qualcuno il termine potrà sembrare inadatto, perché troppo vicino all’universo corporeo (la coppia digestione-evacuazione). Viceversa, il vocabolo si raccomanda appunto per tale vicinanza, come molti scrittori hanno osservato.
L’analogia fra la poesia e le feci compare naturalmente nelle avanguardie, votate al sabotaggio e alla mescolanza dei codici, ma molto più sorprendente è ritrovarla in un autore post-simbolista come Paul Valéry. Una sua prosa intitolata Elementi fisici, solleva infatti questa strana domanda: per quale ragione ciò che esce dal corpo dovrebbe essere più sporco di ciò che vi è entrato? Al contrario, ribatte Valéry, quel che buttiamo fuori andrebbe considerato come il purissimo, raffinato, sapiente prodotto di una complicata lavorazione.
Ed ecco la sua sconcertante tesi: “O corpo glorioso, qualche santo dovrebbe provare amore per la tua merda! Mentre sta ancora all’interno, essa è sacra come fosse una parte dell’Io, e quando dico ‘io’ lei vi è compresa. Poi si distingue dentro di me, e si fa imperiosa. Uno straniero da espellere. E tuttavia resta la MIA creatura, la mia opera più importante”.
Ho tradotto con “merda” la parola francese “fiente”, perché gli altri sinonimi italiani sono tutti al plurale (feci, escrementi) e non rendono la singolarità della produzione organica che l’autore intende sottolineare (la MIA creatura, la mia opera), scegliendo oltretutto il genere femminile. Mai nessuno, probabilmente, si è spinto tanto in là da paragonare il prodotto poetico a quello scatologico, l’oggetto più sublime a quello più volgare. E tutto ciò nel segno dell’urgenza, ossia nell’improvviso reclamo di una materia che scappa, preme e chiede prepotentemente di venire alla luce.
Ps. In italiano esiste un altro vocabolo, di origine toscana, per indicare lo sterco della selvaggina e in genere degli animali: la “fatta”. Ebbene, se seguiamo Valéry, come resistere alla tentazione di accostare questa parola al verbo greco “poiein”, da cui deriva il termine “poesia” e il cui etimo significa “fare”? Una proposta simile (paragonare la poesia a una “fatta” umana) potrà sembrare rivoltante o scandalosa, eppure tradisce una profonda pietas per le creature viventi, amate in ogni aspetto, anche il più umile, della loro indifesa, trepida fragilità.
Valerio Magrelli, da Che cos’è la poesia? La poesia raccontata ai ragazzi in ventuno voci,
Luca Sossella Editore, Roma, 2005