venerdì 5 agosto 2011

paesaggi perduti


È sempre il paesaggio perduto che la mente continua a cercare; sono le prime immagini sprofondate nel tempo: un abbaglio, un volto, una linea dell'orizzonte di casa, la sagoma d'un monte, l'intrico dei tetti o la curva d'una strada vista da un vecchio appartamento.
E anche se ogni vera pittura mostra qualcosa di mai visto, qualcosa che cambia lo stesso modo di vedere e apre verso il mondo, davanti a un paesaggio o a un quadro noi non smettiamo di cercare contemporaneamente un sostrato antico dentro di noi, dove il pensiero incontra improvvise felicità combinando cose diverse. Anche una poesia e un'immagine: come per incanto un verso, allora, può "mostrare" ciò che non credevamo più di rivedere, restituendo un pensiero che, senza saperlo, non abbiamo mai smesso di pensare.

Ermanno Krumm (nota a "Respiro", Mondadori 2005)

3 commenti:

amanda ha detto...

stai provando ad educarmi? :)

sergio pasquandrea ha detto...

lungi da me il pensiero...
scherzi a parte, non ci avevo fatto caso, ma è vero che questo post di ricollega a quello di un paio di giorni fa sull'esattezza.
devo dire che trovo le parole di krumm (a proposito, ti consiglio quel libro: davvero bello) molto vere.
per quel che mi riguarda, le poesie non nascono quasi mai direttamente da un'esperienza o un'emozione. piuttosto, il primo stimolo è quasi sempre di natura fonico-ritmica: una parola, o una combinazione di parole, o una certa cadenza, che per qualche motivo (oscuro persino a me stesso) assumono un risalto particolare e cominciano ad evocare qualcos'altro (ricordi, immagini, sensazioni). a quel punto quel che devo fare è mettermi in ascolto e lasciarmi guidare. spesso finisco in posti che nemmeno mi aspettavo, o a parlare di cose che nemmeno avrei immaginato.
anzi, ora che ci penso, credo che alla fin fine imparare a scrivere (scrivere versi, perlomeno) consista proprio nell'imparare a mettersi in questo stato di semi-sonnambulismo, in cui le barriere razionali sono abbassate e parole e idee fluiscono liberamente. il difficile sta nel farlo senza perdere il controllo: tenersi su quel filo sottile fra la libera associazione e la coerenza formale e strutturale.
ricordo uno scritto di keats (o shelley, ora mi sfugge), in cui si diceva qualcosa come: nessuno può dire "adesso scriverò una poesia". ed è vero: le poesie si scrivono da sole, quando vogliono loro. noi dobbiamo solo imparare a fare da medium.
(solo... oddio, fosse facile...).

amanda ha detto...

io non scrivo in versi, ma quando penso ad uno dei miei racconti, che non hanno sicuramente nessuna pretesa, ma sono ormai quasi un'esigenza, spesso succede così mi gira in testa, spesso nel dormiveglia, una frase, che suona proprio come dovrebbe suonare, e poi viene il resto :)