lampi - summer reissue 6 (nn. 76-90)

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Guardando su YouTube Renato Zero cantare “Viva la Rai”, ha iniziato la frase: “Ai miei tempi sì che...”.
Poi si è fermato di colpo, colto da un brivido.

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Continua a scegliere donne non all'altezza delle sue aspettative erotiche.

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Sì, scrivo poesie, ma almeno me ne vergogno.

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“Ma non era morto?”.

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“Allora grazie per la splendida giornata. E non ci perdiamo di vista, eh?”.
(“Roma-Amburgo e ritorno, e manco un po' di pelo”).

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Un magnifico, lunghissimo corpo di diciassettenne, deturpato da un pesantissimo, quasi comico accento veneto.

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Da bambino, la meraviglia dei pomeriggi vuoti, campi aperti a qualunque possibilità, noia compresa.
Da adulto, l'unica alternativa possibile: le ore di viaggio, in treno o in aereo, il transito anonimo nei non-luoghi, la mente libera di disegnare ampi cerchi per poi piombare, all'improvviso, a ghermire un pensiero.

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Teso, preoccupato, irritabile. Incapace di concentrarsi. Sente il bisogno di una presenza familiare, rassicurante, distensiva. In memoria dei vecchi tempi, si compra un pornazzo.

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Se sfiorato, emette re sovracuti.

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“Che splendidi figli avremmo fatto, io e te”.
(Lo pensa soltanto: ovviamente).

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Innamorarsi equivale a tornare ogni volta adolescente.

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Lontano dagli occhi, troppo vicino al cuore.

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La sua donna ideale esiste. Ma è nata troppo tardi.

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La dura lotta tra perfezione e felicità.

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“Ma che fai ancora sveglio?”
“Mi commuovo.”