venerdì 22 luglio 2011

"Accipe filium tuum..." (seconda parte)


L’uomo pensò se fosse meglio arrabbiarsi o lasciar perdere. Poi rivide tutte le loro discussioni e il ragazzo che a un certo punto lo piantava in asso e tornava a rinchiudersi in camera, limitandosi ad alzare il volume dello stereo se lui urlava più forte. Lasciò perdere e si concentrò sul notiziario.
Sbarchi di clandestini in Puglia. Rapina in gioielleria: ferito l’esercente e due clienti. Il governo promette: più rigore contro la criminalità. Venti di guerra in Medio Oriente. Mibtel in ripresa. Stangata fiscale. Le nuove collezioni primavera-estate. L’oroscopo.
Lo speaker passò poi a commentare una manifestazione tenuta il giorno prima in una città vicina. Una folla di persone, stimata in varie migliaia, aveva sfilato per le strade scandendo slogan e agitando striscioni. Gruppi di facinorosi avevano provocato le forze di polizia, che si erano viste costrette a caricare il corteo. Erano seguiti scontri, protrattisi nel corso della giornata. Numerosi gli arresti, parecchi feriti tra i manifestanti. Danni a negozi e abitazioni. La dinamica dei fatti era al vaglio degli inquirenti.
“Ma li senti? – ridacchiò il padre – La fame, dovevano fare, come hanno fatto i tuoi nonni per tirar su quattro figli. Con il nonno che faceva notte in officina e tuo zio che ci sbucciava una mela e ci raccontava le storie di Sandokan e di Rin Tin Tin e la nonna che andava casa per casa a fare le faccende. Li volevo vedere, questi figli di papà con le scarpe firmate e la paghetta in tasca! E pure te, che vai in giro con i capelli che sembrano tagliatelle e i pantaloni che dentro ci balli il twist!”.
“Papà, – fece il ragazzo con voce atona – per favore…”.
“Per favore cosa? Lo sai che diceva stamattina in ufficio il direttore? Che lui lo sgozzerebbe come un capretto un figlio così, prima di saperlo in giro a fare a botte con la polizia e a spaccare le vetrine! Come un capretto, porca miseria!”.
Poi si accorse di stare urlando; gli avventori di un’edicola si erano voltati e lo guardavano con aria allarmata.
“Scusa, sai, – riprese quando si fu calmato – lo so che non c’entri niente, tu. Scusami”.
A un semaforo, gli si avvicinò un nordafricano. Il padre chiuse il finestrino e finse di non vederlo, ma l’uomo gli tamburellava e cercava di convincerlo, più con i gesti che con le parole, a farsi lavare il vetro. Il padre negava energicamente scuotendo la testa e agitando entrambe le mani.
Quando l’altro fece per appoggiargli sul parabrezza lo straccio umido, imprecò in dialetto e mandò avanti l’auto di qualche centimetro. Il lavavetri scattò all’indietro, poi cominciò a lamentarsi rumorosamente e a saltellare tenendosi un piede fra le mani. Ma il semaforo diventò verde. Il padre partì sgommando e lanciò un insulto all’uomo, che dallo specchietto vedeva ancora gesticolare, impalato tra le automobili che gli sfrecciavano intorno.
“Ma l’hai visto? No, l’hai visto? Neanche toccato! Neanche sfiorato quel cazzo di piede!”. Ansimava e sudava copiosamente per la rabbia.
Poi, rivolto al figlio che non dava segni di reazione:
“Oh, dico a te! L’hai visto? Ma che cazzo vogliono? Ma perché non se ne tornano nelle capanne, ‘sti stronzi?”
Il ragazzo aveva uno sguardo strano; non si capiva se lo stesse osservando con attenzione o fosse perso dietro qualche suo pensiero.
“Sì, ti pare che sua maestà si scompone… Che poi chiudono in casa le mogli e vengono a violentarci le donne e a vendere la droga ai giovani. Bastardi! Ma te li ricordi gli agnelli squartati?”.
Si riferiva a un viaggio in Egitto di vari anni prima, una vacanza-premio con i colleghi d’ufficio. Era Eid al-Adha, la Festa del Sacrificio, e davanti a ogni casa era appeso un agnello ucciso di fresco, con il sangue che gocciolava in pozze nere sul selciato. Il figlio, allora bambino, aveva pianto giorni interi per quello spettacolo, che era stato oggetto di indignate discussioni tra i turisti.
“Commemorano Abramo, – disse il figlio – il sacrificio di Isacco. Il padre disposto a sacrificare il figlio per obbedire alla Legge Divina”.
“Sì, la legge… Gliela darei io la legge. Occhio per occhio, ecco la legge. E tutti indietro al loro paese! Marsc!”.
Erano ormai usciti dalla città; mancava poco a casa. La campagna splendeva dei primi colori autunnali, piatta e uguale a perdita d’occhio. Il padre guidava veloce, superando con rapidi scarti laterali le macchine di anziani pensionati che tornavano lentamente alle loro villette, sparse nei piccoli sobborghi lungo la statale, ognuna con il proprio giardino sul retro, dove crescevano poche stente verdure e qualche albero tisico.
Ogni tanto incrociavano delle prostitute, alcune ferme in piedi al bordo della strada, altre sedute sul guard-rail, altre ancora chine a cogliere cicorie come contadine al lavoro. Qualcuna usciva, rassettandosi i vestiti, da una macchina parcheggiata in un viottolo laterale.
Erano quasi le due. Intorno tutto era deserto, calato in una quiete opprimente.
“Papà, – disse a un tratto il ragazzo – c’ero anch’io ieri”.
“Dove?” chiese il padre, senza capire.
“C’ero anch’io in mezzo al corteo. Non ero a Verona con la scuola. La polizia ci ha caricato e io mi sono rifugiato in un portone. Poi sono scappato, cadendo mi sono sbucciato le mani e le ginocchia e ho preso una manganellata. I miei compagni li hanno arrestati. Io non ho picchiato nessuno, ero lì con gli amici e mi sono trovato in quel casino”.
“Tanto lo avresti saputo, prima o poi”, aggiunse dopo una pausa.
Il padre aveva frenato di colpo, in mezzo alla strada. Lo guardava con gli occhi sbarrati, stringendo il volante fino a farsi diventare bianche le mani.
Poi scese, fece il giro della macchina e aprì l’altro sportello. Trascinò fuori per i capelli il figlio, senza quasi che facesse resistenza. Lo spinse al bordo della strada e gli appoggiò la testa su un basso muretto di recinzione. E nessun angelo scese a fermare la mano del padre quando, afferrato un sasso appuntito, colpì la testa del figlio, finché non si mosse più.

2 commenti:

amanda ha detto...

azz uno si salva dalla macelleria messicana e soccombe a quella familiare, fanciullo fortunato

sergio pasquandrea ha detto...

sempre di super-ego si tratta, no?